La mia banda suona il pop, di Fausto Brizzi
Più che alla reunion dei Popcorn, l’immaginaria band anni 80 protagonista della pellicola, sembra di assistere alla rimpatriata cinematografica degli attori che ne impersonificano i componenti
La DeLorean della trilogia di Ritorno al futuro usata come poggia-vivande durante la sfarzosissima festa di un nababbo sanpietroburghese che parla con accento di Grande Madre Russia perpetuando allegramente tutti gli stereotipi culturali del suo Paese. E vicino un Diego Abatantuono sempre più pachidermico e con, chissà perché, stranianti lenti a contatto azzurro-cielo che cerca di imbonirlo con eloquio tipicamente italiano. È l’immagine principe di La mia banda suona il pop di Fausto Brizzi, acme narrativo in cui le spinte anarcoide del regista romano, ereditate dalla gloriosa tradizione dei cinepanettoni nostrani, sembrano possano arrivare a definitiva dissacrazione dell’esistente attraverso il calco delle sue banalità. Si tratta in realtà, con sommo dispiacere spettatoriale, solo di un momento, un miraggio di sovvertimento che resta tale all’interno di una sceneggiatura fin troppo controllata. Brizzi e la sua squadra (davvero troppi 4 scrittori per una commedia così schematica) sembrano smussarsi a vicenda le battute incanalando il film in una riscrittura di genere, l’heist-movie, che dovrebbe essere movimentata dall’idea principale di “La mia banda suona il pop“: la reunion a distanza di 40 anni di una band fittizia famosa negli anni 80, i Popcorn. Il gioco estetico con la decade di riferimento dell’odierno immaginario cinematografico, musicale e serial si esaurisce nella parrucca riccioluta di Christian De Sica, nella chioma platinata di Massimo Ghini, nei due pezzi originali composti appositamente per il film da Bruno Zambrini avvalendosi delle sonorità tipiche del periodo. Gli Eighties per il resto sono feticcio museale, oggetti buoni da nominalizzare/visualizzare come diegeticamente fatto dall’oligarca russo durante la passeggiata nell’immenso salone e che diventano al massimo MacGuffin di trama poco incisivi (la chiave del caveau a forma di musicassetta). Non che dovessimo arrivare agli incredibili livelli di “memoria condivisa” dello Spielberg di Ready Player One ma quantomeno da Brizzi era lecito attendersi un po’ di sana riflessione teorica data la sua incontestabile conoscenza del settore.
La scelta di non voler appiattirsi, almeno da un punto di vista strutturale, sul fin troppo facile rimasticamento del pop italiano di quegli anni d’altra parte però, in maniera quasi dicotomica, diventa il motivo principale della cifra comica del film. Quasi tutte le battute germinano da quel serbatoio e nulla viene salvato dall’irrisione: i testi alla stregua di tartagliamenti di infanti, le mise pacchiane, le rivalità interne, la disinvoltura sessuale e alcolica dell’unica componente femminile del gruppo. Si ride però poco ne La mia banda suona il pop perché, non si quanto consapevolmente (a nostro giudizio molto) il discorso diventa subito cinematografico. Christian De Sica che a distanza di quarant’anni dai suoi esordi sugli schermi continua a liquidare qualunque tipo di novità fattuale con l’eterna espressione gergale romanesca che indica la vicinanza spaziale di organi riproduttivi maschili, Angela Finocchiaro che nella solita eccezionale maniera fa la svampita, Paolo Rossi che sembra recitare controvoglia parlando volutamente con lentezza strascicata raccontano della stasi del nostro cinema più popolare e soprattutto di quel gruppo d’interpreti che sapeva impersonare in maniera feroce le idiosincrasie della società. Oggi resta solo Zalone, unico eroe in grado di attirare su di sé i tipi dell’italiano medio ma lo fa da solo, come se per quel tipo di critica politica ormai sia necessario il rispecchiamento/rifiuto individualistico. Ne La mia banda suona il pop, invece, la narrazione più corale sembra invecchiata male come i componenti dei Popcorn: nel 2020 non si possono suonare gli stessi spartiti del 1980 se non nella direzione della parodia pura o quantomeno della seria messa in discussione di alcune delle sue regole. Anche se in fondo una delle leggi musicali ci ricorda che i tour delle vecchie glorie incassano sempre tantissimo.
Regia: Fausto Brizzi
Interpreti: Christian De Sica, Diego Abatantuono, Massimo Ghini, Angela Finocchiaro, Ronat Kishmatouline, Giulio Base, Natasha Stefanenko, Tiberio Timperi
Distribuzione: Medusa
Durata: 95′
Origine: Italia, 2020
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani