La mia famiglia a soqquadro, di Max Nardari

Il film viaggia pericolosamente sul sottile filo che separa il sorprendente dal luogo comune. Il tema trattato è molto complesso ma Nardari rimane a distanza di sicurezza

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Cosa si chiede alla commedia all’italiana? Di essere originale, magari politicamente scorretta, di scendere in profondità ad analizzare mutazioni della nostra società, di captare nuove tendenze, di fare ridere e anche pensare. Spesso la commedia di matrice televisiva si macchia dell’errore di essere complice del sistema che intende criticare, fingendo una forza sovversiva che si trasforma molto presto in istanza restauratrice. Si mette in scena la mostruosità però poi si fa la strizzatina d’occhio complice, dando un colpo di gomito allo spettatore.
Max Nardari al secondo lungometraggio viaggia pericolosamente sul sottile filo che separa il sorprendente dal luogo comune. Il tema trattato è molto complesso: l’impatto della separazione dei genitori sui figli e le responsabilità del mondo degli adulti che creano un esempio negativo agli occhi dei più piccoli.

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L’assunto iniziale è grottesco e accattivante: l’undicenne Martino figlio di una coppia di persone sinceramente innamorate, per omologarsi agli altri compagni di classe prova a sfasciare la sua famiglia per potere ricevere maggiori regali e attenzioni. Lo spunto è interessante e si basa sul libro “Figli Violati” (scritto della madre del regista, l’avvocato Renea Rocchino Nardari) che narra sei storie vere in cui i bambini vengono utilizzati come scudo o arma di ricatto nelle liti matrimoniali. Ma la sceneggiatura decide di non usare toni grigi e di posizionare il bene e il male in maniera manichea, dimenticando che ci sono anche bambini difficili in coppie che restano unite e di converso figli modello provenienti da famiglie allargate.
La semplificazione forzata rende anche poco credibili i genitori Anna (Bianca Nappi) e Carlo (Marco Cocci) il cui linguaggio è distante dal parlato reale e più vicino a quello di uno spot televisivo. L’intervento del preside (Luis Molteni) nel sottofinale sembra presagire una morale semplicistica che tende a colpevolizzare sempre e comunque le coppie che propendono per il divorzio. Nonostante la bravura degli attori e la capacità di Nardari di orchestrare i movimenti dei ragazzini, il film nella seconda parte si impantana in una prevedibilità di azioni e situazioni che ne appesantiscono la fruizione. Anche la scena finale con la resa dei conti durante la recita di Natale soffre di un afflato ecumenico e buonista che è molto lontano dalla realtà quotidiana.
Il regista cita come fonte di ispirazione Mamma Ho perso l’aereo di Chris Columbus, Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris e La famiglia Belier di Eric Lartigau ma la distanza dal modello americano e francese sembra notevole.
L
’intento di Nardari è sincero e il lavoro in postproduzione è molto curato, ma alla fine ci poniamo il solito quesito: un’opera come questa riesce ad essere rappresentativa o rimane a distanza di sicurezza nell’affrontare argomenti di estrema complessità? Propendiamo per la seconda ipotesi e dispiace vedere autori giovani restare nell’ombra di un clichè rassicurante, senza osare volare un po’ più in alto. Vorremmo un film graffiante, caustico, autocritico e invece ci ritroviamo un prodotto seriale forzatamente conciliatorio.
Una menzione speciale alla brava Eleonora Giorgi che dona alla estroversa nonna Fiore un’aria di altri tempi e a Ninni Bruschetta che pur nella brevità della parte riesce a elevare il livello di comicità e di simpatia.
Regia: Max Nardari
Interpreti: Gabriele Caprio, Bianca Nappi, Marco Cocci, Elisabetta Pellini, Eleonora Giorgi, Ninni Bruschetta, Luis Molteni, Elisa Di Eusanio, Raniero Monaco Di Lapio, Silvia Tortarolo
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: Europictures
Durata: 90′

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