La mia malinconia è tutta colpa tua: 20 anni di Dawson’s Creek

Williamson firma con Dawson’s Creek il suo personale Stand by me, riscrivendo mentalmente la propria adolescenza, mettendo in scena compagni di scuola, primi amori, l’idea dell’anima gemella…

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Dawson’s Creek compie venti anni. E l’effetto nostalgia scattato in occasione della reunion è subito travolgente, come se non bastasse l’impegno quotidiano di un Tommaso Paradiso qualunque per far rimpiangere le biciclette rosse Atala, i cornetti gelato e le estati che sembravano senza fine a orde di trentenni in crisi.
Rispetto all’immaginario vintage di Mr. The Giornalisti, qui gli anni Ottanta cedono il passo al decennio successivo, colto quasi sul fondamentale scavallamento di secolo.

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Forse proprio questa sua collocazione liminare rendeva già ai suoi tempi Dawson’s Creek la serie nostalgica per eccellenza, dominata da una – a tratti consapevole, altre volte istintiva – malinconia per epoche non vissute che il creatore Kevin Williamson infondeva in modalità diverse in ognuno dei suoi personaggi.

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Molte volte si è detto di come i cinque di Capeside fossero i rappresentanti dell’ultima generazione cresciuta al riparo dall’avvento dei social, capace ancora di guardarsi dritto negli occhi anziché attraverso uno smartphone, ma anche i rampolli di Beverly Hills 90210 vivevano la stessa condizione pre-digitale. Eppure nessuno li eleggerebbe a modello di purezza e ingenuità, come accade per gli adolescenti di Williamson. La genuinità dell’operazione, che passa, certo, anche per la location della small town lungo il fiume, con pontili e barchette a remi, ben lontana dal glamour losangelino, sta proprio nell’universo emotivo del suo creatore.

Fedele alla vena meta-cinematografica che in quegli anni lo vedeva nome di punta della Hollywood giovane, grazie alla collaborazione con Wes Craven per la saga di Scream e a successi commerciali come So cosa hai fatto (che avevano per eroine altre due icone 90s, Neve Campbell e Jennifer Love Hewitt, protagoniste dell’altro teen-family drama del decennio, Party of five), Williamson firma con Dawson’s Creek il suo personale Stand by me, mettendosi al posto del maturo Richard Dreyfuss e riscrivendo mentalmente la propria adolescenza, mettendo in scena compagni di scuola, primi amori, l’idea dell’anima gemella – vero, ossessivo tormentone della serie… – e rileggendo le esperienze dei suoi wonder years (ricordate Kevin e Winnie di Blue Jeans?) con la saggezza dell’età adulta, mantenendo però intatto il legame con quelle emozioni assolute e dirompenti.

Ecco il perché di quel linguaggio così forbito e accurato messo in bocca a dei ragazzini di provincia, che all’epoca attirava lo stupore dei recensori ma pareva non pesare a un pubblico che, sebbene parlasse nella quotidianità in maniera completamente diversa, non sembrava affatto trovarvi un elemento deterrente rispetto ai sentimenti universali proposti dal racconto.

Con una limpidezza espressiva degna dei più agguerriti leosiners, Dawson & co. erano perfetti adolescenti metalinguistici, portatori sani di quel cinema dello stupore spielberghiano tornato prepotentemente di moda negli ultimi anni – da Super8 a Stranger Things – ed eredi più edulcorati del Brat Pack di John Hughes, sempre tenuto a mente da Williamson nell’orchestrazione degli intrecci e dei personaggi, dalle citazioni scoperte – l’episodio Breakfast Club nella prima stagione – a quelle implicite, con il personaggio di Joey Potter, calibratissimo mix tra la Jo di Louisa May Alcott e la Molly Ringwald di Pretty in pink

Dawson’s creek rileggeva un intero decennio di commedia adolescenziale americana con lo sguardo di chi si sta già preparando ad attraversare il guado: salutando il nuovo millennio che chiamava e imponeva il superamento di una linea d’ombra individuale e collettiva; superamento definitivo, ché per nessuno è possibile tornare indietro, a quei sentimenti, a quella sincerità.

Tornare a Jen, la ragazza perduta di città, una Michelle Williams in fiore e già magnetica, alle prese col primo ritratto di una galleria di dolcissime donne fragili e spezzate; a Jack e Andie, fratelli segnati da una tragedia familiare; e poi ai tre vertici del triangolo (anche se, per epicità, il duello è vinto da BH90210 con quello tra Brenda, Kelly e Dylan) Pacey-Joey-Dawson: con i primi due satelliti del terzo, in uno schema quasi aristotelico.

Perché Dawson Leery è innanzitutto il motore immobile dell’intera serie, non a caso il personaggio in cui nessuno, eccetto forse i cinefili incalliti, potrà mai identificarsi. Figlio obbediente, amico fidato, dal futuro già scritto nel mondo del cinema, Dawson è l’irraggiungibile modello virtuoso che nessuno mai eguaglierà, mentre gli altri personaggi si dibattono, soffrono, amano, crescono, al pari del giovane pubblico dall’altra parte dello schermo.

Ed è proprio su questo elogio degli errori che la serie si chiude, col sacrificio della redenta Jen. Nel video-lascito per la figlia che non vedrà mai crescere, Michelle Williams si congeda, con l’emotività che abbiamo imparato a conoscere, con dei “phrazes for the youngs”, eredità consegnata da Williamson ai suoi spettatori: “sognare, amare, sbagliare, perché nulla fa crescere come gli errori”.
Una sincerità disarmante, priva di qualunque cenno di sarcasmo o ironia, che ci apparirebbe oggi insostenibile. Eh sì, Kevin, forse la nostra malinconia è anche colpa tua.

 

Tra cinema e vita, le migliori citazioni della serie


The Breakfast Club 1×04

Una programmatica dichiarazione di intenti da parte di Williamson. L’episodio “Detention” ricalca il film cult del 1984, mettendo i protagonisti a confronto con le proprie paure e le dinamiche delle caste liceali, rimaste inalterate da quel 24 marzo alla Shermer High School di 14 anni prima.

Spielberg World – ET e Jaws
Altro nume tutelare delle sei stagioni della serie è Steven Spielberg, regista feticcio del giovane Dawson. Lui e Joey capiscono che la loro infanzia è ormai lontana quando non possono più chiudersi nel ripostiglio della cameretta fingendo di essere in alto mare a caccia dello squalo bianco…

Scream 1×09

Quasi al termine della prima stagione, Williamson si concede un’autocitazione e si diverte a far vestire a Michelle Williams i panni di Drew Barrymore, facendola rispondere a un’inquietante telefonata all’ interno di un episodio giocato su meccanismi della suspense continuamente disattesi.

The last picture show 3×20

Quando il triangolo Pacey-Joey-Dawson è pronto ad esplodere, Dawson riguarda il film di Bogdanovich, modello perfetto di un’amicizia rovinata dalla bellissima e crudele Cybill Shepherd.

Lo stesso episodio, con la struttura che reitera da angolazioni diverse la narrazione di un’unica giornata, pare anticipare The Affair, che avrà sempre Joshua Jackson (Pacey) tra i suoi protagonisti in una location molto simile alla Capeside di Dawson’s Creek.

The Blair Witch Project 3×07
L’isola delle streghe a largo di Capeside, dove Dawson decide di girare il suo documentario, e le successive peripezie del gruppo sono un chiaro omaggio, dal sapore tutto 90s, a uno dei film cult del periodo e a quel taglio da mockumentary oggi abbastanza datato…

Il mostro della laguna nera – 1×01
Il film che Dawson, Pacey e Joey stanno girando sul pontile all’arrivo di Jen è un tenero tributo ai fanta-horror anni 50, nonché una dichiarazione d’amore ai costumi, al sangue finto, alle protesi di gomma, a tutto l’apparato scenico del cinema americano più artigianale.

Risky Business 3×01

L’indimenticabile performance del giovane Tom Cruise viene citata senza ballo in camicia e calzettoni. A Pacey basta inforcare un paio di occhiali da sole sulle note iniziali di Old Time Rock’n roll per attivare riflessi pavloviani nel pubblico.

Ancora John Hughes

Senza fine le citazioni all’universo hughesiano, orizzonte di chiunque si accosti al racconto degli adolescenti.

Dai riferimenti musicali dell’If you leave di Pretty in Pink, leit motiv del primo vero apputamento di Jen e Henry sulla pista di pattinaggio, decisamente 80s, fino alla torta à la Sixteen Candles con cui Drew e Jen festeggiano il compleanno della ragazza.
E se Pacey nella terza stagione si rispecchia  in Duckie, l’amico da sempre innamorato di Molly Ringwald, nella prima stagione Joey è chiaramente la Mary Stuart Masterson di Some Kind of Wonderful (Un meraviglioso batticuore).

Judd Apatow

Dopo Hughes, nelle ultime stagioni la serie si apre al suo stesso controcampo, omaggiando i Freak and Geeks di Judd Apatow, che irrompono nel mondo più zuccheroso di Dawson e compagni, grazie al personaggio di Audrey, interpretata da Busy Phillips. Il viaggio coast to coast di Joey insieme a lei e ad un ancora semisconosciuto Seth Rogen, fattone puzzolente, è l’apertura niente affatto scontata alla commedia che avrebbe dominato nel decennio successivo…

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