La mistica scrittura di Orlando
Angelo Orlando incontra Sentieri Selvaggi, raccontandosi come scrittore, regista e attore e regalando qualche perla di saggezza agli aspiranti sceneggiatori.
Le battute di Pensavo fosse amore e invece era un calesse di Massimo Troisi (proiettato al pubblico prima dell'incontro) risuonano ancora nelle nostre orecchie, quando l’attore salernitano inizia a condividere con noi allievi la sua esperienza nel mondo del cinema, tra il divertito e il divertente. Orlando è proprio così come lo si vede sullo schermo, un po’ timido e sempre con la battuta (a volte spontanea e involantaria) pronta, ma poi si scopre che, in realtà, non è solo un attore comico e che nel cinema fa un po’ di tutto: sceneggiatore, regista, produttore. Ma soprattutto è narratore. Scrivere per lui è un “atto di volontà e d’amore”, un qualcosa che nasce dall’osservare la realtà che ci sta attorno e da ciò che, invece, è dentro di noi e che diventa necessario trasferire su carta (o file), quasi come nutrirsi. Scrivere è un’esperienza quasi mistica (“siamo circondati dall’eternità” afferma a un certo punto Orlando), ognuno di noi è fatto di storie: compito dello sceneggiatore è allora cogliere l’attimo o, meglio, raccogliere tutto in un attimo presente, fatto di immagini che, a loro volta, rimandano a quella stessa eternità. Però…c’è un però, come ci ricorda Angelo Orlando: il mercato! Una brutta parola certo, che spesso scatena reazioni allergiche negli artisti, ma che, invece, è una realtà ben presente e, forse, non così negativa come si possa pensare. Confrontarsi con gli ostacoli che la produzione di un film pone può portare inizialmente a un forte scoraggiamento, ma , suggerisce ancora l'attore e regista "è proprio da questi ostacoli che bisogna imparare a trovare l’energia per andare avanti".
Entusiasmo è la parola d’ordine. Come dimostra l’esperienza di Sfiorarsi, il suo terzo lungometraggio, un film che di ostacoli ne ha dovuti superare tanti, dal budget ridotto alla mancanza di distribuzione, passando per un finale cambiato al montaggio. Ogni ostacolo, però, ha contribuito a migliorare il film, a riscriverlo e lasciare in esso una traccia. Così, ogni incontro, avvenuto o mancato, lascia un segno indelebile nelle esistenze dei protagonisti, un qualcosa che, quando meno te lo aspetti, riaffiora in maniera quasi psicanalitica e subliminale, fino a quell’inseguirsi tra le vie di Parigi nel finale del film che tanto assomiglia a un movimento musicale. Uno sfiorarsi di corpi, di vite, di luoghi e di attimi racchiusi in una singola parola. Un titolo.