La nostalgia non è più quella di un tempo

Il cinema di oggi ha perso tutto quel crepuscolarismo esistenziale che fece grande il filone nostalgico degli anni '70. Pensa ad altro, semplicemente: chissà che non abbia trovato il coraggio di guardare il futuro diventare presente, descrivendolo.

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La nostalgia è come un vizio. La si coccola intimamente, non se ne parla troppo in giro (se no chissà che pensano di te) ma se non c'è ti manca. Per fare la prova basterebbe pensare al militare (rivolgendosi ai lettori maschi): quanti di voi avrebbero dato un mignolo per non farlo, quanti di voi dopo averlo fatto ci pensano con parecchia (appunto) nostalgia? Nel senso che il tempo è davvero un po' bastardo. Copre gli aspetti negativi di un evento e fa risaltare solo quelli positivi. Che poi, enfatizzati, diventano l'unico referente della memoria, stampati lì, luminosi nel buio del passato.
Chi scrive, per esempio, comincia ad avere nostalgia degli anni '80, e per questo un po' s'incazza. Perché senza un ministro della pubblica istruzione come la Falcucci non ci sarebbero stati gli scioperi studenteschi dell'85, il cazzeggio, le ragazze gasate per la kefiah, quella parvenza di lotta un po' ruffiana e un po' sincera che ti faceva mordere la polvere degli anni in tasca. Perché senza i Duran Duran e “sposerò Simon Le Bon” tanti di noi non avrebbero, per reazione, individuato in Bruce Springsteen (qualcuno in Bono) una specie di Messia. E poi, in fondo, i Duran Duran sono meglio dei Backstreet Boys.
É la nostalgia, bellezza.
E siccome ti stordisce, al pari delle belle donne (se si incarnasse, me la immaginerei un po' alla Marlene) alla fine ti trovi a esercitare una memoria selettiva non solo sulle esperienze, sul vissuto, ma anche sul visto/sentito/ascoltato/letto, ammesso che si possano scindere le due cose nella vita di ognuno. Per esempio: capita mai di rivedere un film amato per chissà che, e amarlo un po' di meno (o viceversa?). Da ragazzino un mio cult personale, ereditato da mio padre, era La stangata. Non l'ho rivisto per anni ma alcune sue parti (Paul Newman che gioca a carte sul treno) le ho ricordate a lungo come pezzetti di uno scrigno mitologico personale. Era uno dei venti, venticinque titoli che a rotazione programmavano sulla televisione svizzera dopo Scacciapensieri (!) e credo di averlo visto tutte le volte che è passato. Dopo quindici anni l'ho affrontato di nuovo e l'ho addirittura detestato.
Mi sono detestato.
Perché forse la passione per il cinema mi ha dato nel corso del tempo troppi strumenti per superare la fase emozionale e piombare – criticamente, freddamente – in quella intellettuale (lo dico alla lettera). E tuttavia Paul Newman che gioca a carte sul treno resta un'immagine bellissima, che non ha nulla a che fare con il film (me lo ricordavo in quello scomparto fumoso per un tempo ben maggiore) ma ha molto a che fare con me.
E con la nostalgia.
Mi accorgo adesso, scrivendo questi quattro concetti in totale libertà, che forse siamo di fronte a una chiave di lettura del passato. Ecco, sì, azzarderei pure questa specie di definizione che trapassa quella etimologica (nostalgia = sofferenza-data-dal-desiderio-del-ritorno: ci si addormenta solo a leggerla). Anche di cinema “della” nostalgia si può parlare? Forse, ma non vorrei finire sul teorico. Tipo aprire digressioni sul postmoderno, il ritorno al passato, il neoclassicismo e cose così. A parte che tutti gli esperti del settore sono concordi nel dire che la postmodernità è per definizione la morte stessa della nostalgia, perché recupera il passato spersonalizzandolo, è pur vero che certi filoni “moderni” (dagli anni '70 in qua), tipo quello “generazionale”, hanno pescato a piene mani tra spettatori ansiosi di riguardare sullo schermo, in trasposizioni romantiche (in senso nobile) “come eravamo” prima. Ma lascerei questo discorso ad altri selvaggi, che magari hanno più voglia di me di entrare nei meandri citazionisti e filologici.

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Un dato comunque è certo. Il cinema di oggi, nella sua stragrande maggioranza, ha perso tutto quel crepuscolarismo esistenziale che fece grande il filone nostalgico degli anni '70. Pensa ad altro, semplicemente: chissà che non abbia trovato il coraggio di guardare il futuro diventare presente, descrivendolo. Oppure potrebbe solo essere sceso a patti con il pubblico, che cerca una “fast view” sempre meno dolorosa (c'è anche la parola “dolore” nella radice di nostalgia…) e infatti non considera epocale un film (che invece secondo me epocale lo è di brutto) come Una storia vera di David Lynch (ma potrei dire lo stesso di Insider di Michael Mann o Gioco d'amore di Costner/ Raimi, e persino di Pane e tulipani di Silvio Soldini). E invece, guarda caso, si strappa le vesti per American Beauty di Sam Mendes o The Blair Witch Project di Myrick e Sanchez, due facce di una medaglia modernista che purtroppo pensa sempre più al packaging, al tempismo (il prodotto giusto, per il pubblico giusto, al momento giusto), e sempre meno al pensiero, che ha bisogno di prendersi i suoi, di tempi, come il vecchio Alvin o come Billy Chapel al centro del diamante.
Mi fermo qua, scivolo nel melodrammatico e non voglio diventare nostalgico.

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