La nuit des rois, di Philippe Lacôte

Il tema del potere come forma indissolubile di relazione con l’altro nella antica tradizione dei temi della cultura dei griot. Film d’apertura del FESCAAAL su MyMovies

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Il FESCAAAL numero 30, privato, come per gli altri festival, della presenza di spettatori e ospiti, ha inaugurato, nei canoni temporali più consueti, il suo programma in rete sulla piattaforma multitasking di MyMovies.
Spetta a La nuit des rois di Philippe Lacôte a fare da film inaugurale di questo trentesimo anno così atteso, dopo la forzata pausa del 2020, quando, tutti presi alla sprovvista, ci siamo ritrovati smarriti davanti ad una imponderabile pandemia.
Forse, per qualche verso, non si poteva trovare film migliore per condensare un discorso più generale sul cinema africano, sulla sua particolare natura e sui molteplici significati che il racconto al cinema riassume per gli autori africani.
L’ivoriano Philippe Lacôte non è un esordiente, anzi il suo Run, del 2014 era stato selezionato nel programma di Un certain regard per Cannes 67. In verità l’esperienza si vede tutta in questo film che sa essere perfetta sintesi di un più generale discorso sul potere come forma di possesso delle vite altrui. Lacôte lo ambienta nel penitenziario di Abidjan, la Maca, dove comanda un bangarò, un boss, Blaise, ma da tutti chiamato Barbanera. Quando arriverà un giovane nuovo detenuto, che appartiene alla banda dei microbi, Barbanera lo nominerà cantore. Ma Barbanera è malato e sa che dovrà cedere il proprio potere. Il compito del giovane cantore sarà quello di attraversare la notte della luna rossa con un racconto affinché si compiano i destini anche all’interno della prigione.
Non è raro che il cinema africano riassuma, proprio per il suo legame con una tradizione narrativa soprattutto orale, temi e drammatizzazioni che hanno costituito gli argomenti principali della migliore tradizione occidentale e nella quale si sono cimentati i più grandi drammaturghi della secolare tradizione europea, a cominciare dall’eterno Shakespeare.

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Il film di Lacôte lavora essenzialmente sul tema del potere come forma indissolubile di relazione con l’altro. La notte dei re è una notte di attese e di mutazioni, una notte di tradimenti e di asservimenti, ma anche di scelte e di successioni. Nel racconto del giovane cantastorie si addensano i segni di questa drammatica ascesa al potere all’interno del penitenziario, ma nel cuore di una tradizione che discende dritta da quella dei griot e che sembra doversi perpetuare nella sua infinita traduzione nel continuum del presente.
Mentre nella prigione, in un tempo apparentemente infinito, si consuma il dramma di Barbanera, vecchio dittatore dentro il terribile carcere ivoriano – l’unico carcere al mondo in cui comandano i detenuti, dice il direttore del penitenziario – il giovane cantore narra la storia del mitico Zama King. Il suo racconto teso a rappresentare il presente del Paese in quella articolata tessitura di scenari che disegnano sanguinosi scontri da guerra civile, sa farsi anche portatore e figlio di una tradizione antica di quei temi della cultura dei griot dai quali discende. È così che il cantore parla del presente del suo Paese dove il dittatore Gbagbo è stato arrestato dalle forze militari repubblicane, del presente all’interno della prigione dove si sta avverando un’altra lotta per la successione, ma tutto attraverso il mito che narra dello scontro per il potere tra la regina e il fratello minore. Una battaglia fantastica e quasi virtuale, senza sangue e senza vittime, uno scontro che si consuma con gli effetti speciali di una immaginazione che diventa natura, che diventa fantasia nella quale la fauna della savana è forma e protagonista fantastica di questa battaglia che si gioca sul filo della forza del pensiero.

È così che il film mette in scena le molteplici forme della presa del potere, laddove il racconto diventa, a sua volta, forma verbale di trasferimento del reale dentro le mutevoli forme del fantastico. Philippe Lacôte sa dominare il suo film, estremamente raffinato anche nella forma della messa in scena. Un film che sa lavorare sulla dislocazione teatrale dei personaggi con l’espediente di mettere in scena da parte degli stessi detenuti, quasi come in una improvvisazione immediata e contemporanea da flash mob, le parole che formano il racconto del giovane cantastorie.
Lacôte, con esperienza e senso dello spettacolo, sa coniugare tutti questi elementi e sa attribuire tensione ad un film ben radicato nel presente di un Paese complesso come la Costa d’Avorio, ma anche trasformare il suo cinema in racconto aggiornato di una tradizione culturale difficile da eludere. Una tradizione che ritorna nei rapporti di forza, davvero spietati che si manifestano in quei luoghi. È per questo che La nuit des rois diventa anche un racconto sulla salvezza, sulla possibilità di uscire da una catena di opprimenti dominazioni.
Il personaggio interpretato da Denis Lavant, unico bianco in una prigione di neri, con il suo gallo sulla spalla, diventa il mentore del nuovo arrivato incaricato di un compito così difficile, ma costituirà anche la via d’uscita per la sua condizione di predestinato. Il cantore capirà che il suo racconto non potrà avere termine se vuole avere salva la vita. Tradire la tradizione per mutare il corso delle cose. Philippe Lacôte aggiunge qualcosa di suo all’interpretazione della storia pur nel cuore delle tradizioni. Un tema che sembra aprire ad un altro racconto, quello che, forse il giovane cantastorie immaginerà guardando il sorgere del sole del mattino.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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