La passion selon Béatrice, di Fabrice Du Welz
Un film con una riuscita più teorica che pratica. Un viaggio alla memoria di Pasolini tra i luoghi dove è vissuto. LOCARNO77. Fuori concorso
Quella nutrita da Béatrice Dalle per Pasolini più che una passione rasenta l’ossessione e sfocia nel misticismo, vissuta con tale trasporto da finire spesso in lacrime, la gioia e la reazione emotiva di una donna redenta, lontana dal passato pieno di vizi e dipendenza. Il cammino di Santiago per lei è la tappa di un viaggio che, insieme al regista, percorre nei luoghi dove il poeta ha avuto dimora terrena, i santuari da cui i versi si staccano e raggiungono vette sublimi. Posti dell’infanzia o del cuore, e volti, più o meno conosciuti, ad accompagnarlo e venerarlo, molti ormai defunti, altri testimoni coscienti di aver incrociato la strada di un genio sui generis, che alle dieci di sera, puntale come un orologio svizzero, smetteva i panni del professore e si trasformava in un guerriero della notte, pronto a sfidare la morte. La morte che arriva, puntuale come sempre, per mano di una banda di ragazzini, la tesi preferita di Abel Ferrara, ma chissà. Il racconto è una sintesi casuale, tocca episodi culminanti di una vita per scoprirne un’altra, quella di un’attrice che della libertà ha fatto il suo credo, amante di Pasolini e di Vivaldi.
Un film verrebbe da dire episodico, in bianco e nero, costruito di rapide interviste nei bar e nei ristoranti, per le strade deputate alla cultura popolare, lontano dagli scranni accademici. Dalla breve durata emergono comunque fragilità ed idiosincrasie di una donna cresciuta da una famiglia povera, che ricorda l’infanzia e la prima volta in visita a Venezia, di un furto e di come sarebbe tornata al Lido come protagonista. Il cinema di Du Weltz trasmette sempre una strana sensazione, una specie di necrofilia delle immagini, come fossero reduci di una malattia nervosa, sopravvissute ed ormai prossime all’altare della grazia. Nascono nel buio, agognano alla luce. Stavolta le parole affiancano il veicolo nella traversata, e agli idoli assassinati senza rintracciare i colpevoli, viene combinato un tributo che diventa l’avvicinamento ad una sorgente di acque miracolose.
Poco scrupoloso ed imperfetto nel rappresentare il presente che si specchia nel passato, il documentario cerca una catarsi nella bellezza dei gesti rievocati, nell’amore innocente della bellezza, sfinito dalle trasgressioni a cercare una casa meno eccentrica ma con un tetto rassicurante. Placido eppure sovversivo e rispettoso dell’umana condizione, delle contraddizioni e dei ravvedimenti, della forza che viene meno e dalle paure rinasce vicino ad una nuova fonte di ispirazione. Di struttura piuttosto classica cerca di trasormare il quotidiano in un evento eccezionale, riuscendo a momenti alterni.