La petite dernière, di Hafsia Herzi
Dal pluripremiato romanzo omonimo di Fatima Daas, un film furbo e senza cuore che si perde primi baci, sguardi complici che finge di aver capito la lezione di Kechiche. CANNES78. Concorso

Doppie identità. Fatima nasconde il proprio nome, si fa chiamare Jasmine quando conosce altre ragazze nella app di incontri. Recita un altro personaggio, ma in realtà sotto altre generalità è se stessa. È invece dietro l’armonia familiare che si nasconde. Le lacrime davanti alla madre la lasciano in una terra di mezzo. È un’inquadratura piuttosto lunga di La petite dernière, quarto lungometraggio come regista dell’attrive Hafsia Herzi che adatta l’omonimo, pluripremiato, romanzo di Fatima Daas pubblicato nel 2020.
Fatima, 17 anni, è la figlia più piccola una famiglia di immigrati algerini che abita nella periferia parigina. Quando si scrive alla facoltà di filosofia dopo aver terminato gli studi, conosce un nuovo mondo. Si emancipa dalla sua famiglia e e sue tradizioni e scopre la sua omosessualità. Ma non riesce a vivere liberamente con sé stessa e con la sua fede musulmana.
C’è un primo piano in cui Fatima ha il velo e le scende una lacrima. Sul volto della protagonista, interpretata da Nadia Melliti, è come scissa, divisa. Questa condizione viene però mostrata dalla cineasta in modo ordinario, senza particolari scosse. Non basta stare attaccati al viso di Fatima, rivelarne i turbamenti e i desideri, mostrare gli attacchi di rabbia (l’aggressione al compagno di classe a cui spacca gli occhiali) per far avvertire quel terremoto emotivo, il dolore ma anche la reinvenzione della propria vita, presenti nel libro. L’approccio non è poi così dissimile da Nadine Labaki con Cafarnao. Un tema forte, col quale ci si può facilmente immedesimare, dove però la furbizia prevale nettamente sulla reale ispirazione.
La petite dernière si perde ‘primi baci’, sguardi complici, ansia nel momento in cui bisogna mettere i like nella app. Così come attraversa fugacemente le immagini dell’armonia familiare, in quella cucina dove Fatima è con le sorelle e con la madre che è al tempo stesso un rifugio e una prigione. In più stacca velocemente sull’avvicinamento e la separazione con Ji-na, la giovane infermiera di origine coreana, il cui rapporto viene mostrato avento un punto di riferimento ben preciso, che è il cinema di Kechiche e, in questo caso, La vita di Adele. Malgrado Harzi sia stata diretta dal regista in Mektoub, My Love: canto uno e Mektoub, My Love: intermezzo dove ha interpretato il personaggio di Camélia, esibisce solo una fisicità e una sessualità di facciata facendo finta di aver capito la sua lezione. Non c’è gioia, neance in quel Gay Pride attraversato da uno sguardo curioso quasi turistico e rischia l’involontaria comicità nell’incontro con l’imam. Dietro le premesse, La petite dernière stecca su tutta la linea. L’emancipazione resta solo nel libro. Finisce per adegiarsi dalle parti di Il tempo delle mele, ma rispetto quella melodia sentimentale, non c’è un briciolo di cuore.