Romanzo criminale, di Michele Placido

Partendo dai fatti de La banda della Magliana Michele Placido costruisce un film denso di conturbante fisicità e prorompente passionalità. Un ritratto storico che annega fra i corpi dei protagonisti e l'intimità di destini ed amicizie tragici ed impossibili…

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Prologo. Due uomini si abbracciano dopo una corsa fra dune di sabbia e qualche filo d’erba. Poi un colpo sordo di pistola, un corpo che inizia ad accasciarsi, e il viso dell’altro uomo rigato di lacrime e dolore. Sullo sfondo, un po’ più dietro, quasi ad abbracciare i corpi come in un lugubre teatro shakespeareano, una spiaggia di Ostia di qualche anno fa ancora sospesa fra sguardi pasoliniani e relitti della nostra recente memoria storica.

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Una straordinaria sequenza di amore e morte, furore e pietà: vive di questi impossibili ossimori visivi Romanzo criminale, l’ultimo film che Michele Placido ha tratto dall’omonimo romanzo del magistrato Giancarlo De Cataldo. Una pellicola che inietta l’attualità e la politica direttamente nelle vene dello spettatore, scuotendolo con emozioni vere e sincere, con figure di carne e sangue. Con una storia che puzza  dei vicoli di una Roma di periferia, affumicata dai fumogeni dei poliziotti e tagliata dalle pallottole dei terroristi, delle bande criminali, di puttane e amori clandestini, e di agenti segreti di uno stato italiano in debito d’ossigeno di democrazia. Una Roma di amore e morte, di assurda pietà ed irrefrenabile furore: la Roma de “la Banda della Magliana”. Già, perché alla fine sono proprio queste due parole – la pietà e il furore – solo apparentemente inconciliabili a meglio definire Romanzo criminale, a catturare in due semplici termini il groviglio di passioni che attraversa lo schermo saturando prospettive e angolazioni della macchina da presa.

 

Prima il furore: quello dei corpi di un gruppo di ragazzi di borgata che nel pieno dei mitici ’70 decidono di prendersi Roma intrecciando i loro destini a quelli di un’Italia inquieta e violenta. Corpi calpestati e sfregiati come quello del Libanese (interpretato da un bravissimo Pierfrancesco Favino), di Fierolocchio, del Terribile, del Bufalo; oppure figure di furia dolente come quelle incarnate dal Dandi (Claudio Santamaria) e dal Freddo (Kim Rossi Stuart). O, ancora, gli occhi lucidi e spietati del Nero (Riccardo Scamarcio) e il cranio rasato di un Gianmarco Tognazzi perfetto nel vestire i panni di un ex militante dei movimenti studenteschi passato ai servizi segreti statali. Tutti corpi che si rincorrono segnando il passo di ricatti e minacce, di inseguimenti e regolamenti di conti; schegge di un cinema impazzito che la macchina da presa di Placido ritma con un montaggio preciso ed adrenalinico, caparbiamente in contrappunto eppure sempre in osmosi con gli spazi ed i tempi della narrazione – è ancora una delicata questione di ossimori e contrapposizioni, di odi e attrazioni Romanzo criminale

 

Poi qualcuno fugge lungo la linea d’orizzonte di un’altra spiaggia romana e il cuore ti balza in gola, le vene iniziano a pulsarti dentro, incontrollabili. Perché su queste dune della memoria ogni gesto d’odio sembra divenire un atto d’amore, ogni corpo sembra fuggire da un fato maledetto ed inevitabile, ogni colpo di pistola si trasforma in un duello di epico romanticismo: Amleto e Oreste si incrociano fra Ostia e Testaccio. Mentre i castelli di sabbia del gangster movie si sciolgono dolcemente al calore di una tragedia intima e personale che perimetra la memoria collettiva di quegli anni lungo la carne di questi personaggi. Come in Un eroe borghese e in Del perduto amore non c’è Storia – quella con la ‘s’ maiuscola – se non si raccontano le emozioni, le amicizie, le tensioni delle singolarità, degli individui che si amano e si odiano davanti ad una macchina da presa.

 

Così il furore diviene dolce pietà. Quella grazia di un’innocenza persa per sempre che Placido, modificando la struttura del romanzo e l’originaria sceneggiatura di Rulli e Petraglia, introduce subito con un incipit che rinvia al Truffaut de I quattrocento colpi e poi precipita, in una vertigine di emozioni, verso un duplice amor fou. Quello impossibile che lega un criminale dal cuore tenero ad una ragazza appassionata d’arte, e quello folle e “triangolare” che stringe in nodo gordiano un boss della Magliana, una prostituta d’alto bordo (la femme fatale Anna Mouglalis)  ed un commissario di polizia più marcio ed ambiguo di molti dei delinquenti che combatte (Stefano Accorsi): ancora corpi che fremono, brandelli di pelle che l’obiettivo avvicina con primi piani fisici ed asfissianti, e poi la follia d’amore che seppellisce l’odio e la violenza. Perché per amare davvero, continua a dirci Placido, bisogna essere un po’ matti come il Dino Campana di Un viaggio chiamato amore o essere morti come i due protagonisti del meraviglioso Ovunque sei: bisogna essere pronti a correre a perdifiato in un tramonto di pomeriggio su una spiaggia di Ostia, sfidando la vita e la morte, annegando tutto il furore in un “pietoso” atto d’amore e d’amicizia.

 

 

 

Titolo originale: Romanzo criminale

 

Regia: Michele Placido

 

Sceneggiatura: Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Michele Placido, Giancarlo De Cataldo

 

Interpreti: Kim Rossi Stuart, Stefano Accorsi, Anna Mouglalis, Jasmine Trinca, Claudio Santamaria, Perfrancesco Favino, Antonello Fassari, Gianmarco Tognazzi, Riccardo Scamarcio, Massimo Popolizio.

 

Distribuzione: Warner Bros.

 

Origine: Italia, 2005

 

Durata: 153 min.

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