La porta aperta sul set. Intervista a Francesco Calogero

Abbiamo fatto una chiacchierata amichevole con Francesco Calogero, in sala dal 4 febbraio con il suo Seconda Primavera, giallo sentimentale e affascinante dalla cifra letteraria e personalissima

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a cura di Simone Emiliani e Sergio Sozzo

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Abbiamo fatto una chiacchierata amichevole con Francesco Calogero, in sala dal 4 febbraio con il suo Seconda Primavera, giallo sentimentale e affascinante dalla cifra letteraria e personalissima.

Quanto lavoro ha richiesto il film, che rappresenta per te anche un ritorno importante nelle sale cinematografiche?

Il lavoro è difficile da quantificare: il progetto produttivo è partito con il primo bando della Sicilia Film Commission, al tempo neonata, eravamo intorno al 2007 se non vado errato. Esisteva già una primissima stesura, era solo un trattamento ma quando la Film Commission ha approvato il progetto ho iniziato a lavorarci più concretamente. Ci sono stati rallentamenti di vario tipo, mi ero affidato a persone non giuste per lo sviluppo della produzione, e quando ho capito che stavamo perdendo il sostegno della Commissione, e quindi la possibilità di realizzare il film, abbiamo preso il coraggio a quattro mani con Mia Arfuso e abbiamo creato Politicco Produzioni, era il marzo 2013. Ci siamo messi in proprio a cercare investitori privati che col tax credit avessero potuto coprire la parte restante dell’investimento. Tax credit esterno, tax credit interno, sponsor vari e Film Commission: in questo modo siamo riusciti ad assemblare un piccolo budget anche grazie al sostegno della Regione Lazio.
E’ stato comunque difficilissimo riuscire poi a distribuirlo, perché alla fine i film si riescono anche a fare, abbassando i tempi di produzione: nel mio caso sul set siamo stati soltanto 23 giorni, con Nino Frassica che veniva a girare il sabato e la domenica. Veramente pochi per una sceneggiatura così complessa, abbiamo girato a velocità stratosferica grazie alla bravura degli attori e della troupe: dopo aver visto la prima versione il montatore Mirco Garrone ha fatto il calcolo che avevamo portato a casa 6 minuti buoni per ogni giorno di riprese. Questo è stato possibile girando quasi sempre in piano-sequenza, sfruttando il movimento interno degli attori per evitare di dover fare troppi cambi di inquadratura e di luci. Dunque in molti casi l’inquadratura di base era unica, e poi si interveniva con dei dettagli di copertura.

Avevi pensato subito a Seconda Primavera come titolo?

Sì. Alcune volte i film nascono praticamente a partire dal titolo. Per esempio, nel caso di Bionda per un giorno mi ricordo che il punto di partenza era proprio una battuta pronunciata da un’amica, “vorrei essere bionda solo per un giorno, per vedere l’effetto che fa”.
Per Seconda Primavera avevo letto da qualche parte che quando uno compie cinquant’anni spesso attraversa questa età biologica di un colore nuovo, ormai è proprio un’espressione idiomatica che credo sia stata coniata dai tedeschi per la prima volta. L’idea era di lavorare sulle stagioni, quelle metereologiche ma anche quelle della vita, collegare i personaggi alle stagioni e da lì lavorare sull’ossessione per il numero quattro: i quattro elementi aristotelici, i quattro umori della celebre teoria medievale e così via.
Quando parti con una struttura così costruita a tavolino, poi devi essere in grado di nascondere lo schema, mostrare il motore scoperto sarebbe stato orrendo. L’operazione più difficile è stata allora quella di seppellire tutto: quello che c’è nel film a livello di citazioni o riferimenti cinematografici e letterari non è mai gettato in faccia allo spettatore in maniera evidente. C’è un lavoro di dissezione e poi di sotterramento, in qualche modo.

Tutti questi riferimenti letterari e cinematografici come sono stati reinventati sul set, o dal set stesso, dalla villa, la vegetazione, l’architettura della casa? 

La regola è sempre quella di partire dalla sceneggiatura ferrea. Poi però c’è anche la controregola, quella di lasciare la porta aperta sul set. Gli attori, in questo senso, ogni tanto mi prendono in giro perché voglio lasciarli a briglia sciolta ma solo apparentemente, per poi riprendermela. E i riferimenti che ognuno di noi si porta dietro a volte vengono fuori in maniera anche prepotente. C’è una scena molto triste in cui Riccardo parte o almeno dice di partire per l’Africa. Hikma è abbastanza distrutta da questa notizia e rivolge uno sguardo malinconico verso Andrea. Siccome ogni capitolo si apre e si chiude con una soggettiva, lo sguardo sembra rivolto in macchina. Un po’ come quello di Harriet Andersson in Monica e il desiderio che Godard ha definito come “l’inquadratura più triste della storia del cinema”.
A Desirée Noferini le ho chiesto proprio di vedere quel film di Bergman. Ma credo che lei non lo abbia mai fatto. E a questo proposito mi viene da citare di nuovo Godard. Mi sembra che lui disse a Maruschka Detmers durante la preparazione di Prénom Carmen di ascoltare i quartetti di Beethoven anche mentre si lavava i denti. E lei non l’ha mai fatto.

Parlaci un po’ del percorso recente del film, dal Trieste Film Festival alla distribuzione di oggi. Ci hai rimesso mano?

Se ti ricordi, durante la proiezione di Trieste il sonoro non era sembrato soddisfacente. Da allora ho deciso che bisognava rimissare tutto. Ed ora infatti adesso mi piace molto di più. Nel frattempo, durate l’estate, abbiamo fatto questo accordo con Mariposa Cinematografica che ha deciso che era inutile distribuire il film per la fine dell’anno e ha scelto febbraio come data di uscita. Da Trieste non c’è più stata nessuna proiezione ma solo un lavoro di cesello. E abbiamo pensato essenzialmente alla promozione.

Domanda a bruciapelo. Per un regista i film possono essere come dei figli. Quello che uno ama di più, di meno, quello venuto meglio o peggio. Seconda primavera che figlio è?

È il più piccolo quindi è quello che ha maggiormente bisogno di essere sostenuto. È chiaro che ci sono affezionato. Io ho solo un figlio vero, nella vita, quindi non so dirti se un padre ne può amare uno più di un altro. Con qualcuno magari possono esserci dei confitti. I film invece non litigano con te. Di qualcuno puoi ricordarti i momenti migliori. Di altri invece le delusioni, i tormenti. Però alla fine capisci che vuoi bene a tutti quanti e sono una parte importante della tua vita.

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