La programmazione di Fuori Orario dal 13 al 19 giugno
Su Fuori Orario, Edward Yang e Jia Zhangke protagonisti del ciclo “Polvere nel vento”. Saranno trasmessi anche Vitalina Varela, Colossale sentimento e i materiali tv di ‘cinema sul fondo’.
Domenica 13 giugno dalle 3.00 alle 6.00
Fuori Orario cose (mai) viste
di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto
presenta
AUTOBIOGRAFIA TELEVISIVA DI UNA NAZIONE (8)
i materiali di cinema sul fondo 2
a cura di Paolo Luciani
La proposta CINEMA SUL FONDO 2, incentrata sul cinema italiano degli anni ’30 e ’40, che da alcuni mesi trova collocazione nelle notti di Fuori Orario ed è la diretta continuazione del progetto originale curato negli anni scorsi da Ciro Giorgini ed enrico ghezzi, viene ora accompagnato da una nuova serie di appuntamenti in cui l’attenzione sarà concentrata sui materiali (i più diversi per le modalità produttive, siano essi di taglio storico-giornalistico- educativo) che la Rai, nel corso degli anni, ha dedicato a quella parte della nostra riflessione storica che ha dovuto fare i conti con il fenomeno del Fascismo.
A partire dai primi anni ’60, soprattutto grazie anche alla cesura temporale di appena 15 anni dalla fine della guerra, come se non di più ad una realtà economica e culturale nuova, in grado di modificare in profondità anche il costume nazionale, proprio in quegli anni si moltiplicano le inchieste, i documentari, il film a soggetto che ritornano a studiare, raccontare, analizzare il ventennio, i suoi protagonisti come la condizione del paese tutto; di più, l’intenso e variegato lavoro storiografico trova anche nel cinema, nella stampa specializzata come in quella popolare, nella televisione in particolare, le tribune e le occasioni per manifestarsi, fino ad incidere nella cultura di massa in forme del tutto originali, coinvolgendo un pubblico vasto fatto “di chi c’era, come di quelli che sono venuti dopo”, capace anche di appassionarsi, confrontarsi, dividersi, sulle diverse tesi storiche a confronto.
Nelle notti che seguiranno cercheremo di dare conto di questa realtà , intrecciando materiali documentaristici televisivi con esperienze cinematografiche significative, bizzarre, meno scontate.
NASCITA DI UNA DITTATURA – 5° puntata
(Italia, 1972, b/n, dur., 71’25”)
Di: Sergio Zavoli, con la collaborazione di Edek Osser e Luciano Onder; coordinatore della fotografia Paolo Arisi Rota; riprese elettroniche Gianni Eleuteri; montaggio Giuseppa Baghdikian; musiche originali Gianni Marchetti.
messa in onda Raiuno 8 dicembre 1972 alle ore 21.00
Premio Saint Vincent 1973 per la televisione
Grande inchiesta storica che il giornalista realizzò in occasione del cinquantenario della Marcia su Roma. Siamo di fronte ad un lavoro esemplare dal punto di vista giornalistico e televisivo; Zavoli viene coadiuvato da una serie di storici come Alberto Aquarone, Gaetano Arfè, Gabriele De Rosa, Renzo De Felice, Gastone Manacorda, Salvatore Valitutti. Saranno 55 invece gli intervistati, testimoni diretti di quegli anni; per alcuni di questi, poi, si tratterà di dichiarazioni in esclusiva ed uniche (tra questi ricordiamo Rachele Mussolini ed Amadeo Bordiga). Ma ricordiamo ancora qualche altro nome: Franco Antonicelli, Sandro Pertini, Umberto Terracini, Riccardo Bacchelli, Oronzo Reale, Augusto De Marsanich, Leone Cattani, Giuseppe Spataro, Ugo Spirito, Pietro Nenni, Lelio Basso, Ferruccio Parri, Giuseppe Prezzolini…
In questa quinta puntata si prende in esame alcune delle più dibattute questioni storiche che da sempre accompagnano lo studio e l’analisi del fenomeno fascista; se esso ebbe una sua originale ideologia; come si pose nei suoi confronti il mondo culturale italiano, tra quelli che si adattarono più o meno velocemente alle sue parole d’ordine, per convinzione o, il più delle volte, per opportunismo; come l’uso della violenza fisica e dell’intimidazione, alla fine individuati come sicuramente dei tratti peculiari dell’agire del fascismo, si rivolsero, da subito, contro le diverse forme di opposizione culturale, dai sequestri nei confronti della stampa non allineata alla distruzione fisica di giornali e riviste, fino alla scelta obbligata dell’esilio per centinaia di professori universitari, giornalisti, intellettuali in genere, In particolare su questi punti sono di particolare valore le considerazioni di Franco Antonicelli, Giuseppe Prezzolini, Ugo Spirito, Riccardo Bacchelli, Alfredo De Marsico. La puntata prende poi in esame il momento delle elezioni del 6 aprile 1924 quando, grazie alla legge Acerbo ed al suo premio di maggioranza, il partito fascista conquistò una schiacciante maggioranza in parlamento. Con l’ausilio di testimonianze di eccezionale valore Zavoli ed i suoi collaboratori ricostruiscono da manuale dell’inchiesta giornalistica il delitto Matteotti. Il deputato socialista Giacomo Matteotti denuncia a più riprese, in parlamento e sulla stampa, i brogli e le violenze che hanno contribuito all’affermazione fascista. Il 16 giugno del 1924 viene picchiato e rapito da uomini della Ceca, una polizia parallela a cui il regime affidava operazioni di intimidazione nei confronti di avversari politici, Il corpo di Matteotti viene ritrovato pochi giorni dopo; nel paese si leva un moto di indignazione che mette in forte difficoltà il regime; la gran parte dei partiti di opposizione decide di lasciare il parlamento, nasce l’Aventino, il tentativo di trasformare il grande moto di sdegno morale che attraversava il paese, nell’ultima possibilità di ristabilire delle regole democratiche condivise. Tra le testimonianze presenti nella puntata, oltre a testimoni oculari di quei giorni, vanno ricordate quelle a Pietro Nenni, Girolamo Li Causi, Oronzo Reale, Giovanni Gronchi, Lene Cattani, Eugenio Artom, Emilio Lussu.
SETTIMO GIORNO 1928/1936 IL CONSENSO AL REGIME
(Italia, 1975, b/n, dur., 64’15’’)
a cura di Francesca Sanvitale con la collaborazione di Enzo Siciliano; regia di Luciano Pinelli; questa puntata è a cura di: Giovanni Cervini e Piero Natoli
Messa in onda 20/04/1975
In questa punta Enzo Siciliano incontra lo storico Renzo De Felice per confrontarsi sul quarto volume della sua monumentale biografia di Benito Mussolini; “ Il Duce – Gli anni del consenso” (opera che vide la stampa del primo volume, “Mussolini – Il rivoluzionario”, ben dieci anni prima, nel 1965). Siciliano sottolinea come questo lavoro, oltre caratteri propri di una biografia, sia ormai da intendersi a tutti gli effetti, come una storia del nostro paese nella prima metà del ’90: Questo volume è incentrato sul momento di massimo seguito di massa che il regime ebbe nel paese; consenso che in gran parte viene fatto risalire da De Felice per come il fascismo affrontò meglio di altri paesi la grave crisi economica e sociale susseguente al crollo del 1929. De Felice dialoga poi con le opinioni dello storico Rodolfo Mosca, in particolare sui caratteri della politica estera fascista; con l’economista Pasquale Saraceno, per quanto riguarda le caratteristiche degli interventi del regime in politica economica; con il sociologo Gino Germani, nell’individuare come l’avventura imperiale africana e la partecipazione alla guerra di Spagna siano da considerarsi le prime vere crepe del regime; con Giorgio Amendola, che conferma il giudizio dello storico di come per lungo tempo l’opposizione al fascismo fu poca cosa, minoritaria nel paese, anche tra la classe operaia.
Nella parte finale della trasmissione De Felice risponde anche a chi, come Leo Valiani, pur apprezzando il suo poderoso lavoro, lo ha accusato di una sorta di “simpatia” nei confronti di Mussolini; “non sta né in cielo né in terra!” risponde sdegnato lo storico, riaffermando invece, con forza, come il suo lavoro rappresenti un modo giustamente obiettivo di studiare un momento storico così importante per il nostro paese, dove l’obiettività è necessaria per evitare di incorrere anche ai nostri giorni negli errori fatali che portarono al fascismo.
Venerdì 18 giugno dalle 1.10 alle 6.00
POLVERE NEL VENTO
CINQUE MAESTRI D’ORIENTE (6)
a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto
TAIPEI STORY PRIMAVISIONETV
(t.l. Green plums and a bamboo horse, Taiwan, 1985, col, dur. 119’ v. o. sott., in italiano)
Regia: Edward Yang
Con: Tsai Chin, Hou Hsiao-hsien, Wu Nien-jen, Lin Hsiu-ling, Ke Su-yun, Ko I-chen, Mei Fang, Wu Ping-nan, Yang Li-yin, Chen Shu-fang, Lai te-nan
Una giovane donna (Tsai Chin) cerca di navigare il labirinto della Taipei contemporanea e alla ricerca di un futuro possibile. Spera che il suo fidanzato Lung (Hou Hsiao-hsien) sia la chiave per sopravvivere al naufragio metropolitano, ma Lung è bloccato in un passato che combina baseball e lealtà alla tradizione che lo porta a sperperare il suo patrimonio per salvare il padre di lei da problemi finanziari e a ritrovarsi sospeso, disorientato in un presente che sfugge.
Secondo lungometraggio di Edward Yang, un capolavoro in cui si avvale della collaborazione, nel ruolo di sceneggiatore e di protagonista maschile, del suo allora giovane compagno cineasta Hou Hsiao-hsien. Tsai Chin, la famosa cantante, è invece la protagonista femminile. Sarà proprio Hou Hsiao-hsien anni dopo a ricordare quanto Edward Yang, all’epoca da poco tornato dagli Stati Uniti, fosse già il più maturo della nuova rivoluzionaria generazione taiwanese e il primo che avesse con chiarezza in mente l’idea di raccontarla attraverso la deriva complessa e multiforme della metropoli. Costruendo una vera e propria architettura visionaria che da un lato guarda alla lezione di Ozu e dall’altro segue un innato e unico senso dello spazio e dell’ellissi, Edward Yang con Taipei Story cambiò per sempre la storia del cinema taiwanese e orientale tout court.
“Il mio punto di partenza era essenzialmente concettuale. Volevo raccontare una storia su Taipei. C’è un elemento personale in questo: molte persone hanno cercato di marchiarmi come un continentale, uno straniero che è in qualche modo contro Taiwan. Ma io mi considero uno di Taipei – non sono contro Taiwan. Sono per Taipei. Volevo includere ogni elemento della città, quindi mi sono davvero dato da fare per costruire una storia dalle fondamenta. I due personaggi principali rappresentano il passato e il futuro di Taipei e la storia riguarda la transizione dall’uno all’altro. Ho cercato di portare sullo schermo domande abbastanza controverse, in modo che gli spettatori si interrogassero sulle loro stesse vite dopo aver visto il film”. (Edward Yang, in John Anderson, Edward Yang, University of Illinois Press, Chicago 2005)
(Id., Cina, 2006, col., dur., 109’04’’ v.o. sott. italiano)
Regia: Jia Zhangke
Con: Zhao Tao, Han Sanming, Li Zhubing, Wang Hongwei, Ma Lizhen, Zhou Lin, Luo Mingwang
Presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e premiato con il Leone d’oro per il miglior film. Il film vede inoltre come direttore della fotografia Yu Li-wai, collaboratore di lunga data di Jia Zhangke e a sua volta regista di alcuni importanti film. Still Life è girato nel villaggio di Fengjie sulla riva sinistra del fiume Yangtze in una zona in quegli anni sottoposta e un massiccio progetto di trasformazione edilizia.
Han Sanming arriva a Fengjie alla ricerca di sua moglie, che lo ha abbandonato sedici anni prima portandosi via la figlia appena nata. Scopre che le due non vivono più lì ma nessuno sa di preciso dove si siano trasferite. Il fratello della donna gli dice che forse questa ripasserà in futuro e così l’uomo si fa assumere come demolitore e si stabilisce in città.
Nello stesso luogo arriva Shen Hong, in cerca del proprio marito che se ne è andato due anni prima e che da allora non si è quasi più fatto vivo. Un conoscente del marito le dà una mano a rintracciarlo e, quando i due finalmente s’incontrano, la donna reagisce con estrema freddezza e se ne va.
Nel frattempo Han Sanming viene a sapere che la moglie è tornata. I due s’incontrano ma la figlia non c’è, lavora in una città più a sud. La donna invece lavora su una barca, facendo una vita difficile. Han Sanming vorrebbe portarla via con lui ma per poterlo fare deve prima pagare i debiti. Visto che è una grande somma decide di tornare al suo villaggio d’origine a fare il minatore, dove riceve una paga molto maggiore di quella da demolitore ma mette molto di più a rischio la vita. I suoi colleghi, benché avvertiti del pericolo, decidono di seguirlo.
Sabato 19 giugno dalle 1.15 alle 6.30
CONVITATI DI PIETRA
a cura di Fulvio Baglivi
(Id., Portogallo, 2019, col., dur., 124’28”, v.o. sott. in italiano)
Regia: Pedro Costa
Con: Vitalina Varela, Ventura, Francisco Brito, Manuel Tavares Almeida, Marina alves Domingues, Imídio Monteiro, José Tavares Borges
Pardo d’Oro e Pardo per la miglior Interpretazione femminile al Festival di Locarno nel 2019
Una processione di ombre e corpi apre il film di Pedro Costa. Dal fondo di un vicolo scuro emergono lentamente, come fuoriuscissero dalla cavità di una roccia, una fila di corpi, tutti rigorosamente maschili. L’andamento oscillatorio delle figure, il buio, le ombre riflesse sulla parete di un cimitero, una marcia funebre. La morte segna l’inizio di Vitalina Varela, l’ultima predella di un grande polittico che Pedro Costa ha dedicato agli emigranti capoverdiani residenti a Lisbona. Tutto il film è avvolto da un silenzio mortifero. Non conosceremo il defunto, Joaquim, né, tantomeno, le relazioni che legano alcuni personaggi. Sua moglie, Vitalina Varela, arriva a Lisbona tre giorni dopo il suo funerale. La donna capoverdiana, che presta il suo nome e la sua storia al film, ha atteso 25 anni per raggiungere Joaquim a Lisbona. Spetterà a lei rompere il silenzio e abitare uno spazio ostile ed estraneo. Vitalina è il primo personaggio che arriva da Capo Verde a Lisbona invertendo, così, una traiettoria nella filmografia di Pedro Costa. Per la prima volta qualcuno giunge da Capo Verde ed ha l’opportunità di conoscere la vita che si conduce nella grande città. Vitalina ha atteso una vita intera per compiere questo viaggio, ma scoprirà che Lisbona, per i capoverdiani, non è niente più che uno spazio ostile, lo spazio dell’esclusione e della disgregazione.
“Accade qualcosa con l’arrivo di Vitalina a Lisbona. Non è solo una donna concreta, molto fisica, carnale, persino colma di desiderio. Vitalina avrebbe voluto vedere il marito, il suo corpo, lo afferma nel film. Vitalina rappresenta ciò che in pittura si definisce la Visitazione. È la Visitazione di qualcuno che viene da altrove, che porta notizie da un altro paese, da un altro tempo. Anche Vitalina è uno spettro. Il suo arrivo perturba e sconvolge la vita degli abitanti di questo quartiere. Solleva una sorta di scandalo. Li pone di fronte ad alcune verità. Riesce a schierare contro una parete questi uomini capoverdiani che definisce pigri, immemori, alienati. Li schiera come fosse un poliziotto di fronte ai sospettati. Li qualifica, li addita, adduce fatti…non dico crimini, ma quasi… Mentre concepivo il film mi sono ricordato di includere anche Ventura e per lui ho pensato la figura del prete. A Ventura serviva una sorta di contraltare. Mi sembrava interessante il contatto tra questa donna, questa forza del passato che rappresenta Vitalina, e questo giudice del presente che ha ormai letteralmente perso la ragione. Così come ha perso la fede, la fede e la testa. Ho pensato, ancora una volta, che il cinema probabilmente è fatto per questo…”. (Pedro Costa)
Pardo d’Oro e Pardo per la miglior Interpretazione femminile al Festival di Locarno nel 2019
Una processione di ombre e corpi apre il film di Pedro Costa. Dal fondo di un vicolo scuro emergono lentamente, come fuoriuscissero dalla cavità di una roccia, una fila di corpi, tutti rigorosamente maschili. L’andamento oscillatorio delle figure, il buio, le ombre riflesse sulla parete di un cimitero, una marcia funebre. La morte segna l’inizio di Vitalina Varela, l’ultima predella di un grande polittico che Pedro Costa ha dedicato agli emigranti capoverdiani residenti a Lisbona. Tutto il film è avvolto da un silenzio mortifero. Non conosceremo il defunto, Joaquim, né, tantomeno, le relazioni che legano alcuni personaggi. Sua moglie, Vitalina Varela, arriva a Lisbona tre giorni dopo il suo funerale. La donna capoverdiana, che presta il suo nome e la sua storia al film, ha atteso 25 anni per raggiungere Joaquim a Lisbona. Spetterà a lei rompere il silenzio e abitare uno spazio ostile ed estraneo. Vitalina è il primo personaggio che arriva da Capo Verde a Lisbona invertendo, così, una traiettoria nella filmografia di Pedro Costa. Per la prima volta qualcuno giunge da Capo Verde ed ha l’opportunità di conoscere la vita che si conduce nella grande città. Vitalina ha atteso una vita intera per compiere questo viaggio, ma scoprirà che Lisbona, per i capoverdiani, non è niente più che uno spazio ostile, lo spazio dell’esclusione e della disgregazione.
“Accade qualcosa con l’arrivo di Vitalina a Lisbona. Non è solo una donna concreta, molto fisica, carnale, persino colma di desiderio. Vitalina avrebbe voluto vedere il marito, il suo corpo, lo afferma nel film. Vitalina rappresenta ciò che in pittura si definisce la Visitazione. È la Visitazione di qualcuno che viene da altrove, che porta notizie da un altro paese, da un altro tempo. Anche Vitalina è uno spettro. Il suo arrivo perturba e sconvolge la vita degli abitanti di questo quartiere. Solleva una sorta di scandalo. Li pone di fronte ad alcune verità. Riesce a schierare contro una parete questi uomini capoverdiani che definisce pigri, immemori, alienati. Li schiera come fosse un poliziotto di fronte ai sospettati. Li qualifica, li addita, adduce fatti…non dico crimini, ma quasi… Mentre concepivo il film mi sono ricordato di includere anche Ventura e per lui ho pensato la figura del prete. A Ventura serviva una sorta di contraltare. Mi sembrava interessante il contatto tra questa donna, questa forza del passato che rappresenta Vitalina, e questo giudice del presente che ha ormai letteralmente perso la ragione. Così come ha perso la fede, la fede e la testa. Ho pensato, ancora una volta, che il cinema probabilmente è fatto per questo…”. (Pedro Costa)
COLOSSALE SENTIMENTO
(Italia, 2016, b/n,dur., 83′)
Regia: Fabrizio Ferraro
Roma, 1630-40: lo scultore barocco Francesco Mochi realizza il Battesimo di Cristo per la chiesa di San Giovanni Battista de’ Fiorentini di Roma. L’opera, rifiutata dal committente, inizia una peregrinazione di luogo in luogo che durerà quasi quattrocento anni. Roma, gennaio 2016: un gruppo di visionari decide di riportare la scultura nel luogo dov’era stata concepita. Improvvisamente, Cristo rompe il silenzio di quattrocento anni e si rivolge a Giovanni Battista.