La programmazione di Fuori Orario dal 13 al 19 marzo

Su Fuori Orario da stanotte a sabato 19, cinema/tv italiano anni ’50, nouvelle vague taiwanese con Taipei Story e I ragazzi di Fengkuei. E poi Mario Schifano con Umano non umano e Carmelo Bene

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CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

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Domenica 13 marzo dalle 2.10 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

COMPLIMENTI PER LA TRASMISSIONE..!

quella parte di televisione chiamata cinema

a cura di Paolo Luciani

Con queste notti inizia una ricognizione di Fuori Orario dedicata al lavoro tutto e solo cinematografico di tanti protagonisti della nostra televisione, in particolare di quella che si è costruita negli “anni d’oro” ’50 /’70.  Per alcuni di loro  il cinema ha rappresentato un momento di passaggio verso un impegno totalmente televisivo, spesso vissuto da innovatori del mezzo e del suo linguaggio; per altri invece il cinema ha accompagnato, con cadenze sempre diverse, ma ricorrenti, un orizzonte concreto e parallelo dove continuare ad esprimersi. Di più: spesso nella produzione cinematografica è facile riscontrare anticipazioni e momenti tipici del loro lavoro televisivo, così come in particolare le modalità produttive della tv sono diventate parte integrante e segno distintivo del loro fare cinema.

In ogni caso, per nessuno dei nomi proposti, crediamo si possa ipotizzare che il cinema e la televisione siano mai stati considerati e vissuti come  fratelli e sorelle minori.

IL MICROFONO È VOSTRO

(Italia, 1951, b/n, dur., 92’)

Regia: Giuseppe Bennati

Con: Gisella Sofio, Aroldo Tieri, Enrico Luzi, Ada Dondini, Guglielmo Inglese, Franco Parenti, Quartetto Cetra, Gorni Kramer, Cinico Angelini e la sua Orchestra, la Roman Jazz Band, Nilla Pizzi, Nunzio Filogamo

Nel 1950 l’omonima trasmissione radiofonica – che vede alla regia Corrado Mantoni non ancora il Corrado televisivo – ottiene un tale travolgente successo di pubblico da ispirare immediatamente una sua trasposizione cinematografica (una tipica operazione produttiva della Lux Film, capace, come poche altre case cinematografiche italiane,   di mixare cinema d’autore ed impegnato con operazioni che alcuni anni dopo avremmo definito  instant movie). Per di più, la struttura del programma radiofonico non avrebbe tardato a proporsi come un canovaccio per innumerevoli variazioni televisive negli anni a venire: far esibire degli artisti dilettanti alle prese con il loro “quarto d’ora di celebrità”. Primo film di Bennati, che, se con il film L’AMICO DEL GIAGUARO – 1958 si cimenterà con la trasposizione in film di una celeberrima trasmissione questa volta televisiva, alla televisione fornirà tutta la sua professionalità firmando nel 1970 la miniserie MARCOVALDO, interpretata da Nanni Loy e Didi Perego, ancora oggi considerato una delle migliori trasposizioni filmate di un’opera di Italo Calvino. 

VIVA LA RIVISTA!

(Italia, 1953, b/n, dur., 90’)

Regia: Enzo Trapani

Con: Carlo Dapporto, Isa Barzizza, Anna Maria Ferrero, Rossana Podestà, Walter Chiari, Carlo Campanini, Tino Scotti, Marisa Merlini, Galeazzo Benti, Gisella Sofio

Con oltre 500 programmi televisivi (nella Rai degli anni ’50 con documentari ed inchieste, in quella degli  ‘60/’80 dedicandosi quasi completamente al varietà,  ma lascerà una impronta significativa anche che nelle nascenti televisioni private – Fininvest, ma non solo – degli anni ‘70/’80) Trapani è l’autore televisivo di programmi che entreranno nella storia della tv  (da ALTA PRESSIONE a SENZA RETE, IL SIGNORE DELLE 21, alcune storiche edizioni di FANTASTICO, TASTO MATTO, NON STOP, HELLO GOGGI, SUPERCLASSIFICA SHOW, TE LA DO IO IL BRASILE, STRYX…). Prima della televisione, però,  c’è il cinema: laureato in architettura, a Cinecittà è scenografo per Zampa, Simonelli, Zeglio, Mattoli;  collabora anche con Camerini, Rossellini, Borghesio; esordisce alla regia nel 1950 con MARATACUMBA, MA NON E’ UNA RUMBA. Nel 1953 firma due film che in qualche modo anticipano il suo futuro lavoro televisivo, sia nella formula produttiva scelta (due film girati quasi contemporaneamente ( VIVA LA RIVISTA ! e VIVA IL CINEMA!), sia nella struttura del racconto  (una sorta di serializzazione e frantumazione narrativa tra le due operazioni). Naturalmente troviamo molti divi e personaggi famosi del momento; VIVA LA RIVISTA! rimane poi un documento unico d’epoca, per i numeri che presenta e per la testimonianza prestata da molti di quelli che in pochi anni saranno assorbiti, nel bene e nel male, dalla trionfante televisione.

 

Venerdì 18 marzo dalle 1.20 alle 6.30

A VIVA VOCE: CARMELO BENE PER SEMPRE(1)

a cura di Fulvio Baglivi

LA POESIA DIMENTICATA – LIRICHE DI DINO CAMPANA “DETTE” DA CARMELO BENE

(Italia, 1982, col., dur. 63’)

Di e con: Carmelo Bene

Regia TV: Raoul Buozzi

Straordinario filmato della sede Rai di Milano, andato in onda soltanto una volta quarant’anni fa, dell’evento-concerto del 13 marzo 1982 messo in scena da Carmelo Bene al Palazzetto dello sport di Milano e dedicato a Dino Campana. Accompagnato dalla chitarra classica suonata da Flavio Cucchi (che scriverà anche le musiche per Pinocchio), CB “dice” le liriche di Dino Campana davanti a settemila spettatori. Fu un successo, Carmelo continuerà per più di venti a dire le liriche di quello che per lui, con Dante, è stato il più grande poeta italiano, Dino Campana.

L’ADELCHI DI ALESSANDRO MANZONI IN FORMA DI CONCERTO

(Italia, 1984, col., dur., 98’)

Da uno studio di Carmelo Bene e Giuseppe Di Leva, L’Adelchi o la volgarità politica

Con: Carmelo Bene, Anna Perino,

Regia TV: Carlo Battistoni

Registrazione a cura della sede Rai di Milano dell’Adelchi messo in scena da Carmelo Bene al Teatro lirico di Milano nel 1984, con orchestra e coro della Rai per il bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni. Andata in onda soltanto una volta su Rai 2 il 9 settembre 1985. Carmelo Bene tornerà all’Adelchi nel 1997 in memoria del percussionista Antonio Striano.

UMANO NON UMANO                                                                             

(Italia, 1969, col, dur. 98’)

Regia: Mario Schifano

Con: Carmelo Bene, Mick Jegger, Keith Richards, Sandro Penna, Adriano Aprà, Alberto Moravia

Una serie di “quadri” si avvicendano: un uomo dopo avere assistito alla proiezione di un film di Godard e di alcune sequenze tratte da altri suoi film, si avvicina allo schermo e lo lacera. Il critico cinematografico Adriano Aprà espone alcune sue idee sulle funzioni del cinema nella società. Al centro di Roma, in piazza Colonna, sono raggruppati degli operai dell’Apollon in manifestazione. Lo scrittore Moravia passeggia solitario in riva al mare. Due amanti si voltolano banalmente in un letto. Il poeta Sandro Penna viene intervistato e, tra una lamentela e l’altra sui suoi acciacchi, legge brani meno noti delle sue poesie. Un contadino dipinge falce e martello sul suo campo vuoto…

Un capolavoro del cinema italiano girato dal pittore Mario Schifano e prodotto da Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones, un album della Roma “pop” e alternativa della fine degli anni ’60.

 

Sabato 19 marzo dalle 1.30 alle 6.30

TAIWAN VAGUE NOUVELLE

TAIPEI STORY

(t.l. Green plums and a bamboo horse, Taiwan, 1985, col, dur. 119’ v. o. sott., in italiano)

Regia: Edward Yang

Con: Tsai Chin, Hou Hsiao-hsien, Wu Nien-jen, Lin Hsiu-ling, Ke Su-yun, Ko I-chen, Mei Fang, Wu Ping-nan, Yang Li-yin, Chen Shu-fang, Lai te-nan

Una giovane donna (Tsai Chin) cerca di navigare il labirinto della Taipei contemporanea e alla ricerca di un futuro possibile. Spera che il suo fidanzato Lung (Hou Hsiao-hsien) sia la chiave per sopravvivere al naufragio metropolitano, ma Lung è bloccato in un passato che combina baseball e lealtà alla tradizione che lo porta a sperperare il suo patrimonio per salvare il padre di lei da problemi finanziari e a ritrovarsi sospeso, disorientato in un presente che sfugge.

Secondo lungometraggio di Edward Yang, un capolavoro in cui si avvale della collaborazione, nel ruolo di sceneggiatore e di protagonista maschile, del suo allora giovane compagno cineasta Hou Hsiao-hsien. Tsai Chin, la famosa cantante, è invece la protagonista femminile. Sarà proprio Hou Hsiao-hsien anni dopo a ricordare quanto Edward Yang, all’epoca da poco tornato dagli Stati Uniti, fosse già il più maturo della nuova rivoluzionaria generazione taiwanese e il primo che avesse con chiarezza in mente l’idea di raccontarla attraverso la deriva complessa e multiforme della metropoli. Costruendo una vera e propria architettura visionaria che da un lato guarda alla lezione di Ozu e dall’altro segue un innato e unico senso dello spazio e dell’ellissi, Edward Yang con Taipei Story cambiò per sempre la storia del cinema taiwanese e orientale tout court.

“Il mio punto di partenza era essenzialmente concettuale. Volevo raccontare una storia su Taipei. C’è un elemento personale in questo: molte persone hanno cercato di marchiarmi come un continentale, uno straniero che è in qualche modo contro Taiwan. Ma io mi considero uno di Taipei – non sono contro Taiwan. Sono per Taipei. Volevo includere ogni elemento della città, quindi mi sono davvero dato da fare per costruire una storia dalle fondamenta. I due personaggi principali rappresentano il passato e il futuro di Taipei e la storia riguarda la transizione dall’uno all’altro. Ho cercato di portare sullo schermo domande abbastanza controverse, in modo che gli spettatori si interrogassero sulle loro stesse vite dopo aver visto il film”. (Edward Yang, in John Anderson, Edward Yang, University of Illinois Press, Chicago 2005)

I RAGAZZI DI FENGKUEI                                          

(Fengkuei-lai-te jen, Taiwan, 1983, col., dur., 95′,  v.o. sott.italiani)

Regia: Hou Hsiao-hsien

Con: Doze Niu, To Tsung-hua, Lin Hsiu-ling, Chang Shih, Yang Li-yin, Chang Shun-fang

Film restaurato da Cinematek (Cinémathèque Royale de Belgique) in collaborazione con Hou Hsiao-hsien e The Film Foundation’s World Cinema Project

Tre ragazzi di Fengkeui, un tranquillo villaggio di pescatori delle isole Penghu, ingannano la noia compiendo risse e furterelli, sempre in fuga dalle responsabilità e dai genitori.  Dopo l’ennesimo scontro con la banda rivale, partono per Kaoshiumg dove uno dei ragazzi ha dei parenti e dove aspettano la chiamata per il servizio militare.   L’impatto con la grande città mette alla prova la loro amicizia  e li nette di fronte  alla difficoltà di crescere.

Con I ragazzi di Fengkuei inizia un nuovo periodo dell’opera del regista, segnato da un’impronta autobiografica e dalla collaborazione con la sceneggiatrice e romanziera Chu T’ien-wen. Per la prima volta il regista sceglie degli attori che non hanno una formazione precedente e registra le minime reazioni dei personaggi a contatto con un contesto urbano. Premiato al Festival di Nantes nel 1983 il film segna il riconoscimento internazionale del suo autore.

I ragazzi di Feng Kuei apparve nel momento di massimo fulgore del cinema commerciale taiwanese. Con Edward Yang passavamo molto tempo a discutere del neorealismo italiano, del nuovo cinema tedesco, della nouvelle vague francese… Eravamo influenzati da questi movimenti, che finirono per permeare I ragazzi di Feng Kuei. La scena del cinema fu girata a Taipei – parlo della scena in interni – e chiedemmo al cinema di proiettare qualcosa. Rocco e i suoi fratelli era il film in programmazione quel giorno”. (Hou Hsiao-hsien).

I ragazzi di Fengkuei corrisponde a un momento di equilibrio fuori dal comune, una specie di grazia. Non sapevo esattamente cosa stavo facendo ma ne sentivo il presentimento”. (Hou Hsiao-hsien)

“Quel che mi è apparso subito chiaro è che Hou Hsiao-hsien era un outsider, non faceva parte della gang, non era uno che faceva parlare di sé, niente di tutto questo. C’era semplicemente la forza di un film, I ragazzi di Feng Kuei, emerso e impostosi per ottime ragioni. Nel cinema, simili ragioni sono sempre di natura metafisica. Lo stile di Hou – allo stesso tempo intuitivo, potente e contemplativo, distante da qualsiasi tentativo di seduzione e capace di usare la forza bruta per puntare solo ed esclusivamente all’essenziale – fu estremamente benefico per il cinema cinese. Partendo da zero, Hou seppe rivoluzionarne la comprensione e la visione del mondo, e superando le impasse del classicismo e del modernismo d’importazione definì la possibilità di un nuovo e originale punto di vista sul mondo contemporaneo.” (Olivier Assayas)

“Comparso come una sorta di miracolo, Hou Hsiao-hsien era finalmente il grande cineasta cinese che ci era sempre mancato.” (Olivier Assayas)

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