La programmazione di Fuori Orario dal 13 al 19 novembre

Serate dedicate ad Aldo Moro e Francesco Rosi. E poi Fulvio Risuleo e Marco Colli. Su Fuori Orario da stanotte a sabato prossimo.

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Domenica 13 novembre dalle 2.30 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

LA NOTTE DI ALDO MORO (SE CI FOSSE LA LUCE SAREBBE BELLISSIMO)

a cura di Fulvio Baglivi

In occasione della messa in onda dello splendido Esterno notte di Marco Bellocchio (il 14-15-16 novembre su Rai Uno in prima serata) mandiamo in onda un’intera notte con opere ispirate e legate al rapimento e l’omicidio di Aldo Moro nel 1978. Ritorna il mastodontico lavoro di Ciro Giorgini, composto tra il 1998 e gli anni successivi, un montaggio che unisce la cronaca dei 55 giorni di rapimento a pezzi di TV più e meno legata alla politica, a commenti e approfondimenti della primavera ’78. In apertura della notte c’è il racconto di un un’opera musicale, Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo di Blak Saagan, anche questa interamente ispirata e dedicata al “caso Moro”.

SE CI FOSSE LA LUCE SAREBBE BELLISSIMO

(Italia 2022, col., dur., 20’ circa)

Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo è il titolo dell’album di Blak Saagan, preso dall’ultima lettera di Aldo Moro. Samuele Gottardello ha composto il disco, senza parole, come un viaggio nel “caso Moro” e la sua epoca, cercando di vedere più da vicino, come mostrano i due videoclip girati dallo stesso compositore, quel momento fatale dell’Italia repubblicana. 

LUOGHI DI MORO

(Italia, 1998, col., dur., 26’)

Di: Ciro Giorgini e enrico ghezzi

Da Via Montalcini a Via Caetani, il percorso della R4 rossa con dentro il cadavere di Moro rifatto e filmato venti anni dopo, in Vespa.

FUORI ORARIO – LA NOTTE DI ALDO MORO – 1 e 2 parte

(Italia 1998-2008, col., durata totale 246’)

Di: Ciro Giorgini

Lungo e articolato lavoro di Ciro Giorgini sugli ultimi cinquantacinque giorni del politico democristiano. Il “caso Moro” è uno degli argomenti cardine del lavoro di Ciro all’interno dell’archivio RAI, come e più di altre sue ricerche è un lavoro svolto in momenti diversi, con due moneti apicale nel ventennale prima (1998) e poi nel 2008, andando sempre più in profondità alla scoperta ogni volta di nuovi materiali, schegge, servizi, frammenti che compongono un’opera che si fa sempre più complessa proprio nell’illusione di farsi completa.

 

Venerdì 18 novembre dalle 1.35 alle 6.00

MODI DI VIVERE. IL DESIDERIO DELL’ARIA

Fulvio Risuleo e Marco Colli in dialogo a Fuori Orario 

a cura di Fulvio Baglivi Roberto Turigliatto

CONVERSAZIONE TRA FULVIO RISULEO E MARCO COLLI

A cura di: Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

(Italia, 2022, col., dur. 20’ circa)

I due cineasti dialogano sulle loro idee di cinema, la reciproca stima, sui due film presentati nella notte di Fuori Orario. La conversazione è stata realizzata in occasione dell’uscita del nuovo film di Risuleo, Notte fantasma.

GUARDA IN ALTO                      

(Italia, 2017, col., dur., 86’)

Regia: Fulvio Risuleo

Con: Giacomo Ferrara, Aurelia Poirier, Ivan Franek, Lou Castel, Claudio Spadaro, Emilio Gavira, Alida Calabria, Cristian Di Sante

Teco (interpretato da Giacomo Ferrara) è un fornaio dall’aria delusa che una mattina come tante si reca sul tetto dell’edificio in cui lavora per fumare una sigaretta. È incuriosito dal volare di un gabbiano che sembra muoversi diversamente dagli altri. Il gabbiano è un congegno meccanico che cela all’interno una mano mummificata. Da qui inizia per Teco (insieme alla nuova conoscenza Stella) un viaggio meraviglioso sui tetti di Roma, tra fughe, peregrinazioni, incontri bislacchi, cunicoli e labirinti:  “come fosse un mondo underground che …la creazione di un mondo inesistente ma realistico”, secondo le parole con cui il regista presenta  il film.

“La città è la protagonista di questo film, i tetti, la città sono un luogo che io ho potuto creare perché appunto non esiste un immaginario di tetti nel cinema. Ci sono qua e là nel cinema italiano, soprattutto nel neorealismo, scene di tetti e spesso sono scene dove i personaggi vanno a nascondersi, vanno in posti dove non possono essere visti e questa è anche un po’ la chiave. Tutti i personaggi che fanno parte di questo film si nascondono, sono in fuga o sono comunque lontani dalla folla. E quindi per me questa è Roma sì,  ma è una Roma parallela, una Roma immaginaria che voleva essere un po’ una Babele, come se dovesse ricordare una città dove si parlano tutte le lingue, anche le lingue inventate,  che potesse ospitare tutti.   Gli intenti sono quelli di spingere le persone a immaginare, a trovare una via di fuga, a pensare che il mondo può anche non essere solo noia e scocciatura ma può essere anche inseguimenti tra suore, gabbiani robot, razzi spaziali, nani bugiardi, tutto quello che può stimolare la fantasia e l’immaginazione   (…) Spesso si parla del cinema del reale in maniera sociale, è tutto ciò da cui io fuggo, poi ci sono registi che riescono anche a renderlo interessante, sono dei grandi artisti infatti. Però un cinema che guarda la realtà cruda e sporca però con un occhio più sognatore, più nonsense, è un cinema di cui a me piacerebbe far parte e che magari in Italia si è frequentato poco”. (Fulvio Risuleo, da un’intervista di “Sentieri Selvaggi”, 16 ottobre 2018)

GIOVANNI SENZAPENSIERI

(Italia, 1986, col., dur., 89’)

Regia: Marco Colli

Con: Sergio Castellitto, Eleonora Giorgi, Aldo Fabrizi, Franco Fabrizi

Opera prima del regista, resentato al Cannes alla Quinzaine des Réalisatuers e vinitore del Grand Prix al festival di Annecy.

Giovanni è l’ultimo, spiantato e nullafacente, erede dei duchi di Cantelmo. Vive da quando è nato nel palazzo degli avi, nel cuore della vecchia Roma, accudito da due vecchie governanti: la burbera Teresa e la dolce Letizia. La gente gli vuole bene, ma lo considera un po’ scemo e lo ha soprannominato Giovanni Senzapensieri. C’è pure qualcuno che approfitta della dabbenaggine di quel povero idiota. Giovanni è innamorato di una bella e misteriosa vicina di casa, Claire: la segue per strada, la guarda da lontano, non le ha mai parlato, ma continua a sperare. Infatti Giovanni è uno che spera l’insperabile, ed è proprio in grazia di questa sua particolarità che, entrato in possesso del segreto di un suo avo rinascimentale, intimo amico e collaboratore di Leonardo da Vinci, realizzerà i suoi sogni e troverà la sua libertà.

MODI DI VIVERE – GIORGIO COLLI: UNA CONOSCENZA PER CAMBIARE LA VITA
(Italia, 1980, col., dur., 65’)

Realizzazione: Giorgio Mosul

Regia: Marco Colli

Fuori Orario manda  in onda  la straordinaria puntata per la serie “Modi di vivere” dedicata al filosofo Giorgio Colli. Andata in onda nel 1980, un anno dopo la morte di Colli, curata da Marco Colli, è un ritratto sfaccettato con interventi dei familiari e degli amici di una vita (tra i quali Mazzino Montinari, Nino Cappelletti, Clara Valenziano), gli editori Einaudi, Boringhieri, Foà. Carmelo Bene, in omaggio al pensiero e all’opera del filosofo con cui condivideva amori e visioni, legge brani dalle opere di Colli e da Così parlò Zarathustra di Nietzsche.

 

Sabato 19 novembre dalle 1.40 alle 7.00

100 X ROSI

a cura di Paolo Luciani

Anche Fuori Orario partecipa alle iniziative che ricordano i cento anni dalla nascita del regista Francesco Rosi (15 novembre 1922). Se l’apprendistato con Luchino Visconti ha spesso indirizzato una parte della critica a parlare della sua poetica cinematografica come di una personalissima estetica del neorealismo, è indubbio che, anche per Rosi,  possiamo parlare di appartenenza a quella generazione di autori che ha coscientemente scelto di misurarsi con un cinema della realtà, strumento privilegiato per raccontare un paese, un momento politico, una fase storica.

CRISTO SI E’ FERMATO AD EBOLI  – 1, 2, 3 e 4 puntata

(Italia, 1978, col., durata totale 197’)

Regia: Francesco Rosi

Con: Gian Maria Volontè, Lea Massari, Irene Papas, Paolo Bonacelli, Alain Cuny, Francois Simon, Luigi Infantino, Muzzi Loffredo, Antonio Allocca

1935. Il medico-pittore torinese Carlo Levi, condannato al confino dalla dittatura fascista, accompagnato da due carabinieri, scende dal treno alla stazione di Eboli: “Cristo si è davvero fermato ad Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno ed il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la storia”. (C. Levi)

Il viaggio prosegue in pullman e quindi in automobile. Raggiunto il piccolo paese di Gagliano, Carlo inizierà le sue piccole passeggiate in compagnia del cane Barone. Lentamente si misurerà con il complesso di credenze arcaiche e tradizioni secolari che rappresentano l’anima profonda della vita della popolazione; una popolazione che, comunque e alla fine, imporrà tanto a lui quanto al podestà fascista, di esercitare lui la professione di medico. Visitato dalla sorella Luisa, prenderà alloggio in una modesta casa ove lo servirà Giulia, una enigmatica contadina. Riprenderà anche a dipingere e stabilirà un rapporto di conoscenza, seppur contraddittorio, con il parroco Don Trajella e con il podestà. La conquista dell’Abissinia da parte del fascismo e la conseguente proclamazione dell’Impero comporteranno una amnistia che riguarderà anche Carlo; liberato, farà ritorno a Torino, carico di ricordi si appresterà a scrivere un libro su questa sua straordinaria esperienza. (dalle note di distribuzione)

«….  è un film felice. Che mi commuove ancora oggi. Malgrado il passo lento, il film tiene. Grazie alla presenza magnetica di Volontè, ai volti meravigliosi dei contadini e agli ambienti. Non succede nulla, eppure non annoia…. a questo film pensavo già addirittura mentre giravo Salvatore Giuliano. Un giorno trovo Carlo Levi per le strade di Montelepre, viene sul set. Mi dice: “Voglio scrivere un articolo sul film che stai facendo”, ma in realtà mi studiava, come se fosse venuto per vedermi al lavoro. Evidentemente voleva annusare il mio rapporto con il set, con la storia…. in qualche altra occasione devo aver fatto capire a Levi di essere interessato al suo libro. Poi venni a sapere che sul mio set a Montelepre era venuto proprio perché stava valutando di affidarmi la direzione di Cristo si è fermato a Eboli. Ed intanto io ci pensavo per conto mio. Ma non glielo avevo ancora chiesto. Tieni presente che in tanti gli avevano detto di essere interessati: Rossellini, Pietro Germi, credo anche Visconti. Ma lui non aveva mai concesso i diritti del libro.

Lo capisco, il cinema neorealista doveva passare per una storia. E lì, in Cristo si è fermato a Eboli, la storia non c’è. Immagino che, vedendomi girare Salvatore Giuliano, un’opera apparentemente senza una storia, abbia pensato “… vabbè, questo è adatto”. Naturalmente non poteva conoscere il risultato finale del lavoro che stavo facendo. Ma forse qualche amico comune gli avrà detto: “ Franco si avvicina alla realtà, alla storia, ai personaggi. Senza modificarli.”  Comunque  sia andata, a me Carlo Levi disse di sì…..»

(da, IO LO CHIAMO CINEMATOGRAFO, conversazione di Francesco Rosi con Giuseppe Tornatore,  Mondadori, 2012) 

DIARIO NAPOLETANO

(Italia, 1992, col., dur., 86’)

Regia: Francesco Rosi

Con: Francesco Rosi,  Percy Allum, Piero Craveri, Cesare De Seta, Carlo Fermariello, Giuseppe Galasso, Aldo Schiavone, Bruno Zevi, Gerardo Marotta

«…l’imperfezione e l’incompiutezza non mi hanno mai messo paura. Certe volte bisogna lasciarsi andare, avere fiducia più nel contenuto che nella forma… è con questo spirito che ho fatto DIARIO NAPOLETANO, una specie di documentario. Diciamo che è stato come un esercizio di alleggerimento. Prima non avevo mail fatto documentari. Non li amo. Sembrerà strano. Quando ho dei personaggi, mi piace raccontarne la vita. Il direttore di Rai Tre dell’epoca, Angelo Guglielmi, mi chiamò e mi disse: “perché non fai un documentario per noi? Hai un’idea?”, gli dissi: “  Potrei raccontare ciò che oggi è di interesse sociale, potrei raccontare Napoli.” Scelsi uno stile che fosse anche abbastanza avvincente. Non c’è pesantezza. Nemmeno nella prima parte, in cui intervengono architetti, professori. Parlano di temi importanti, che corrispondono alla verità. Napoli è considerata una città particolare, lo è.  C’è un modo di vita che accomuna le persone colte ai popolani. Un modo di prendere la vita, non dico con leggerezza, ma con un senso di fatalità, con una mancanza di drammaticità. DIARIO NAPOLETANO è un misto di amore, di delusione, di preoccupazione ed anche di dolore…»

(da, IO LO CHIAMO CINEMATOGRAFO, conversazione di Francesco Rosi con Giuseppe Tornatore, Mondadori, 2012)

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