La programmazione di Fuori Orario dal 16 al 22 marzo

Cinema anno zero con Garrel, Fuori Orario per Ioseliani, Memoria, Storia e Mito tra Tarantino e Anderson. Da stanotte.

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OPEN DAY OPERATIVO: A scuola di cinema, a Roma 3/4 maggio (iscrizione gratuita)

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Fundraising per l’audiovisivo: Corso online dal 14 aprile

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Produzione e Distribuzione Cinema: due corsi dal 6 maggio

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Domenica 16 marzo dalle 2.30 alle 6.00

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

CINEMA ANNO ZERO (5)

a cura di Roberto Turigliatto

IL SALE DELLE LACRIME  

(Le sel des larmes, Francia, 2020, col., durata 97′, v. o sott. it.)

Regia: Philippe Garrel

Con: Logann Antuofermo, Oulaya Amamra, André Wilms, Louise Chevillotte, Souheila Yacoub, Martin Mesnier, Teddy Chawa, Aline Belibi

Spinto dal suo desiderio di diventare un ebanista, Luc arriva a Parigi. Perso nelle banlieues, chiede indicazioni a Djemila, una ragazza timida in cui Luc intravede la possibilità di un’avventura. I due si incontrano di nuovo, ma poi Luc deve tornare a casa da suo padre, che è anche lui un falegname. Lì incontra Geneviève, che conosce da molto tempo, e inizia una storia d’amore con lei. Quando a Luc viene offerto un posto alla rinomata scuola per mobilieri École Boulle, segue il suo sogno e si trasferisce a Parigi, lasciandosi Geneviève alle spalle. Ben presto, una terza giovane donna entra nella sua vita, portando con sé la libertà della grande città.

Attraverso la magnifica fotografia in bianco e nero di Renato Berta, Philippe Garrel ritrae un’educazione sentimentale, che è in realtà un racconto crudele della giovinezza.

LA CICATRICE INTÉRIEURE (LA CICATRICE INTERIORE)

(Francia, 1970, col, dur., 58′, v.o. sott., it.)

Regia: Philippe Garrel

Con: Nico, Pierre Clémenti, Philippe Garrel, Ari Boulogne, Daniel Pommereulle, Jean-Pierre Kalfon

Nel 1970 Nico, dopo l’esperienza la Factory di Ady Warhol e l’esperienza discografica con i Velvet Underground pubblica Desertshore, prodotto da Nick Cave. Nel frattempo è diventata la compagna di Philippe Garrel, erede diretto e precoce della Nouvelle Vague, amatore del rock, della pittura, attore e testimone del maggio 68. Desertshore diventa la musica del nuovo film di Garrel, accompagnando l’erranza di una donna, di due uomini e di un bambino in paesaggi isolati e deserti dell’Egitto, del Nuovo Messico (già percorsi da Stroheim) e dell’Islanda. Con La cicatrice intérieure Garrel gira un vero e proprio film-trip, un film mistico e materialista. Un’opera chiave del cinema post68, che ha influenzato molti cineasti della generazione successiva.

“Non dovete guardare questo film e porvi delle domande, dovete vederlo nello stesso modo in cui camminereste nel deserto. Il film è fatto di tracce… e di pietre miliari…All’epoca di La cicatrice intérieure volevo il deserto, il deserto americano. È fantastico il deserto, con una macchina da presa. Si è completamente fuori dalla civiltà. Nessun oggetto, nessuna casa. Tutto è vergine. Un modo per staccarsi dal mondo. Sul terreno si prova la vertigine, l’impressione che girando si cambi di universo. Come una tela in movimento, che dirige le vibrazioni, senza che ci sia un percorso, un apriori sull’evoluzione; c’è un universo mistico. Il cinema della déraison” (Philippe Garrel)

Henri Langlois scrisse di La cicatrice intérieure: “È un capolavoro totale che non riuscirei a spiegare, come se improvvisamente tutta l’umanità, tutta la terra si mettessero a parlare, la terra nel senso mitico di madre. Ma forse nemmeno la terra,  è proprio l’humus a parlare…È incredibile, in questo film c’è tutto”.

 

Venerdì 21 marzo dalle 1.40 alle 6.00

ADDIO TERRAFERMA. FUORI ORARIO PER OTAR IOSELIANI

a cura di Roberto Turigliatto

PASTORALE

(Pastorali, URSS 1976, b/n, 94’, v.o. sottotitoli italiani)

Regia: Otar Ioseliani

Con: Nana Ioseliani, Tamar Gabarashvili, Mikhail Naneishvili, Nukri Davitashvili, Baia Matsaberidze

Proibito dalla censura sovietica fino al 1979 il film fu proiettato per la prima volta all’estero e scoperto al Festival di Berlino del 1982, dove vinse il premio FIPRESCI. Subito dopo Ioseliani proseguirà la sua opera di cineasta in Francia.

Un quartetto di giovani musicisti classici (due uomini e due donne) arrivano in uno sperduto villaggio della Georgia per preparare il repertorio del loro prossimo concerto di musica pastorale. Musicisti e abitant del villaggio si guardano con stupore pensando a quanto siano distanti i loro modi di vivere. .Lo scontro-incontro con una cultura diversa, una ragazza che si innamora, un borioso funzionario di partito, i pettegolezzi, gli incontri, le separazioni… Una commedia lirica sulla quotidianità, colta negli impercettibili mutamenti degli individui, nei costumi, nelle culture contadine.

«Ogni inquadratura contiene molteplici avventure e costituisce di per sé una sorta di unità che può venire posta in rapporto a ciò che la precede e a ciò che la segue, mentre il suono molto spesso dice qualcos’altro rispetto all’immagine. In altre parole ci sono moltissime cose da vedere e da cogliere nello stesso tempo: ma se qualcosa sfugge non importa, il piacere resta intatto – come quando in Playtime di Tati si sentono altri spettatori che ridono per aver colto una gag che a noi era sfuggita. Davanti al grande schermo 70 mm di Tati gli spettatori sono un po’ come degli etnologhi, il lavoro da fare non manca. Il film di Ioseliani a sua volta ha qualcosa di un progetto etnologico: distruggendo la vecchia idea di raccontare una storia il film racconta molte più storie di quanto non ne contenga il cinema ordinario e le moltiplica nelle gioie del documento: il che significa che si rivolge allo spettatore di domani» (Bernard Eisenschitz, “L’Humanité”, 1980)

ADDIO TERRAFERMA – CONVERSAZIONE CON CARLO HINTERMANN, DANIELE VILLA ZORN, PAOLO TROTTA          prima visione tv

Conversazione a cura di Roberto Turigliatto in ricordo di Otar Ioseliani. 35’ circa.  Carlo Hinterman è regista, sceneggiatore, scrittore, Daniele Villa Storn è regista e artista visivo, Paolo Trotta è stato assistente alla regia degli ultimi film di Ioseliani. Carlo Hinterman e Daniele Villa Zorn sono autori del volume Addio terraferma. Ioseliani secondo Ioseliani (Ubulibri, 1999)

UN INCENDIO VISTO DA LONTANO           

(Et la lumière fut, Francia/Italia/Germania Ovest, 1989, col., dur.,101’, v.o. con sott.it.)

Regia: Otar Ioseliani

Con: Sigalon Sagna, Saly Badjji, Binta Cissé, Marie-Christine Dieme, Fatou Seydi, Alpha Sane, Abdou Sane, Souleimane Sagna

In un villaggio rurale dell’Africa subsahariana la vita scorre tranquilla e sempre uguale da ormai diversi secoli. Le donne vanno a caccia e raccolgono i frutti della foresta, gli uomini si occupano del villaggio. Ci si ama, ci si lascia, si litiga, si fanno magie e si prega per la pioggia. Ma la modernità è in agguato a causa delle multinazionali del legno. Con l’arrivo dei bianchi inizia la deforestazione e la conseguente desertificazione.   Excursus africano per l’apolide georgiano Otar Ioseliani, autore cardine di Fuori Orario, che mette in scena la dinamica coloniale e lo sfruttamento di persone e luoghi a favore del denaro. Premio speciale della giuria a Venezia.

 

Sabato 22 marzo dalle 0.50 alle 7.00

UN’OPERA DI MEMORIA, STORIA E MITO

Quentin Tarantino e Paul Thomas Anderson nella città di quarzo

a cura di Lorenzo Esposito

C’ERA UNA VOLTA A… HOLLYWOOD                                      

(Once Upon a Time In… Hollywood, Usa, 2019, col., dur. 155’)

Regia: Quentin Tarantino

Con: Brad Pitt, Leonardo Di Caprio, Margot Robbie, Emilie Hirsch, Margaret Qualley, Timothy Olyphant, Austin Butler, Dakota Fanning, Bruce Dern, Al Pacino, Luke Perry

C’era una volta a… Hollywood è – per ora – l’ultimo film diretto da Quentin Tarantino. È stato presentato in prima mondiale in Concorso al 72esimo Festival di Cannes. Del film esiste la versione-romanzo (novelization) scritta da Tarantino stesso nel 2021. È stato l’ultimo film in cui è apparso Luke Perry, alla cui memoria è dedicato. Ha vinto due Oscar: Best Supporting Actor (Brad Pitt) e Best Production Design.

Così Tarantino, in un’intervista a Kim Morgan per “Beverly Cinema” (Settembre 2019), spiega da cosa ha tratto l’ispirazione per questo capolavoro: “Devo dirvi una cosa. Possiamo procurarci le foto reali di com’era Sunset Boulevard nel 1969 o di com’era Riverside Drive o Magnolia, possiamo farlo. E l’abbiamo fatto. Ma il punto di partenza sarebbe sempre stato il mio ricordo di bambino di sei anni seduto sul sedile del passeggero della Karmann Ghia del mio patrigno. E anche quell’inquadratura, che guarda Cliff mentre passa davanti a Earl Scheib e a tutti quei cartelli, è più o meno la mia prospettiva, da bambino…” […] “da bambino – e probabilmente anche adesso, ma soprattutto da bambino – vedi quello che vuoi vedere. Si mettono fuori fuoco le cose che non interessano e si mettono a fuoco le cose che interessano, quindi… guardo fuori dalla finestra e vedo Los Angeles di fronte a me e sono più selettivo su ciò che guardo rispetto per esempio a Demy in Model Shop. Quindi, ci sono i cartelloni pubblicitari dei film e quelli delle bibite. Non vedo il cartellone della Geritol, ma il “Museo delle Cere” di Hollywood con la foto di Clark Gable. E così, nel fare un’opera di memoria, creo quel paesaggio”.

Los Angeles, febbraio 1969. L’attore hollywoodiano Rick Dalton, ex star della televisione western degli anni Cinquanta, affronta una carriera in declino. Il migliore amico, controfigura, assistente personale e autista di Dalton è Cliff Booth, un veterano della Seconda Guerra Mondiale che vive in una roulotte con il suo pitbull Brandy. Booth lotta per trovare lavoro come stuntman tra le voci che dicono che abbia ucciso sua moglie. Nel frattempo, Dalton spera di rilanciare la sua carriera facendo amicizia con la giovane attrice Sharon Tate e suo marito, il regista Roman Polanski, che vivono nella casa accanto.

Mentre ripara l’antenna televisiva sul tetto di Dalton, Booth nota l’arrivo di un hippie nella residenza di Polanski. L’uomo, Charles Manson, sostiene di essere alla ricerca del produttore musicale Terry Melcher, che un tempo viveva lì, ma Jay Sebring, amico di Tate, lo allontana…

Dalton va in Italia sei mesi per recitare nello spaghetti western di Sergio Corbucci e in altri tre film. Booth lo accompagna e in Italia Dalton sposa l’attrice italiana Francesca Capucci. Prima di tornare negli Stati Uniti, Dalton dice a Booth che non può più permettersi il suo stipendio, cosa che Booth capisce amichevolmente.

Los Angeles, 8 agosto 1969. Dalton e Booth vanno a bere per ricordare i vecchi tempi. Tornati a casa di Dalton, Booth fuma una sigaretta all’acido e porta il suo pitbull a fare una passeggiata mentre Dalton prepara dei margarita. I seguaci di Manson, Tex, Sadie, Katie e FlowerChild, arrivano per uccidere gli occupanti della casa dei Tate. Gli eventi corrono veloci e allucinati, fino a che Booth e Dalton eliminano la banda e salvano Sharon Tate, che per ringraziare, invita Dalton a bere qualcosa.

“Una memoria che vive ancora in questa città. E in questa città, se ci si vive abbastanza a lungo o se si è cresciuti qui come Quentin Tarantino, l’effetto visivo – il modo in cui la geografia della città si estende, e il modo in cui la attraversiamo in auto, il modo in cui guardiamo le insegne, i cartelloni, le locandine dei film – spesso fa sì che la realtà e i sogni si fondano insieme, si confondano nella nostra mente. Alcuni giorni ci sembra normale e altri no. Ci si interroga su Los Angeles, o meglio su Hollywood, e su cosa significhi per le diverse persone – e non solo per gli abitanti di Hollywood, perché c’è molto di più in questa città che Hollywood. […] la storia, i fantasmi, i film, la vita reale… C’era una volta a… Hollywood è sia nel presente che un ricordo che fluttua intorno a voi. […]Il risultato è un capolavoro struggente ed elegiaco di Tarantino, fatto di memoria e storia e mito e oscurità e umorismo e tristezza e mistero e tragedia e amore. E quel finale brillante e incredibile… lascia senza fiato e poi, nel momento finale, molti di noi si commuovono fino alle lacrime”. (K. Morgan, Ivi, 2019).

LICORICE PIZZA                           

(Usa, 2021, col., dur. 128’)

Regia: Paul Thomas Anderson

Con: Alana Haim, Cooper Hoffman, Sean Penn, Tom Waits, Bradley Cooper, Benny Safdie, Skyiler Gisondo, Mary Elizabeth Ellis, John Michael Higgins

Licorice Pizza è – per ora – l’ultimo film diretto da Paul Thomas Anderson. Il titolo Licorice Pizza è ispirato a una catena di negozi di dischi di Los Angeles. Il termine è un’espressione colloquiale per i dischi in vinile, che li paragona al colore della liquirizia e alla forma di una pizza. 

Los Angeles (San Fernando Valley), 1973. L’attore quindicenne Gary Valentine incontra Alana Kane, un’assistente fotografa di 25 anni, durante la giornata delle foto scolastiche. Nonostante la differenza di età, Gary ha il coraggio di invitare Alana a cena. La ragazza, a sua volta in qualche modo scoraggiata dall’invito di un ragazzo molto più giovane di lei, si presenta comunque. Tra i due comincia una relazione tenera complicata e sensuale che li vedrà rischiare tutto, sia dal punto di vista personale, sia alla ricerca di un’attività economica da portare avanti insieme nel contesto confuso e schizofrenico della crisi petrolifera che travolge il paese. Dopo molte vicissitudini, Alana e Gary alla fine corrono l’uno nelle braccia dell’altra, corrono verso la notte e Alana dice a Gary che lo ama.

Licorice Pizza è un mondo senza adulti. Tecnicamente ci sono degli adulti nel film, ma sono preoccupati o lontani da ciò che accade nella storia. Quindi ci sono tutti questi ragazzi, con tutta questa libertà, che lavorano e si comportano come se fossero più grandi di quanto siano in realtà. O, più precisamente, ci sono adulti che si comportano come i peggiori bambini. Penso ai personaggi di Sean Penn e Bradley Cooper. Stavo pensando a quei tempi, alla mia infanzia e alle storie di altre persone su cui si basa il film, e sicuramente si conduceva una vita più indipendente dagli adulti o dai genitori. Ma quando ci si scontrava con gli adulti, credo che si venisse trattati molto più da pari a pari. Forse è una questione di show-business. La gente dello spettacolo è così preoccupata di se stessa e del proprio lavoro, e quindi i bambini diventano un po’ un ripensamento. Ma c’è anche un errore che fanno i film: se c’è una mamma che lavora e non c’è, in qualche modo viene rappresentata come una relazione disfunzionale, o come se fosse in qualche modo assente. Ed è una fottuta stronzata. Nel film, questa è la realtà per la madre di Gary: non c’è il padre. Lei deve lavorare. È tutto un lavoro, e quindi i bambini devono cavarsela da soli. Devono farlo!” (A. Nayman, Show Biz Kids: Paul Thomas Anderson on Licorice Pizza, in “cinema scope” n. 89, 2021)


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