La programmazione di Fuori Orario dal 17 al 23 ottobre

Omaggio a Jean Vigo con tutto il suo cinema. Poi cinema italiano anni ’40, Truffaut (I 400 colpi), Limite di Peixoto e L’aquarium et la nation di Straub

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CORSO SCENEGGIATURA CINEMA E TV, in presenza o online, NUOVA DATA DAL 27 MARZO
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Domenica 17 ottobre dalle 1.50 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

CINEMA SUL FONDO 2

da una idea di Ciro Giorgini ed enrico ghezzi (12) 

a cura di Paolo Luciani

Sono centinaia i film italiani del periodo 1929/1945 considerati perduti, scomparsi, non ancora individuati. Le condizioni oggettive di deperibilità e difficoltà di conservazione di copie e negativi,  si sono unite alle  ventate di rimozione (culturale, critica, storica, politica…) che si alzarono impetuose ed immediate nei giorni della Liberazione. Ci sono voluti alcuni decenni prima che si risvegliasse una attenzione nei confronti di “quel cinema”; anche in questo caso, va attribuito alla nuova o giovane (…di allora…) critica italiana il merito di averlo considerato in maniera del tutto originale

Fin dalla sua nascita, la Rai ha rappresentato una delle possibilità maggiori di fruizione di questo cinema;  oltre ad avere la disponibilità di decine e decine di titoli, via via diversi anno dopo anno, secondo la logica dei diritti tv, si è spesso impegnata nella ricerca, restauro e promozione di titoli importanti del periodo 1929/1945, collaborando attivamente con studiosi e cineteche. In particolare, questa funzione è stata assolta da Fuori Orario; CINEMA SUL FONDO, nasce alcuni anni fa da questa esigenza e dalla passione di Ciro Giorgini con enrico ghezzi.

Al lavoro ci CINEMA SUL FONDO si deve   ad esempio il ritrovamento di un titolo considerato scomparso come LA STELLA DEL CINEMA, che volutamente abbiamo scelto per inaugurare questa ripresa del ciclo.

Riprendiamo quindi questo progetto con la speranza di poter contribuire a tenere alta l’attenzione su questo segmento importante della storia del nostro paese.

VIOLETTE NEI CAPELLI                 

(Italia, 1942, b/n, dur., 91’)

Regia: Carlo Ludovico Bragaglia

Con: Lilia Silvi, Irasema Dilian, Carla Del Poggio, Roberto Villa, Carlo Campanini, Emma Giglio, Giuseppe Addobbati, Ada Dondini, Loris Gizzi, Pina Gallini, Marino Girolami

Le alterne vicende  di tre amiche per la pelle: una sartina, appassionata di teatro, di cui vorrebbe essere attrice; una allenatrice sportiva  ed una aspirante ballerina. Naturalmente, quasi nulla si realizzerà come sperato…Uno dei film più famosi di Bragaglia, capace di innestare scarti di realtà in quello speciale “sottogenere” (intreccio di storie al femminile) che il cinema italiano dell’epoca aveva cominciato a codificare in maniera anche rigida (con moduli narrativi che continueranno ad essere ben presenti dal dopoguerra fino ai giorni nostri…).

IN CERCA DI FELICITÀ              

(Italia, 1943,  b/n, dur., 82’)

Regia: Giacomo Gentilomo

Con: Alberto Rabagliati, Elena Luber, Tito Schipa, Lauro Gazzolo, Carlo Dapporto, Guglielmo Barnabo’, Luigi Almirante, Vera Silenti 

Vista la contrarietà delle rispettive famiglie al loro amore, due giovani fuggono di casa. Ma le difficoltà per tirare aventi sono tante, fino a che il destino (la sceneggiatura) non offre loro alcune vie di uscita: lui ha una bella voce e comincia ad usarla come non solo una occasione di guadagno saltuario, ma di affermazione professionale; lei viene presa sotto la protezione di un anziano cantante lirico, che rivede in lei la figlia, della cui tragica scomparsa si ritiene da anni responsabile…Gentilomo mischia con accortezza il cinema di Capra con le radici più melodrammatiche del racconto romantico italiano, facendo poi incontrare due mostri sacri ed antagonisti del bel canto nostrano.

 

Nel 1974 il critico Francesco Savio tenta, inutilmente, di intervistare il regista Giacomo Gentilomo, per il suo libro di interviste CINECITTA’ ANNI TRENTA. Non riuscendo a contattarlo direttamente, fa giungere al regista una serie di domande, tra cui quelle che seguono.

Venerdì 22 ottobre dalle 1.15 alle 6.00

JEAN VIGO, L’INFANZIA DELL’ARTE (1)

À PROPOS DE NICE (A PROPOSITO DI NIZZA)

(Francia, 1930, b/n, dur., 25’, muto)

Regia: Jean Vigo, Boris Kaufman

Sceneggiatura: Jean Vigo

Fotografia: Boris Kaufman

PRIMA VISIONE TV DELLA VERSIONE RESTAURATA NEL 2017

Il ritratto di città che è anche un saggio rivoluzionario d’avanguardia. Nel marzo del 1930 Vigo e Boris Kaufman (il fratello di Dziga Vertov) girano insieme a Nizza quattromila metri di pellicola che finiscono di montare a maggio, definendo il film “punto di vista documentato”, insieme falso documentario e autentico pamphlet:. “In questo film – interprete una città le cui manifestazioni sono significative – si assiste al processo di un certo mondo. In realtà, non appena indicate l’atmosfera di Nizza e lo spirito della vita che vi si conduce (e che si conduce anche altrove, purtroppo!), il film muove alla generalizzazione degli insulsi divertimenti, messi sotto l’insegna del grottesco, della carne e della morte, ultimi bruschi trasalimenti d’una società che si abbandona, fino a darvi la nausea e a farvi complici di una soluzione rivoluzionaria”. (Jean Vigo, Verso un cinema sociale, 14 giugno 1930)

“La magnificenza visiva dell’opera di Vigo si spiega così: per la prima volta l’immagine non è come la vede l’occhio, né come la vede l’obiettivo, o come l’obiettivo la registra, ma come sarebbe se l’obiettivo avesse una vita propria, un cervello. Di qui la fantasticheria, la trasfigurazione, la scoperta perpetua: l’inedito in  A propos de Nice. Ma nessuno è ancora riuscito a spiegare come Vigo ha saputo creare una fotogenia del dialogo e a dare alle parole, senza che esse perdano la loro significazione, il valore di suoni. Possiamo constatarlo in Zéro de conduite o L’Atalante, ma non riusciamo ancora a comprendere di cosa si tratta e come lo ha fatto.” (Henri Langlois, Vingt-cinq ans de cinéma, 1956). 

ZÉRO DE CONDUITE (ZERO IN CONDOTTA)             

(Francia, 1933, b/n, dur., 49’, v. o. sott., it.)

Regia e sceneggiatura: Jean Vigo

Fotografia: Boris Kaufman

Con: Jean Dasté, Robert Le Flon, du Verron, Delphin, Louis Lefebvre,, Gilbert Pruchon, Coco Goldstein, Gérard de Bédarieux, Léon Larive

PRIMA VISIONE TV DELLA VERSIONE RESTAURATA NEL 2017

Il film racconta la rivolta dei ragazzi all’interno di un collegio maschile. “L’empatia di Vigo verso i piccoli insorti è acuita dalla sfrontata, esilarante descrizione dell’imbecillità delle autorità scolastiche. Indiscutibilmente uno dei più grandi film sull’infanzia, venne messo al bando dalla censura francese e non ha avuto una proiezione pubblica fino al 1945”. (Michael Almereyda)

“I capolavori consacrati all’infanzia nella letteratura e nel cinema si contano sulle dita di una mano (…) Come in tutte le opere prime, c’è in Zéro de conduite un aspetto sperimentale, idee di ogni tipo più o  meno bene integrate nella sceneggiatura e girate con l’aria di dire “proviamo anche questo per vedere che effetto fa”. Penso, ad esempio, alla festa del collegio in cui su una tribuna, che è nello stesso tempo un tirassegno di fiera, alcuni manichini sono messi in mezzo a personaggi reali. Cosa che poteva fare René Clair nello stesso periodo, un’idea comunque datata. Ma per un’idea intellettualistica di questo tipo, quante superbe invenzioni si possono contare, comiche, poetiche o strazianti, tutte comunque di una grande forza visiva e di una crudezza ancora ineguagliata! (…) Qual era il segreto di Jean Vigo? É probabile che vivesse più intensamente della media della gente. Si sa che era già malato mentre girava i suoi due film e anche che ha girato certe sequenze di Zéro de conduite steso su un letto di campo. Per questo sembra plausibile che Vigo, sapendosi condannato, sia stato stimolato da questa scadenza, da questo tempo contato. Dietro la cinepresa doveva trovarsi nello stato d’animo di cui parla Ingmar Bergman: “Bisogna girare ogni film come se fosse l’ultimo”. (François Truffaut, Les Films de ma vie, 1975)

I QUATTROCENTO COLPI                  

(Les quatre cent coups, Francia, 1959, b/n., dur., 95’, v. o. sott., it.)

Regia: François Truffaut

Con: Jean-Pierre Léaud, Claire Maurier, Albert Remy, Guy Decomble, Patrick Auffay, Georges Flamant, Yvonne Clkaudie, Robert Beauvais

“In partenza, era la storia di un ragazzino che non ha il coraggio di tornare a casa dopo aver marinato la scuola e passa la notte in giro per Parigi, poi, a poco a poco, si è trasformata in una specie di cronaca dei tredici anni (l’età più interessante secondo me) […]. Era da molto tempo che l’idea mi ronzava in testa. L’adolescenza è un modo di essere riconosciuto da educatori e sociologi, ma negato da famiglia e genitori. […] Anch’io ho avuto una carriera scolastica molto movimentata, ma nei 400 coups non tutto è autobiografico, anche se è tutto vero. Che quelle avventure siano state vissute da me o da un altro non ha importanza, l’essenziale è che siano state vissute”. (François Truffaut, intervista a  “Le Monde”, 21 aprile 1959,

“Con Les 400 coups François Truffaut entra nel cinema francese moderno come nel collegio della nostra infanzia. Ragazzi umiliati di Bernanos. Ragazzi al potere di Vitrac. Ragazzi terribili di Melville-Cocteau. E ragazzi di Vigo, ragazzi di Rossellini, insomma ragazzi di Truffaut, espressione che passerà dopo l’uscita del film nel linguaggio comune. (…) Nei 400 coups la macchina da presa del regista dei Mistons sarà di nuovo non ad altezza d’uomo, come nel padre Hawks, ma ad altezza di ragazzo. E se si sottintende arroganza, quando si dice altezza, allora Les 400 coups sarà il film più arrogante, più orgoglioso, più testardo, più ostinato, in due parole per finire, il film più libero del mondo. Moralmente parlando. E anche esteticamente”.

(Jean-Luc Godard, “Cahiers du Cinéma”, febbraio 1959)

I FILM DELLA NOSTRA VITA – ENRICO GHEZZI RACCONTA L’ATALANTE

(Italia, 1995, col., dur., 19’02’’)

Regia: Patrizia Belli

Puntata della serie televisiva di RAI 3 del 1995 .

“Il vortice delle macchine, faticose dure metalliche, dei sollevatori, delle gru che producono energia, che obbliga ad altri sforzi quelle altre macchine che sono gli uomini, che quindi non possono solo nuotare, galleggiare sulle nuvole, amare, credere di potere solo amare, come nell’Atalante. Questo è il dramma de L’Atalante, questo desiderio che ci sarebbe di stare solo su questa chiatta, solo sulla leggerezza dell’acqua, vivere solo in questa dimensione, davvero ultrafilmica. Abbandonata per sempre la Fabbrica Lumière che vediamo tutte le notti, vivere altrove”. (enrico ghezzi, Cose (mai) dette, 1996 )

Sabato 23 ottobre dalle 1.50 alle 6.30

JEAN VIGO, L’INFANZIA DELL’ARTE (2)

LA NATATION PAR JEAN TARIS, CHAMPION DE FRANCE (TARIS RE DEL NUOTO)

(Titolo alternativo: Taris roi de l’eau, Francia, 1931, b/n, dur., 9’59”)

Regia: Jean Vigo

PRIMA VISIONE TV DELLA VERSIONE RESTAURATA NEL 2017 

“Il film sul campione di nuoto Jean Taris, commissionato a Vigo da Germaine Dulac e realizzato nei primi mesi del 1931, viene spesso considerato, nel complesso dell’opera di Jean Vigo, un film minore, anzi, talvolta viene persino ignorato, quando invece reca, ben stampato, il nome ‘Vigo’, anche se il regista amava, del film, solo le sequenze girate sott’acqua. Tanto che se ne ricorderà durante la lavorazione di L’Atalante. Ma non c’è solo questo: la scena del ‘nuoto in camera’ è insolita e divertente, così come i trucchi e l’ammicco di Taris allo spettatore, quando, completamente vestito, cammina sulle acque. È la prima esperienza sonora di Vigo, in un’epoca in cui non esisteva il missaggio. Il cineasta è riuscito a creare un contrappunto tra voce umana e rumore dell’acqua in movimento.” (Luce Vigo, Jean Vigo, une vie engagée dans le cinéma,  2002)

L’ATALANTE                                      

(Francia, 1934, b/n, dur., 85’, v. o. sott., it.)

Regia e sceneggiatura: Jean Vigo

Fotografia: Boris Kaufman

Con: Dita Parlo, Jean Dasté, Michel Simon

PRIMA VISIONE TV DELLA VERSIONE RESTAURATA NEL 2017

Nel febbraio 1934, Jean Vigo, malato, ha terminato il montaggio di L’Atalante, in uno scambio costante con la sua ‘banda’, vale a dire il suo gruppo di amici che, insieme al montatore Chavance, tiene al corrente il regista quando questi non è fisicamente presente. A quel punto Vigo lascia Parigi per riposarsi, mentre Maurice Jaubert, suo complice, compone la musica. Non troverà più la forza per riprendere il montaggio, come si augurava. Il suo collaboratore Albert Riéra, propone di condensare la narrazione, ma J.L. Nounez, il produttore, rifiuta che qualcuno si sostituisca al regista. Solo dopo una proiezione per gli esercenti dall’esito disastroso, Nounez accetta la proposta del coproduttore e distributore GFFA di sostituire la musica di Jaubert con una ‘canzone realistica’ adattata dall’italiano, Le Chaland qui passe. Titolo con il quale il film uscirà nel mese di settembre, poco prima della morte di Vigo. Nel frattempo, una copia dell’Atalante autentica è stata inviata a Londra, a quanto pare affidata da Maurice Jaubert ad Alberto Cavalcanti.

Ed è questa la copia-guida, immagine e suono, su cui è stato rigorosamente condotto il nuovo restauro. È stata reintegrata l’inquadratura aerea finale, girata da Kaufman su istruzioni di Vigo, già prevista in tutta la sua lunghezza nel commento musicale di Jaubert; e alcuni tagli (usura? censura? proiezionisti voyeur?) sono stati completati grazie ad alcune copie di Le Chaland qui passe, la cui pellicola fu mutilata solo a seguito dell’esclusiva del film al cinema Le Colisée, quando GFFA si appellò alle proteste di vari spettatori per raccomandare i tagli. L’ottica adottata è stata quella di affidarsi al film nella sua veste originaria, quella degli anni 1933-1934, senza tentare di adattarlo alle abitudini degli spettatori del XXI secolo. (Bernard Eisenschitz, dal catalogo di Cinema Ritrovato, Bologna, 2017)

“L’Atalante contiene tutte le qualità di Zéro de conduite e altre ancora quali la maturità, la maestria. Vi si trovano, riconciliate, due grandi tendenze del cinema, il realismo e l’estetismo. Ci sono stati nella storia del cinema dei grandi realisti come Rossellini e dei grandi esteti come Ejzenštejn, ma pochi cineasti si sono provati a fondere le due tendenze quasi fossero contraddittorie.  (…)  Ritengo che spesso si sottovaluti L‘Atalante vedendovi un piccolo tema, un tema ‘particolare’ in opposizione al grande tema ‘generale’ trattato in Zéro de conduite. L’Atalante affronta in realtà un grande tema, raramente trattato dal cinema, l’esordio nella vita di una giovane coppia, le difficoltà di adattarsi l’uno all’altra, con all’inizio l’euforia dell’accoppiamento (ciò che Maupassant chiama “il brutale appetito fisico ben presto spento”), poi i primi scontri, la rivolta, la fuga, la riconciliazione, e finalmente l’accettazione dell’uno da parte dell’altra.”(François Truffaut, Les Films de ma vie, 1975)

“Spremuti e premuti da 35 anni di visioni e da pochi secondi di infinita e sfinita memoria, dieci film. Proiettati in un futuro anche solo di un attimo, come forse sempre dovremmo immaginarcelo, se ancora fossimo capaci di amare. L’Atalante di Vigo, allora, perché sublima proprio la lotta del cinema contro la morte dentro la morte, riinventando la sovrimpressione come atto d’amore tra immagini. E perché la lieta fine non è lieta e non è fine, la follia dell’amore coniugale vista dall’alto come solo il cinema o un dio…(enrico ghezzi, Cento film in dieci minuti, “Il Manifesto”, 21 giugno 1994)

LIMITE                                                  

(Brasile, 1931, b/n., dur., dur., 113’37”, muto)

Regia: Mario Peixoto

Con: Olga Breno, Taciana Rey, Raul Schnoor,  Brutus Pedreira

Limite è il grande classico, il capolavoro  del cinema brasiliano, restaurato in anni recenti dalla Film Foundation di Martin Scorsese . Nato nel 1908, tre anni dopo Jean Vigo, Mario Peixoto ha realizzato Limite a poco più di vent’anni, poco prima in un a viaggio a Parigi era venuto a conoscenza dell’avanguardia francese.

Un uomo e due donne alla deriva in una barca nell’oceano. I naufraghi hanno smesso di remare e sembrano rassegnati al loro destino. Uno dopo l’altro i tre raccontano la loro storia. Alla fine l’acqua penetra nella barca. Si scatena una tempesta. Nel mare calmo che ritorna c’è solo la prima donna appesa a un relitto. Lentamente l’immagine si dissolve in un mare di luce.

«Limite radicalizza la formula di Gance: il cinema è la musica della luce. Un film geniale, che è nella tradizione dei film dell’avanguardia europea, ma che la supera di molto in modo selvaggio, la macchina da presa è di una secchezza, di un brutalismo sconvolgente». (Julio Bressane).

“Nel 1930 abbiamo Limite di Mario Peixoto. Inaugura una mentalità diversa e nuova. Dico che Limite è una mentalità nuova perché è già, da noi, arte allusiva, parodica o con la consapevolezza del passato del cinema. È già cinema del cinema, implica la creazione e ricreazione dell’immagine nel film cinematografico”. (Julio Bressane).

L’AQUARIUM ET LA NATION                      

(Svizzera, 2015, col., dur., 31’10”, v.o sott., it.)

Di: Jean-Marie Straub

Con: Aimé Agnel

Presentato in anteprima al festival di Locarno e in Italia al Filmmaker Fest nel 2015 e poi all’interno dell’omaggio a Fuori Orario del Festival di Pesaro, L’Aquarium et la nation è uno dei grandi film degli ultimi anni, in cui Straub ribadisce la sua visione etica e estetica.

Per i primi sei minuti non c’è suono, il film è muto come un pesce, come a segnare la ricerca di un’empatia, di un rapporto orizzontale con quegli esseri costretti e silenti nella loro dimensione artificiale. La luce di Straub (e Huillet), che ci ha fatto sentire gli alberi e le pietre, dona una lingua finanche ai pesci, l’essere muto per eccellenza. Ma non sentiamo niente, c’è una quiete innaturale, come prima di una tempesta, di un’eclisse o di un terremoto. Il silenzio assorda, manca l’aria, Straub ci mette davanti allo specchio, ci mostra i vetri che ci separano l’un l’altro, l’estraneità e la solitudine. Nella seconda parte c’è un uomo in una stanza, non parla, legge, fermo nella sua posizione, riflette alla luce delle credenze, dei miti e soprattutto sotto le molteplicità delle strutture mentali se “ha ancora senso la nozione di uomo”. Colui che si/ci interroga è Aimé Agnel, psicologo junghiano e scrittore di cinema, soprattutto per i Cahiers jungiens de Psychanalyse, dove ha pubblicato saggi sulle immagini “dall’inconscio” in Fellini, esterno/interno in Ford, sulla separazione tra suono e immagine in Sur quelques films vraiment sonores in cui affronta film di Bergman, Godard, Oliveira e Straub appunto.

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