La programmazione di Fuori Orario dal 2 all’8 aprile

Da stanotte a sabato 8, prima tv di Happy Hour di Hamaguchi, nouvelle vague taiwanese con Hou Hsiao-hsien e nuovo cinema russo con Balagov e Kovalenko.

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Domenica 2 aprile dalle 2.30 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

TAIWAN VAGUE NOUVELLE

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto

CUTE GIRL                                             

(Chiu shihi liu-liu te ta, Taiwan, 1980, col., dur., 86’ v.o. sott. it.)

Regia: Hou Hsiao-hsien

Con: Kenny Bee, Feng Fei-fei, Anthony Chan

Film restaurato da Cinematek (Cinémathèque Royale de Belgique)

Nella notte Fuori Orario presenta due dei primi film diretti da Hou Hsiao-hsien tra il 1980 e il 1982, prima della grande rivelazione internazionale della nouvelle vague taiwanese, di cui lui e Edward Yang sono i due grandissimi maestri. Nelle prossime puntate Fuori Orario presenterà un terzo film del primo periodo dell’opera di Hou Hsiao-hsien, I ragazzi di Fengkwei, in abbinamento col secondo film di Edward Yang, Taipei Story, che vede Hou Hsiao-hsien nelle vesti di attore principale.

Recentemente restaurati da Cinematek, i due film appartengono al periodo cosiddetto “commerciale” di Hou Hsiao-hsien e per volontà dello stesso regista non furono mostrati all’estero prima della Retrospettiva della Cinémathèque Française del 1999. Rimasti poco conosciuti e poco considerati, mostrano non solo l’apprendistato artigianale del cineasta, ma rivelano già uno sguardo originale e libero che si affermerà compiutamente a partire dal film a episodi The Sandwich Man e  poi nel primo capolavoro, I ragazzi di Fengkwei.

Quando realizza Cute Girl, il regista ha 32 anni, ha già lavorato con diversi ruoli sui set del cinema taiwanesese, ha dunque un’esperienza pratica che gli permette di scrivere, girare e montare il film in due mesi. Kenny Bee e Feng Fei-fei erano due note pop-stars a Hong Kong e Taiwan e torneranno nel secondo film di Hou, Cheerful Wind, interpretando anche le canzoni.

Wenwen è una ragazza di buona famiglia promessa al figlio di un ricco industriale che ha studiato in Francia e di cui si attende il ritorno per celebrare il fidanzamento.   Ma la ragazza comincia ad avere dei dubbi e parte per la campagna dove abita la zia. Qui ritrova Daigan, un ragazzo di condizioni apparentemente modeste che vive a Taiwan con un bambino adottato ma che è venuto anche lui in campagna per la costruzione di un’autostrada.

Grande successo in patria, il film si muove solo apparentemente nel solco delle “commedie romantiche” taiwanesi (che si rifanno a modelli classici). Hou Hsiao-hsien è infatti già al di là del cinema “commerciale” di Taiwan e inventa un cinema libero: nei tempi, nel gioco con gli attori, nell’apertura al mondo (la città e la campagna): «I miei primi film esprimevano i sentimenti in un modo completamente nuovo (…) Abbiamo deciso di filmare gli attori insieme, secondo un metodo che fosse vicino nello stesso tempo sia al teatro che alla vita. Il cinema si è trovato di colpo “modernizzato”» (Hou Hsiao-hsien)

GREEN, GREEN GRASS OF HOME         

(Tsai na ho-pang ching-tsao-ching , Taiwan, 1982, col.  dur. 88’, v.o. sott. it.,)

Regia, sceneggiatura: Hou Hsiao-hsien

Con: Kenny Bee,  Avec Kenny Bee, Chang Ling,  Meifeng Chen, Ling Jiang (Xian-Wang)

Film restaurato da Cinematek (Cinémathèque Royale de Belgique)

La maestra di un villaggio si trasferisce in Indonesia per seguire suo marito e si fa sostituire dal fratello, Ta-nien, originario di Taipei. Il nuovo maestro fa la conoscenza dei bambini della sua classe, e in particolare dei “tre moschettieri”. Attratto dalla sua collega Chen Su-Yun e dall’atmosfera della campagna, dimentica le seduzioni della vita cittadina e scopre una nuova vita.

Col suo titolo ripreso da una canzone famosa, è la terza “commedia romantica” del regista, dopo Cute Girl e Cheerful Wind del 1981.  Vi  ritroviamo la star di Hong Kong Kenny Bee, ma la maggior parte degli attori lavorano per la prima volta col regista. Si può seguire da un film all’altro l’affascinante progredire dello stile che sarà compiutamente  proprio del regista nei suoi film successivi.  I bambini sono coprotagonisti e alcuni di loro furono premiati al Golden Horse Film Festival, dove il film ebbe  la nomination anche come miglior film e migliore regia. Dallo stile in  parte improvvisato, girata quasi completamente in campagna, la storia d’amore “classica” lascia il posto alla cronaca quotidiana dell’infanzia, non senza  variazioni comiche che possono far pensare ai film di Ozu degli anni Trenta. 

“Tutti i miei ricordi di gioventù sono ricordi di campi, di alberi di cocco, di treni… Questi ricordi contano molto per me e sarebbe impossibile non ritrovarli nei miei film” (Hou Hsia-hsien)

 

Venerdì 7 aprile dalle 1.40 alle 6.00

ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

a cura di Lorenzo Esposito

ADA                           PRIMA VISIONE TV

(Unclenching the Fists, Russia, 2021, col., dur., 93′  v.o. sott. it.)

Regia: Kira Kovalenko

Con: Milana Aguzarova, Alik Karaev, Soslan Khugaev, Khetag Bibilov, Arsen Khetagurov

Presentato nella sezione Un Certain Regard al 71° Festival di Cannes. Opera seconda dell’allieva di Aleksandr Sokurov.

La piccola città mineraria dell’Ossezia del Nord, Mizur, sorge stretta tra pareti rocciose a strapiombo. Zaur ha trasferito qui la sua famiglia dopo i tragici eventi che hanno portato alla morte della moglie. Cresce i figli e soprattutto la figlia Ada con rigore, senza conoscere i limiti tra le cure paterne e l’iperprotezione. Il figlio maggiore Akim è già fuggito nella più vicina grande città di Rostov per lavorare. Il più giovane, Dakko, non ha ancora capito bene cosa vuole dalla vita. Ada invece combatte due battaglie parallele: quella per la propria liberazione di giovane donna e quella per fuggire per sempre da quei luoghi.

TESNOTA                                                                            

(Russia, 2017, col., dur., 118′, v.o. sott.,it.)

Regia: Kantemir Balagov

Con: Atrem Cipin, Olga Dragunova, Veniamin Kac, Darya Zhovnar, Nazir Zhukov. 

Presentato al 70esimo Festival di Cannes nella sezione Un certain regard e vincitore del Premio Fipresci.

Caucaso settentrionale, ai confini con la Cecenia, 1998. La prima guerra cecena si è appena conclusa e la seconda sta per cominciare. Nella Repubblica autonoma di Kabardino-Balkaria i giovani crescono tra conflitti etnici e religiosi. È in questo clima che una coppia di fidanzati ebrei viene rapita con un’elevatissima richiesta di riscatto. Le famiglie cercano aiuto, ma questo mette a nudo i conflitti che attraversano la comunità. Ilana, la sorella del rapito, è la più colpita dalle tensioni, il cui assedio si incrocia con un momento di fondamentale passaggio della giovinezza. La ragazza, in un paesaggio visceralmente cupo, lotta contro tutto e tutti. Sorprendente film d’esordio di un allievo di Aleksandr Sokurov.

 

Sabato 8 aprile dalle 1.10 alle 7.00

CINEMA ARTER DELLO SPAZIO

I RACCONTI MORALI DI RYUSUKE HAMAGUCHI (1)   

a cura di Roberto Turigliatto

HAPPY HOUR     PRIMA VISIONE TV

(Happīawā, Giappone, 2015, col., 306′, v.o. sott., It.)

Regia: Ryusuke Hamaguchi

Con: Sachie Tanaka, Hazuki Kikuchi, Maiko Mihara, Rira Kawamura

Fuori Orario presenta in due notti tre dei film più recenti di Ryusuke Hamaguchi, Happy Hour, Il gioco del destino e della fantasia e Drive My Car. Pur essendo attivo come regista e sceneggiatore fin dal 2008 (ha lavorato anche con Kiyoshi Kurosawa, di cui è stato allievo all’Università), è stato scoperto in Italia molto tardivamente, a seguito dei premi ottenuti prima da Il gioco del destino e della fantasia (Orso d’argento al Festival di Berlino) e subito dopo da Drive My Car, vincitore a sorpresa della Palma d’oro e dell’Oscar. In realtà Hamaguchi era considerato uno dei nomi importanti del cinema internazionale almeno da Happy Hour, presentato in concorso a Locarno e vincitore del premio per la migliore interpretazione conferito alle quattro attrici, e dal successivo Asako I e II, già in concorso a Cannes, cui è seguita nel 2019 la prima retrospettiva completa dei suoi film a Parigi.

Happy Hour è stato sviluppato nell’ambito di una residenza del regista al KITO Design and Creative Center Kobe nel 2013 e scaturisce da un workshop di recitazione con attori non professionisti.

A Kobe quattro donne che sono diventate amiche nel corso degli anni si frequentano e si confidano reciprocamente.  Quando una di loro, Jun, confessa alle amiche di aver chiesto il divorzio, queste accolgono la notizia con una certa sorpresa. Assistono alla causa in tribunale, dove Jun deve affrontare un marito dispotico.  Durante un viaggio ai bagni termali di Arima Jun sparisce misteriosamente scatenando una catena di eventi inaspettati…

“Happy Hour è un’autentica meraviglia, un affresco corale di una bellezza e profondità stupefacenti, quattro sublimi ritratti di donne nella vita quotidiana… Esaminando nei dettagli la vita di quattro amiche sulla quarantina che cercano di sfuggire alle alienazioni del quotidiano. Hamaguchi riesce a filmare gli esseri nella loro intimità più profonda” (Mathieu Macheret, “Le Monde”, 20 giugno 2018)

“Tutti i film sono finzione e documentario nello stesso tempo. Ho sperimentato sia l’una che l’altro e credo che non ci sia nulla che sia pura finzione o puro documentario. Gli attori recitano davanti alla macchina da presa. Quello che la macchina da presa riesce a catturare è un documentario sugli attori, perché stanno facendo qualcosa che accade una sola volta…. Non è tanto il teatro a interessarmi, quanto la recitazione, il fatto di appropriarsi di un testo, di interpretarlo… Il caso sconvolge l’ordine delle cose, le certezze, la vita quotidiana, e a partire di lì due opzioni sono offerte al personaggio: o ritrovare l’ordine che esisteva precedentemente, oppure creare un ordine nuovo. Il caso provoca una rimessa in questione che conduce a una definizione più precisa di quello a cui vogliono tendere i personaggi…La mia grande influenza per quanto riguarda il sentimento amoroso è Eric Rohmer, nel quale la questione del desiderio e dei sentimenti – condivisi oppure no – è resa percettibile attraverso gli spostamenti degli attori, la distanza che egli stabilisce – o non stabilisce – tra di loro, il modo in cui uno si avvicina o si allontana dall’altro”.  (Ryusuke Hamaguchi)

 

 

 

 

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