La programmazione di Fuori Orario dal 20 al 26 febbraio

Su Fuori Orario prosegue l’omaggio a Valerio Zurlino e finestra sull Nouvella Vague taiwanese con Edward Yang e Hou Hsiao-hsien

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CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

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Domenica 20 febbraio dalle 2.10 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani   Turigliatto

presenta

COMMIATO ETERNO

IL CINEMA DI VALERIO ZURLINI (3)

a cura di Fulvio Baglivi, Simona Fina e Roberto Turigliatto

DA ZURLINI A ZURLINI – IN DIALOGO CON SERGIO M. GRMEK GERMANI – 1° PARTE

A cura della redazione di Fuori Orario 2022, durata 15’ circa

Sergio Grmek M. Germani, colonna dei primi anni di vita della nostra trasmissione, racconta la sua visione e il suo amore per l’opera di Valerio Zurlini, cineasta che considera uno dei massimi del cinema italiano e non solo. Il festival triestino I Mille Occhi, ideato e “messo in scena” per venti anni da Germani, ha proiettato negli anni tutti i film di Zurlini comprese le diverse edizioni di alcuni film.

LA PROMESSA                                                                                                   

(Italia, 1970 b/n, 144′)

Regia: Valerio Zurlini dal dramma di Aleksej Arbuzov;

Con: Giancarlo Giannini, Anna Maria Guarnieri, Giulio Brogi

Trasmesso il 23 giugno 1970, (e mai più andato in onda prima della ri-proposta di Fuori Orario del 2012 grazie al lavoro di ricerca di Ciro Giorgini) è la versione televisiva di un testo che Zurlini aveva già allestito con lo stesso cast a teatro, debuttando all’Eliseo di Roma il 21 dicembre 1967.

«Ne La promessa, il testo di Aleksiej Arbuzov che qualche tempo fa fu presentato in teatro con grande successo di pubblico e di critica, l’azione si svolge in tre periodi successivi. Durante la guerra (tra il marzo e il maggio del 1942), subito dopo la fine della guerra (tra il marzo e il maggio del 1946) e infine nel dicembre del 1959, quando ormai i bombardamenti, i feriti, la paura di andare a letto e non svegliarsi più, non sono che un lontano ricordo. Nei tre protagonisti (Marat, Lika e Leonidik) Arbuzov rappresenta quella generazione che all’epoca del conflitto era giovanissima e che si ritrovò di colpo alle prese con un qualcosa di orribile, imprevisto, atroce. I tre si incontrano per caso, nasce un affettuoso legame tra loro, si aiutano reciprocamente; nello sconvolgimento generale, nel caos, nella paura, riescono a mantenere inalterate la freschezza, la voglia di vivere e di sopravvivere a ciò che ritengono profondamente ingiusto e fuor di senso». «Radiocorriere TV», 21-27 giugno 1970.

«È come un film di due ore e mezzo – che io ho girato esattamente come un film di due ore e mezzo –, che, però, aveva la fortuna di svolgersi fra tre attori tutti in una sala. Che io abbia girato un film o uno spettacolo televisivo non c’è differenza. Giravo sequenze di cinque, sei minuti; potevo anche unire, volendo, le inquadrature. Ci misi, mi pare, diciotto, sedici giorni di riprese: quindi non è una cosa talmente straordinaria. Allora sembrò rivoluzionaria perché, normalmente, si davano tre o quattro giorni di studio: però io rinunciai alla sala prove». Valerio Zurlini in Gianni Da Campo (a cura di), Appuntamento con Valerio Zurlini, «La Cosa Vista», n.7, 1988

 

Venerdì 25 febbraio dalle 1.20 alle 6.00

TAIWAN VAGUE NOUVELLE

TAIPEI STORY

(t.l. Green plums and a bamboo horse, Taiwan, 1985, col, dur. 119’ v. o. sott., in italiano)

Regia: Edward Yang

Sceneggiatura: Chu T’ien-wen, Hou Hsiao-hsien, Edward Yang

Con: Tsai Chin, Hou Hsiao-hsien, Wu Nien-jen, Lin Hsiu-ling, Ke Su-yun, Ko I-chen, Mei Fang, Wu Ping-nan, Yang Li-yin, Chen Shu-fang, Lai te-nan

Una giovane donna (Tsai Chin) cerca di navigare il labirinto della Taipei contemporanea e alla ricerca di un futuro possibile. Spera che il suo fidanzato Lung (Hou Hsiao-hsien) sia la chiave per sopravvivere al naufragio metropolitano, ma Lung è bloccato in un passato che combina baseball e lealtà alla tradizione che lo porta a sperperare il suo patrimonio per salvare il padre di lei da problemi finanziari e a ritrovarsi sospeso, disorientato in un presente che sfugge.

Secondo lungometraggio di Edward Yang, un capolavoro in cui si avvale della collaborazione, nel ruolo di sceneggiatore e di protagonista maschile, del suo allora giovane compagno cineasta Hou Hsiao-hsien. Tsai Chin, la famosa cantante, è invece la protagonista femminile. Sarà proprio Hou Hsiao-hsien anni dopo a ricordare quanto Edward Yang, all’epoca da poco tornato dagli Stati Uniti, fosse già il più maturo della nuova rivoluzionaria generazione taiwanese e il primo che avesse con chiarezza in mente l’idea di raccontarla attraverso la deriva complessa e multiforme della metropoli. Costruendo una vera e propria architettura visionaria che da un lato guarda alla lezione di Ozu e dall’altro segue un innato e unico senso dello spazio e dell’ellissi, Edward Yang con Taipei Story cambiò per sempre la storia del cinema taiwanese e orientale tout court.

“Il mio punto di partenza era essenzialmente concettuale. Volevo raccontare una storia su Taipei. C’è un elemento personale in questo: molte persone hanno cercato di marchiarmi come un continentale, uno straniero che è in qualche modo contro Taiwan. Ma io mi considero uno di Taipei – non sono contro Taiwan. Sono per Taipei. Volevo includere ogni elemento della città, quindi mi sono davvero dato da fare per costruire una storia dalle fondamenta. I due personaggi principali rappresentano il passato e il futuro di Taipei e la storia riguarda la transizione dall’uno all’altro. Ho cercato di portare sullo schermo domande abbastanza controverse, in modo che gli spettatori si interrogassero sulle loro stesse vite dopo aver visto il film”. (Edward Yang, in John Anderson, Edward Yang, University of Illinois Press, Chicago 2005)

I RAGAZZI DI FENGKUEI                                          

(Fengkuei-lai-te jen, Taiwan, 1983, col., dur., 96′,  v.o. sott.italiani)

Regia: Hou Hsiao-hsien

Sceneggiatura: Chu T’ien-wen.

Con: Doze Niu (Cheng-tse), To Tsung-hua, Lin Hsiu-ling, Chang Shih, Yang Li-yin, Chang Shun-fang

Film restaurato da Cinematek (Cinémathèque Royale de Belgique) in collaborazione con Hou Hsiao-hsien e The Film Foundation’s World Cinema Project

Tre ragazzi di Fengkeui, un tranquillo villaggio di pescatori delle isole Penghu, ingannano la noia compiendo risse e furterelli, sempre in fuga dalle responsabilità e dai genitori.  Dopo l’ennesimo scontro con la banda rivale, partono per Kaoshiumg dove uno dei ragazzi ha dei parenti e dove aspettano la chiamata per il servizio militare.   L’impatto con la grande città mette alla prova la loro amicizia  e li nette di fronte  alla difficoltà di crescere.

Con I ragazzi di Fengkuei inizia un nuovo periodo dell’opera del regista, segnato da un’impronta autobiografica e dalla collaborazione con la sceneggiatrice e romanziera Chu T’ien-wen. Per la prima volta il regista sceglie degli attori che non hanno una formazione precedente e registra le minime reazioni dei personaggi a contatto con un contesto urbano. Premiato al Festival di Nantes nel 1983 il film segna il riconoscimento internazionale del suo autore.

I ragazzi di Feng Kuei apparve nel momento di massimo fulgore del cinema commerciale taiwanese. Con Edward Yang passavamo molto tempo a discutere del neorealismo italiano, del nuovo cinema tedesco, della nouvelle vague francese… Eravamo influenzati da questi movimenti, che finirono per permeare I ragazzi di Feng Kuei. La scena del cinema fu girata a Taipei – parlo della scena in interni – e chiedemmo al cinema di proiettare qualcosa. Rocco e i suoi fratelli era il film in programmazione quel giorno”. (Hou Hsiao-hsien).

I ragazzi di Fengkuei corrisponde a un momento di equilibrio fuori dal comune, una specie di grazia. Non sapevo esattamente cosa stavo facendo ma ne sentivo il presentimento”. (Hou Hsiao-hsien)

“Quel che mi è apparso subito chiaro è che Hou Hsiao-hsien era un outsider, non faceva parte della gang, non era uno che faceva parlare di sé, niente di tutto questo. C’era semplicemente la forza di un film, I ragazzi di Feng Kuei, emerso e impostosi per ottime ragioni. Nel cinema, simili ragioni sono sempre di natura metafisica. Lo stile di Hou – allo stesso tempo intuitivo, potente e contemplativo, distante da qualsiasi tentativo di seduzione e capace di usare la forza bruta per puntare solo ed esclusivamente all’essenziale – fu estremamente benefico per il cinema cinese. Partendo da zero, Hou seppe rivoluzionarne la comprensione e la visione del mondo, e superando le impasse del classicismo e del modernismo d’importazione definì la possibilità di un nuovo e originale punto di vista sul mondo contemporaneo.” (Olivier Assayas)

“Comparso come una sorta di miracolo, Hou Hsiao-hsien era finalmente il grande cineasta cinese che ci era sempre mancato.” (Olivier Assayas)

 

Sabato 26 febbraio dalle 1.15 alle 6.30

IL CINEMA DI VALERIO ZURLINI (4)

a cura di Fulvio Baglivi, Simona Fina e Roberto Turigliatto

DA ZURLINI A ZURLINI – IN DIALOGO CON SERGIO M. GRMEK GERMANI- PARTE

(seconda parte)

A cura della redazione di Fuori Orario, 2022

Sergio Grmek M. Germani, colonna dei primi anni di vita della nostra trasmissione, racconta la sua visione e il suo amore per l’opera di Valerio Zurlini, cineasta che considera uno dei massimi del cinema italiano e non solo. Il festival triestino I Mille Occhi, ideato e “messo in scena” per venti anni da Germani, ha proiettato negli anni tutti i film di Zurlini comprese le diverse edizioni di alcuni film. 

LA PRIMA NOTTE DI QUIETE

(Italia, 1972, col., 127’)

Regia e sceneggiatura: Valerio Zurlini

Con: Alain Delon, Sonia Petrova, Lea Massari, Giancarlo Giannini, Salvo Randone, Alida Valli, Renato Salvatori, Adalberto Maria Merli

Daniele, un insegnante quasi quarantenne senza radici e dal passato misterioso, trova un incarico di supplente in un liceo di Rimini. Entrato nel giro notturno di alcuni mediocri “vitelloni” locali, egli è anche attratto dalla sua allieva Vanina, già a sua volta legata da un arido rapporto senza amore con uno di loro, il cinico Gerardo. Daniele è respinto rabbiosamente dalla madre di Vanina e subisce una scenata di gelosia dalla propria compagna Monica. Vanina, dopo una breve fuga, ricompare e passa una notte d’amore con Daniele prima che il loro destino precipiti in una pulsione di morte.

“Il racconto ha origine anche da quelle stagioni invernali (…), quella costiera adriatica che avevo visto d’inverno, quando non c’è l’esplosione del turismo estivo, stretta dal rancore, dalla ferocia, dalla violenza. L’avevo vista, quella violenza dell’uomo sulla donna. La prima notte di quiete è un film molto legato a un certo ambiente geografico. Contiene anche un aspetto di ‘storia popolare’: la storia di un uomo che ha un rapporto ormai di morte con gli altri, e che incontra la giovinezza. Una giovinezza che nasconde in realtà la morte: è un romanzo popolare vecchio come il mondo (…) Ma certo nel film ci sono molte cose personali, per esempio contiene in definitiva quella strana insistenza di bisogno di cristianesimo. E poi c’è in me un fondo di nichilismo che ho profuso a piene mani sui personaggi, con un desiderio di distruzione e di autodistruzione. Diciamo che sono gli aspetti più segreti della mia personalità…”. (Valerio Zurlini)

VALERIO ZURLINI – GLI ANNI DELLE IMMAGINI PERDUTE                                              

(Italia, 2012, col., dur. 87’)

Regia: Adolfo Conti

Con:  Marco Weiss, Jacques Perrin, Giulio Questi, Carlo Lizzani, Nicola Badalucco, Enrico Medioli, Giuliano Montaldo, Claudia Cardinale, Giorgio Albertazzi, Vittorio Caronia, Furio Bordon

Presentato nel 2012 alla Mostra del Cinema di Venezia. “Gli anni delle immagini perdute delinea il ritratto di Valerio Zurlini, scomparso nell’ottobre 1982, poche settimane dopo aver partecipato come giurato alla 50. Mostra del Cinema di Venezia. Zurlini sapeva di essere malato e aveva dedicato gli ultimi mesi di vita alla scrittura del proprio testamento spirituale, che uscirà postumo con il titolo Gli anni delle immagini perdute. Un bilancio esistenziale spietato, il racconto di un mondo che cambia in modo irreversibile, un appello struggente in difesa del cinema d’autore. Il regista ripercorre gli episodi più importanti della propria vita, indica le ragioni del suo cinema, ricorda gli artisti che l’hanno formato. Soprattutto: denuncia le “immagini perdute”, i tanti film cioè che egli scrisse e preparò senza riuscire a portarli a compimento. Gli anni delle immagini perdute torna nei luoghi in cui il regista amava ritirarsi, raccoglie le testimonianze di amici e collaboratori, ripropone il repertorio di interviste e conversazioni del regista, nel tentativo di capire le cause di questo forzato e fatale “silenzio” produttivo”. (dal catalogo della Mostra del Cinema di Venezia)

 

 

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