La programmazione di Fuori Orario dal 24 al 30 aprile

Su Fuori Orario da stanotte il cinema di Marco Leto, Abraham Polonski, Miklós Jancsó e la tv di Vittorio Cottafavi

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CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

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Domenica 24 aprile dalle 2.10 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

AUTOBIOGRAFIA TELEVISIVA DI UNA NAZIONE (7)

Marco Leto, anatomia di un “ventennio senza fine”

a cura di Paolo Luciani

A partire dai primi anni ’60, soprattutto grazie anche alla cesura temporale di appena 15 anni dalla fine della guerra, come se non di più ad una realtà economica e culturale nuova, in grado di modificare in profondità anche il costume nazionale, proprio in quegli anni si moltiplicano le inchieste, i documentari, il film a soggetto che ritornano a studiare, raccontare, analizzare il ventennio,  i suoi protagonisti come la condizione del paese tutto; di più,  l’intenso e variegato lavoro storiografico trova anche  nel cinema, nella stampa specializzata  come in  quella popolare,  nella televisione in particolare, le  tribune e le  occasioni  per manifestarsi,  fino ad incidere  nella cultura di massa in forme del tutto originali, coinvolgendo un  pubblico vasto fatto “di chi c’era, come di quelli che sono venuti dopo”, capace anche di appassionarsi, confrontarsi, dividersi, sulle diverse tesi storiche a confronto.

Nelle notti che seguiranno cercheremo di dare conto di questa realtà, intrecciando materiali documentaristici televisivi con esperienze cinematografiche significative o meno scontate.

I prossimi appuntamenti saranno dedicati al lavoro televisivo di Marco Leto, appassionato anatomopatologo del nostro ventennio, forse anche per la sorte che lo fece figlio di uno dei più potenti uomini di potere del regime, il padre  Guido (e non si può fuggire alla tentazione di pensare come la profonda convinzione di Marco Leto di una continuità mai decisamente recisa tra il ventennio mussoliniana e la nuova repubblica resistenziale, con il recupero ed il collocamento in posti di responsabilità di tanta parte della burocrazia politica ed economica del regime nei contorni del nuovo stato, dia stata avvalorata e confermata proprio dalla vicenda del padre, che trovò di nuovo la possibilità , in pieno regime democristiano, di far valere le sue competenze ed informazioni).

La figura di Leto assume così anche  i tratti di un grande dramma familiare, che non oscurano però quello che fu il suo grande lavoro di scavo e ricerca dei caratteri originari ed originali del fascismo italiano, ampliando poi il suo sguardo sulle contraddizioni dello sviluppo industriale del paese, il terrorismo nostrano, il fallimento di importanti tentativi di democratizzazione politica e sociale  come il governo di Unidad Pòpular in Cile.  Da questo punto di vista Leto si ritaglia un ruolo da protagonista del movimento democratico del nostro cinema e della nostra televisione, con l’ampiezza dei suoi interessi e con l’approccio sempre attento alla maggiore diffusione possibile.

Classe 1931,allievo nei primai anni ’50 dei corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia, Leto li abbandona (ma tornerà come docente di regia televisiva dal 1983 al 1988)  per provare sul campo i  diversi momenti del fare cinema: lavora infatti come assistente, sceneggiatore, aiuto di diversi registi; Monicelli, Rossi, Vancini, Capogna, De Concini, Lenzi, Merchant, Moser,  Salerno. Dagli anni ’60 comincia a lavorare in televisione; il suo interesse principale è rivolto verso il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale, con produzioni tutte di livello per competenza e novità realizzativa; PRIMO PIANO: GOEBBELS, BADOGLIO; LA STORIA SOTTO INCHIESTA: FUGA DA LIPARI; DAL GRAN CONSIGLIO AL PROCESSO DI VERONA; TEATRO INCHIESTA: LA MORTE DI GIOVANNI GENTILE; FINCHE’ DURA LA MEMORIA: INTERVISTA A DINO GRANDI; LA SCONFITTA DI TRTSKY; IL CASO EVANS; INCIDENTE A VICHY; L’AFFONDAMENTO DELLA INDIANAPOLIS; CRONACHE DEL XX SECOLO; VENTI ANNI DELLA REPUBBLICA, ecc.

Ma non vanno dimenticate serie televisive di successo, trasposizioni di commedie e grandi romanzi, come: QUADERNO PROIBITO, I VECCHI E I GIOVANI, IL CASO LAFARGE, PHILO VANCE, ROSSO VENEZIANO, OPLA’ NOI VIVIAMO; e poi i film per la tv come DONNARUMMA ALL’ASSALTO, UNA DONNA SPEZZATA. Per il grande schermo va assolutamente ricordato LA VILLEGGIATURA che nel 1973 gli valse la partecipazione al Festival di Cannes e il Nastro d’Argento come migliore opera  prima (sceneggiato con Lino Dal Fra e Cecilia Mangini, il film è una delle più incisive analisi del fascismo al suo apogeo e delle difficolta, anche  ideologiche ed umane, che attraversarono quanti si opposero al regime), e poi AL PIACERE DI RIVEDERLA, A PROPOSITO DI QUELLA STRANA RAGAZZA , L’USCITA, questi due ultimi incentrati sul terrorismo.

GLI STRUMENTI DEL POTERE. 1925/1926 LA DITTATURA FASCISTA

(Italia, 1975, b/n, dur., totale 179’) 1°, 2° e 3° puntata

Regia: Marco Leto

Con: Antonio Salines, Paolo Bonacelli, Giacomo Piperno, Maria Fiore, Pino Colizzi, Giuseppe Anatrelli, Stefano Satta Flores, Santo Versace, Carlo Hintermann

Il lavoro di Leto, Felisatti e Pittorru prende in esame gli avvenimenti degli  anni 1924/1925, decisivi per la storia italiana: le elezioni politiche dell’aprile 1924, dove il Partito Nazionale Fascista, alleato con monarchici ed i moderati nel “listone nazionale”, prende la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, in virtù della “legge truffa Acerbo”; il discorso in parlamento del 30 maggio del deputato socialista Giacomo Matteotti, che denuncia i brogli elettorali ottenuti con la violenza e la intimidazione in tutto il paese; il rapimento e l’uccisione di Matteotti da parte di un manipolo di squadristi, estrema conclusione delle minacce che da tempo riceveva per la sua intransigenza antifascisti; l’uscita per protesta dal parlamento, l’Aventino, dei partiti di opposizione; le convulsioni che scuotono il movimento fascista, diviso in correnti e personalità contrapposte, tra spinte conservatrici moderate e “intransigenti rivoluzionari della prima ora”; la scelta di Mussolini, ancora più convinta, in   favore dello squadrismo, con il discorso in parlamento in cui rivendica l’assunzione piena e personale, politica, morale, storica della scomparsa di Matteotti e delle violenze ascrivibili al movimento fascista; la timida e dispersa risposta delle opposizioni;  la ripresa delle violenze in tutta Italia, con la nomina di Corrado Farinacci  segretario del PNF; ’ l’emanazione delle “leggi fascistissime”, che di fatto, instaurano la dittatura e lo stato totalitario: il presidente del consiglio risponde direttamente  Re e non al parlamento,  lo scioglimento dei partiti, la chiusura dei giornali di opposizione, la eleggibilità delle  province e dei comuni sostituita con la nomina centrale  di prefetti e podestà, la creazione del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato , con la condanna al carcere e al confino di migliaia di oppositori e l’emigrazione politica che ne consegue…

Questa moltitudine di avvenimenti, fatti e personaggi sono riassunti magistralmente da Leto e dai suoi sceneggiatori utilizzando tutti gli strumenti che “il teatro inchiesta televisivo” può offrire: un solidissimo impianto storico, basato su testi e fatti documentati, l’ausilio di cinegiornali e foto d’epoca, una cinquantina di attori coinvolti nella rappresentazione di tutti personaggi, anche i minori coinvolti (però con la singolare esclusione proprio del protagonista principe, Benito Mussolini, continuamente evocato, ma in nessun  momento “rappresentato” direttamente da un attore), la presenza di uno speaker, in grado di riassumere o fare luce su passaggi particolarmente complessi.

Non manca poi il tratteggio di momenti apparentemente più particolari, ma storicamente ed umanamente importanti, come l’uccisione del politico antifascista fiorentino Gaetano Pilati, avvenuta davanti alla moglie Gaetana, che per anni si combatté per arrivare al processo contro gli autori del delitto, rispondendo con fermezza a tutti i tentativi di intimidazione.

 

Venerdì 29 aprile dalle 1.20 alle 6.00

LA MENTE PRIGIONIERA (1)

a cura di Lorenzo Esposito

ROMANZO DI UN LADRO DI CAVALLI                                

(Romansa konjokradice, Ex Jugoslavia/Italia/Francia, 1971, col., dur. 100’)

Regia: Abraham Polonsky

Con: Yul Brynner, Eli Wallach, Jane Birkin, Lainie Kazan, David Opatoshu, Serge Gainsbourg, Linda Veras, Marilù Tolo

Tratto dall’omonimo romanzo del 1917 di Jospeh Opatoshu, Romanzo di un ladro di cavalli è forse il film più sentito del marxista americano Abraham Polonsky che vi vedeva la possibilità di riflettere sulle sue origini russo-ebraiche e sull’origine di quei conflitti  regionali e tra popoli che – tragicamente – proseguono violenti e irrisolvibili fino a oggi.

Nel 1905, i ladri di cavalli polacchi che vivono al confine con la Russia degli Zar, trovano i loro mezzi di sussistenza minacciati quando l’esercito russo occupa la zona requisendo tutti i cavalli e arruolando forzatamente tutti gli uomini per la guerra contro il Giappone. Naomi, una ragazza appena rientrata dalla Francia ha idee rivoluzionarie e convince la città a resistere. Per questo viene arrestata e condannata alla deportazione in Siberia. Il giovane Zanvil, senza più cavalli e da sempre innamorato di Naomi, decide di salvarla.

LA TECNICA E IL RITO                                                                                     

(Italia 1971, col., 84’)

Regia: Miklós Jancsó

Con: Luigi Diberti, Marco Guglielmi, Adalberto Maria Merli, Jozsef Madaras. Brizio Montinaro, Emilio Bonucci, Marzio Margine, Fabio Gamma

In un punto imprecisato del confine orientale dell’impero romano nei secoli della decadenza il giovane Attila, re degli Unni, si appresta a consolidare il proprio dominio. Educato a Ravenna nell’adolescenza ha avuto un’educazione latina. Manifesta una netta superiorità sui sudditi, e intraprende una serie di riti e cerimonie selvaggiamente irrazionali per costringerli a una sottomissione in condizionata. Con l’assassinio del fratello, Attila dimostra la propria assoluta, spregiudicata volontà d’imperio e conquista il potere assoluto sugli Unni. “Qui Jancsó affronta, temerariamente e direttamente, il tema del capo carismatico, ultima figura dell’idea stessa di potere e di schiavitù. Il mezzo del potere è quella componente irrazionale che rappresenta – come il regista ha dimostrato nei suoi ultimi film – un connotato essenziale del dominio fascista e della sottomissione “folle” degli uomini a una regola collettiva, sanguinosa e umiliante”. (Giovanni Buttafava)

 

Sabato 30 aprile dalle 1.40 alle 6.30

LA MENTE PRIGIONIERA (2)

a cura di Lorenzo Esposito

CON GLI OCCHI DELL’OCCIDENTE (3 episodi)

(Italia, 1979, col., dur., totale 200’)

Episodio 1 durata 70’

Episodio 2 durata 65’

Episodio 3 durata 65’

Regia: Vittorio Cottafavi
Con: Gerardo Amato, Raoul Grasselli, Franco Branciaroli, Augusto Esposito, Gianni Rubens, Daniele Pagani, Giancarlo Fantini, Anna Carena, Grete Nais

Fuori Orario ritorna (e ritornerà) su Vittorio Cottafavi dopo la completa delle opere televisive andata in onda nel 2006.

Con gli occhi dell’Occidente è tratto dall’omonimo romanzo di Joseph Conrad con cui il grande scrittore cercava, insieme al precedente L’agente segreto, di raccontare le catene della colpa del dispotismo europeo

L’azione ha inizio nella russa zarista quando un giorno, rientrando a casa, il giovane studioso  Razumov scopre che un suo compagno di studi, Victor Haldin, si nasconde nel suo appartamento. Accusato di essere un terrorista anarchico, Victor chiede a Razumov di raggiungere un suo contatto che dovrebbe aiutarlo a fuggire. Razumov, impaurito, collabora ma quando incontra l’uomo che dovrebbe salvare Victor e lo trova completamente ubriaco perde la testa: lo percuote con forza e, lasciatolo, va a denunciare Victor, che verrà catturato e giustiziato.

A questo punto, la narrazione si sposta a Ginevra, dove Nathalie, la sorella di Victor, riceve la tragica notizia della morte del fratello. Nelle sue ultime missive alla sorella, Victor aveva parlato proprio di un amico – Razumov – che si era comportato in modo gentile nei suoi confronti. La donna riesce a sapere che Razumov ha previsto di recarsi in Svizzera, e ne attende l’arrivo con ansia, pensandolo un caro amico del suo defunto fratello. Gli ‘occhi dell’Occidente’ sono quelli, imparziali, di un anziano professore di inglese che vive a Ginevra e che entra in contatto con i fuoriusciti dalla Russia zarista raccontando la loro storia.

Riportiamo qui la testimonianza diretta di Cottafavi tratta dal volume Ai poeti non si spara. Vittorio Cottafavi tra cinema e televisione a cura di A. Aprà, G. Bursi e S. Starace: “[…] In questo romanzo Conrad appare rappresentato dal narratore, il professore inglese di Ginevra, che interviene nella storia, che pensa, valuta e parla a nome dell’autore. Questo ha facilitato il mio lavoro di adattamento. Lo ha facilitato anche il fatto che sia una storia, diciamo, sotto l’egida di Dostoevskij. Conrad detestava Dostoevskij, lo considerava uno scrittore di pessimo gusto, un megalomane sfrenato. Però finì per esserne influenzato perché è ovvio che c’è un delitto e un castigo dietro queste pagine. Decisi di farlo anche perché trovai l’attore giusto. Lavori di questo tipo non si possono fare con un attore qualunque. Qui serviva un attore che avesse dentro di sé una grande carica emotiva, una grande capacità di rappresentazione, perché l’intera sotria si regge sul personaggio; se l’attore non ci fosse riuscito, il lavoro sarebbe stato un fiasco. Qui avevo questo attore, Franco Branciaroli – che in I Persiani era Serse -, che a mio parere ha dato un’interpretazione eccezionale. Non solo è un grande attore, ma dispone anche di un’ampia gamma di qualità. È un po’ l’Enrico Maria Salerno che io scoprii tanti anni fa, lo rivedo oggi in lui […]”

 

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