La programmazione di Fuori Orario dal 25 aprile al 1° maggio

Su Fuori Orario torna l’appuntamento con Hou Hsiao-hsien con la prima tv di I ragazzi di Fengkuei e The Assassin. Poi Novecento di Bertolicci e materiali televisivi di ‘cinema sul fondo’.

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CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

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Domenica 25 aprile dalle 2.45 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta

AUTOBIOGRAFIA TELEVISIVA DI UNA NAZIONE (5)

I materiali di cinema sul fondo 2 

a cura di Paolo Luciani

La proposta CINEMA SUL FONDO 2, incentrata sul cinema italiano degli anni ’30 e ’40,  che da alcuni mesi trova collocazione nelle notti di Fuori Orario ed è la diretta continuazione del progetto originale curato negli anni scorsi da Ciro Giorgini ed enrico ghezzi, viene ora accompagnato da una nuova serie di appuntamenti in cui l’attenzione sarà concentrata sui materiali (i più diversi per le  modalità produttive, siano essi di taglio storico-giornalistico- educativo)  che la Rai, nel corso degli anni, ha dedicato a quella parte della nostra riflessione storica che ha dovuto fare i conti con il fenomeno del Fascismo.

A partire dai primi anni ’60, soprattutto grazie anche alla   cesura temporale di appena 15 anni dalla fine della guerra, come se non di più ad una realtà economica e culturale nuova, in grado di modificare in profondità anche il costume nazionale, proprio in quegli anni si moltiplicano le inchieste, i documentari, il film a soggetto che ritornano a studiare, raccontare, analizzare il ventennio,  i suoi protagonisti come la condizione del paese tutto; di più,  l’intenso e variegato lavoro storiografico trova anche  nel cinema, nella stampa specializzata  come in  quella popolare,  nella televisione in particolare, le  tribune e le  occasioni  per manifestarsi,  fino ad incidere  nella cultura di massa in forme del tutto originali, coinvolgendo un  pubblico vasto fatto “di chi c’era, come di quelli che sono venuti dopo”, capace anche di appassionarsi, confrontarsi, dividersi, sulle diverse tesi storiche a confronto.

Nelle notti che seguiranno cercheremo di dare conto di questa realtà , intrecciando materiali documentaristici televisivi con esperienze cinematografiche significative, bizzarre, meno scontate.

NASCITA DI UNA DITTATURA – 2° puntata

(Italia, 1972,  b/n, dur., 59’40”)

Di: Sergio Zavoli, con la collaborazione di Edek Osser e Luciano Onder; coordinatore della fotografia: Paolo Arisi Rota; riprese elettroniche: Gianni Eleuteri; montaggio: Giuseppa Baghdikian; musiche originali: Gianni Marchetti.

messa in onda Raiuno 17 novembre 1972 alle ore 21

Premio Saint Vincent 1973 per la televisione

Grande inchiesta storica che il giornalista realizzò in occasione del cinquantenario della Marcia su Roma. Siamo di fronte ad un lavoro esemplare dal punto di vista giornalistico e televisivo; Zavoli viene coadiuvato da una serie di storici come Alberto Aquarone, Gaetano Arfè, Gabriele De Rosa, Renzo De Felice, Gastone Manacorda, Salvatore Valitutti. Saranno 55 invece gli intervistati, testimoni diretti di quegli anni; per alcuni di questi, poi, si tratterà di dichiarazioni in esclusiva ed uniche (tra questi ricordiamo Rachele Mussolini ed Amadeo Bordiga). Ma ricordiamo ancora qualche altro nome: Franco Antonicelli, Sandro Pertini, Umberto Terracini, Riccardo Bacchelli, Oronzo Reale, Augusto De Marsanich, Leone Cattani, Giuseppe Spataro, Ugo Spirito, Pietro Nenni, Lelio Basso, Ferruccio Parri, Giuseppe Prezzolini…

In questa seconda puntata si prende in esame il periodo immediatamente successivo la fine della prima guerra mondiale, 1919/1921. Sono anni  di grandi mutazioni e sconvolgimenti,  con il ritorno dei reduci dal fronte, la crisi economica e sociale, quella politica che vede l’ampliarsi o l’emergere di partiti di massa, come il socialista ed il partito popolare fondato da Don Sturzo, che per la prima volta mobilita politicamente i cattolici. E poi “Trieste o morte!” di D’Annunzio, l’occupazione delle fabbriche e delle terre, l’ondata di scioperi e  di violenze quotidiane, la “vittoria mutilata ed il pericolo rosso”, le giravolte di Mussolini tra Arditi, futuristi, sindacalisti rivoluzionari e grande capitale…

Tra gli intervistati, oltre a testimoni oculari di fatti narrati, Umberto Terracini, Giovanni Gronchi, Rachele Mussolini, Amadeo Bordiga, Pietro Nenni, Arturo Colombi, Giovanni Spataro, Lelio Basso

GIOVINEZZA, GIOVINEZZA                     

(Italia, 1968/1969, b/n, dur., 94’23”)

Regia: Franco Rossi; soggetto: dal romanzo omonimo di Luigi Preti; sceneggiatura: Vittorio Bonicelli, F. Rossi; fotografia: Vittorio Storaro; montaggio: Giorgio Serralonga; musica: Piero Piccioni; scenografia e costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; produzione: Ugo Guerra ed Elio Scardamaglia per la Daniel Film

Con:  Alain Noury, Roberto Lande, Leonardo Manzella (Leonard Mann), Kathia Moguy, Olimpia Carlisi, Antonio Centa, Alessandro Haber

Gli anni del consolidamento del regime fascista visti attraverso le vicende di tra ragazzi, amici d’infanzia. I fratelli Mariuccia e Giordano appartengono ad una famiglia di agrari, in cui il padre   ha aderito al fascismo; il loro amico Giulio è invece di origine proletaria. Pur nelle intrecciate schermaglie, anche sentimentali,   di una giovinezza anche spensierata, ciascuno di loro avrà modi di maturare convinzioni diverse ed anche contrapposte. Spartiacque, come per tanti altri giovani italiani, sarà la guerra di Spagna, che per la prima volta vedrà contrapposti, su un campo di battaglia, antifascisti e fascisti…

Giovinezza, giovinezza è il primo lungometraggio con Vittorio Storaro come direttore della fotografia.

Venerdì 30 aprile dalle 1.10 alle 6.00

POLVERE NEL VENTO: CINQUE MAESTRI D’ORIENTE (4)

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto

I RAGAZZI DI FENGKUEI   PRIMA VISIONE TV

(Fengkuei-lai-te jen, Taiwan, 1983, col., dur., 95’34”,  v.o. sott. italiano)

Regia: Hou Hsiao-hsien

Sceneggiatura.: Chu T’ien-wen.

Con.: Doze Niu (Cheng-tse), To Tsung-hua, Lin Hsiu-ling, Chang Shih, Yang Li-yin, Chang Shun-fang

Film restaurato da Cinematek (Cinémathèque Royale de Belgique) in collaborazione con Hou Hsiao-hsien e The Film Foundation’s World Cinema Project

Tre ragazzi di Fengkeui, un tranquillo villaggio di pescatori delle isole Penghu, ingannano  la noia  compiendo  risse e furterelli, sempre in fuga dalle responsabilità e dai genitori.  Dopo l’ennesimo scontro con la banda rivale,   partono per Kaoshiumg  dove uno dei ragazzi ha dei parenti e dove aspettano la chiamata per il servizio militare.   L’impatto con la grande città   mette  alla prova la loro amicizia  e li nette di fronte  alla difficoltà di crescere.

Con I ragazzi di Fengkuei  inizia un nuovo periodo dell’opera del regista, segnato da un’impronta autobiografica e dalla collaborazione con la sceneggiatrice e romanziera Chu T’ien-wen. Per la prima volta  il regista sceglie degli attori che non hanno una formazione precedente e registra le minime reazioni dei personaggi a contatto con un contesto urbano. Premiato al Festival di Nantes nel 1983 il film segna il riconoscimento internazionale del suo autore.

I ragazzi di Feng Kuei apparve nel momento di massimo fulgore del cinema commerciale taiwanese. Con Edward Yang passavamo molto tempo a discutere del neorealismo italiano, del nuovo cinema tedesco, della nouvelle vague francese… Eravamo influenzati da questi movimenti, che finirono per permeare I ragazzi di Feng Kuei. La scena del cinema  fu girata a Taipei – parlo della scena in interni – e chiedemmo al cinema di proiettare qualcosa. Rocco e i suoi fratelli era  il film in programmazione quel giorno”. (Hou Hsiao-hsien).

I ragazzi di Fengkuei corrisponde a un momento di equilibrio fuori dal comune, una specie di grazia. Non sapevo esattamente cosa stavo facendo ma  ne sentivo il  presentimento”. (Hou Hsiao-hsien)

“Quel che mi è apparso subito chiaro è che Hou Hsiao-hsien era un outsider, non faceva parte della gang, non era uno che faceva parlare di sé, niente di tutto questo. C’era semplicemente la forza di un film, I ragazzi di Feng Kuei, emerso e impostosi per ottime ragioni. Nel cinema, simili ragioni sono sempre di natura metafisica. Lo stile di Hou – allo stesso tempo intuitivo, potente e contemplativo, distante da qualsiasi tentativo di seduzione e capace di usare la forza bruta per puntare solo ed esclusivamente all’essenziale – fu estremamente benefico per il cinema cinese. Partendo da zero, Hou seppe rivoluzionarne la comprensione e la visione del mondo, e superando le impasse del classicismo e del modernismo d’importazione definì la possibilità di un nuovo e originale punto di vista sul mondo contemporaneo.” (Olivier Assayas)

“Comparso come una sorta di miracolo, Hou Hsiao-hsien era finalmente il grande cineasta cinese che ci era sempre mancato.” (Olivier Assayas)

THE ASSASSIN

(Ci ke Nie Yin Niang, Taiwan / Hong Kong, 2015, col., dur., 101’20”, v.o. sott. it.)

Regia: Hou Hsiao-Hsien

Con: Shu Qi, Chang Chen, Zhou Yun, Satoshi Tsumabuki.

Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2015, è l’unica sua incursione nel genere wuxia pan (cappa e spada) e, ad oggi, l’ultimo film di Hou Hsiao Hsien, il grande maestro taiwanese. L’interpretazione che Hou Hsiao Hsien fa del genere è spiazzante: i combattimenti in volo e i colpi di spada vanno di pari passo a un discorso visivo in cui la rabbia politica e il romanticismo si dipanano attorno all’abisso indecifrabile di visibile e invisibile. Il difficile compito assegnato alla spadaccina Nie Yinniang, di uccidere il governatore suo cugino cui un tempo fu promessa sposa e poi negata, diventa invece sprofondamento in una geometria di veli, dove la bellezza sta nell’ipnotico sguardo che indaga ciò che si disperde nella visione, alla ricerca continua di un equilibrio tra furia amorosa e etica della responsabilità.

Sabato 1° maggio dalle 00.40 alle 6.30

NOVECENTO                                             

(Italia, Francia, Germania Ovest, 1976, col., dur., 306’30’’)

Regia. Bernardo Bertolucci

Soggetto e sceneggiatura: Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci. Fotografia: Vittorio Storaro.

Montaggio: Franco Arcalli.

Scenografia: Ezio Frigerio, Gianni Quaranta.

Produzione: Alberto Grimaldi

Musica: Ennio Morricone.

Con: Robert De Niro (Alfredo), Gérard Depardieu (Olmo), Sterling Hayden (Leo), Dominique Sanda (Ada), Francesca Bertini (suor Desolata), Laura Betti (Regina),Werner Bruhns (Ottavio), Stefania Casini (Neve), Alida Valli (signora Pioppi), Romolo Valli (Giovanni Berlinghieri), Donald Sutherland (Attila), Burt Lancaster (Alfredo nonno), Stefania Sandrelli (Anita)

Produzione: Alberto Grimaldi per PEA, Les Productios Artistes Associées, Artemis Film

Sceneggiato dai fratelli Bertolucci con Franco “Kim” Arcalli (che ne è anche il montatore).

Girato nei luoghi di Giuseppe Verdi, con un cast stellare, Novecento è un’opera titanica che prova a raccontare il secolo scorso attraverso le storie intrecciate di due famiglie, due uomini, due classi. Il film fu distribuito diviso in due atti, il primo inizia il giorno della morte di Verdi, il 27 gennaio del 1901, e arriva fino alla metà degli anni’30. Nel secondo atto le vicende di Olmo (Gérard Depardieu)  e Alfredo (Robert De Niro),  attraversano il ventennio fascista e la lotta di resistenza partigiana.

Le due vite contrapposte e intrecciate del contadino Olmo e del ricco latifondista Alfredo sono al centro di un poderoso e veemente affresco dove Bertolucci ha tentato di fondere il mélo hollywoodiano con l’epica comunista, non senza echi inattesi (il patriarca Berlinghieri di Burt Lancaster è quasi una variante acre e sanguigna del principe di Salina).

“Abbiamo pensato di contenere tutto il periodo che va dal 1900 al 1945 nel giorno della Liberazione, il 25 aprile. Il tempo dei contadini è scandito dalle stagioni. Così pensammo a una grande estate per l’infanzia. Poi i protagonisti crescono ed è autunno. Arriva il fascismo, l’inverno, il film si fa dark”. Oltre alla parata di stars, protagonista è il paesaggio della campagna parmense, esaltato dalla fotografia di Storaro.

In occasione del primo maggio  – e pochi giorni dopo il 25 aprile (data chiave del film)   –  Fuori Orario presenta il capolavoro di Bernardo Bertolucci, restaurato qualche anno fa  da 20th Century Fox, Paramount Pictures, Istituto Luce Cinecittà e Cineteca di Bologna, con la collaborazione di Alberto Grimaldi e il sostegno di Massimo Sordella.

Enzo Ungari: Perché Novecento da film “epico” è diventato un film “interminabile”?

Bernardo Bertolucci: Perché ci sono dei film destinati a materializzare le fantasie infantili di onnipotenza del regista, che hanno tempi di ripresa tanto lunghi da essere paradossali, e di conseguenza problemi di montaggio quasi insolubili a causa della mole del materiale girato. La storia del cinema è piena di questi film che cercano di assomigliare alla vita e Novecento è uno di questi (…). Mentre giravo Novecento tutto cambiava lentamente: il paesaggio, le stagioni, gli attori, la troupe, la mia faccia. La vita andava avanti e il film continuava come se non avesse mai dovuto fermarsi. Dopo un anno di riprese, vivere e filmare erano diventati una cosa sola e io, senza rendermene conto, non desideravo più che il film finisse.” (da Scene madri di Bernardo Bertolucci)

“Ecco una delle idee di base di Novecento: film sulla cultura popolare, secondo Gramsci, e nel senso di Pasolini. E una chiave precisa: l’identificazione delle masse non tanto con i personaggi di finzioni narrative, ma con questi che si scollano dal loro ruolo letterario per diventar personaggi della Storia. Dunque, anche un’accettazione dei luoghi tipici della narratività, addirittura ottocentesca: sia in senso nazionalpopolare, sia criticamente, come rivisitazione neoretorica. Insomma, una formula è una formula: la differenza è che nelle sedi ottocentesche originarie gli archetipi narrativi erano spesso condannati a soluzioni di tipo psicologico. In Novecento, ci si ritrova nel mondo delle idee: cioè si fanno i conti con l’ideologia. E proprio utilizzando formule che sono sempre state adoperate per fini psicologici.

Com’è fatto? C’è una divisione segreta in quattro stagioni. La grande estate dell’infanzia e dell’adolescenza ai primi del secolo, coi primi rapporti tra il figlio del contadino e il figlio del padrone, in un’aura ancora ottocentesca, poetica, lirica. Molta campagna. Molta Emilia. Molto Verdi. Verdi che aveva sempre dei punti di riferimento nella campagna intorno alla sua casa. Comincia con uno che corre attraverso i campi gridando appunto: “È morto Verdi!”. Sono i funerali dell’Ottocento, i personaggi del dopo-Verdi si vedono già come dei sopravvissuti… Poi l’autunno che precede il fascismo; e il lungo inverno fascista durato vent’anni: soprattutto psicologico, perché il fascismo pretende psicologia.

Finalmente, il 25 aprile, la primavera, quando si materializza l’utopia contadina, i contadini della Bassa padana credono d’aver fatto la rivoluzione, e forse l’hanno fatta davvero, anche se finiranno per lasciarsi convincere a restituire le armi.”(Bernardo Bertolucci)

 

 

 

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