La programmazione di Fuori Orario dal 27 aprile al 3 maggio

Le notti di Florestano Vancini e Alberto Grifi. E poi le ‘vene dell’America’ con Charlie Chaplin, John Ford, Frederick Wiseman, Jim Jarmusch e Francis Ford Coppola

-----------------------------------------------------------------
OPEN DAY FILMMAKING & POSTPRODUZIONE: 23 maggio

-------------------------------------------------

BORSE DI STUDIO per LAUREATI DAMS e Università similari

-----------------------------------------------------------------
SPECIALIZZAZIONI: la Biennale Professionale della Scuola Sentieri selvaggi

-------------------------------------------------

Domenica 27 aprile dalle 2.30 alle 6.00

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

QUANDO È COMINCIATA LA NOTTE?

(4 – 1943/1977)

A cura di Fulvio Baglivi

Un ciclo che si interroga su quando sia iniziata la notte che è la nostra era… Partendo dal lavoro di Marco Bellocchio degli ultimi anni, che indica il Caso Moro e il 1978 come inizio del declino, il ciclo spazierà dal 1943 raccontato da Florestano Vancini al 1989 di Material di Thomas Heise, l’Europa ’51 di Rossellini, il 1968 di Godard e quello apparentemente opposto di Io la conoscevo bene di Pietrangeli, Parco Lambro 1976 di Grifi e il 2001 di Parola (su una) data di enrico ghezzi. Questa puntata parte dall’Italia resistente all’occupazione nazifascista e arriva a Parco Lambro 1976, con il proletariato giovanile che idealmente vorrebbe riconnettersi con i percorsi della Resistenza.

LA LUNGA NOTTE DEL ’43

(Id., Italia, 1960, b/n, 96′)

Di: Florestano Vancini

Con: Belinda Lee, Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Gino Cervi

Tratto dall’omonimo racconto di Giorgio Bassani, contenuto nella raccolta Cinque storie ferraresi è una storia ambientata nell’anno più nero della Seconda Guerra Mondiale, il 1943.

Vancini filma la storia di Franco, latitante dopo l’8 settembre, che incontra di nuovo Anna, ora sposata con il farmacista ferrarese Barilari. Le lotte intestine all’interno degli apparati fascisti sono la scusa per fucilare chi si oppone al morente e feroce regime. Alla fine saranno tutti sconfitti, Franco si farà una vita in Francia e delle loro tragedie personali non rimane neanche il ricordo.

IL FESTIVAL DEL PROLETARIATO GIOVANILE AL PARCO LAMBRO

(Italia, 1976-1995, b/n e col., durata 59′)

Di: Alberto Grifi

Tra il 26 e il 29 giugno del 1976, al Parco Lambro di Milano, andò in scena la sesta edizione del Festival del proletariato giovanile, ideato dalla rivista di controcultura Re Nudo, nel 1971. Gli organizzatori chiamarono Alberto Grifi per filmare quelle giornate dense di incontri, dibattiti, con performance del Living Theatre e concerti degli Area, Gianfranco Manfredi, Alberto Camerini, Ricky Gianco e molti altri. Non tutto andò come previsto, esplosero le tensioni tra i diversi gruppi della sinistra extraparlamentare e tra le diverse anime del movimento. Quelle giornate segnarono il periodo successivo, tanto nell’esplosione del ’77 quanto nelle lacerazioni che avrebbero portato alla fine del decennio di lotte iniziato nel ’68.

Grifi, che filmò in quei giorni circa 25 ore di video e 3 ore di pellicola 16mm (di cui non si è mai trovato il sonoro) ma non montò mai i materiali fino al 1995, quando vide la luce questa versione di circa un’ora. Fino a quel momento erano stati mostrati pezzi del girato in situazioni di movimento o durante incontri sugli anni ’70, a metà degli anni ’90 fu lo stesso Grifi a scegliere alcune sequenze e a separarle con pezzi di una sua intervista filmata per il documentario Le macchine di Grifi (1995) di Barbadoro e Cerulli.

 

Venerdì 2 maggio dalle 1.40 alle 6.00

NELLE VENE DELL’AMERICA. Poemi poeti comunità (1)

A cura di Lorenzo Esposito

MONROVIA, INDIANA                               

(USA, 2018, col, 138′, v.o. sott. it.)

Regia: Frederick Wiseman

Monrovia, Indiana esplora una cittadina del Midwest rurale americano mostrando come valori quali servizi sociali, doveri, vita spirituale, generosità e autenticità siano plasmati, percepiti e vissuti parallelamente a una serie di stereotipi contrastanti. Il film offre una carrellata complessa e variegata della vita quotidiana di Monrovia insieme alla visione di uno stile di vita la cui impronta e forza non sono state sempre apprezzate o comprese dalle grandi città della East e della West Coast americana così come in altri paesi.

«Ho pensato che un film incentrato su una piccola comunità rurale del Midwest sarebbe stato il giusto corollario alla serie che ho realizzato sulla vita americana contemporanea. Monrovia, nello Stato dell’Indiana, mi ha affascinato per le sue dimensioni (1400 abitanti), la sua ubicazione (non avevo mai diretto un film nel Midwest rurale) e gli interessi culturali e religiosi condivisi dalla comunità locale. Nel corso delle nove settimane di ripresa, gli abitanti di Monrovia sono stati di grande aiuto, cordiali e calorosi, coinvolgendomi in tutti gli aspetti della loro quotidianità. Mentre la vita nelle grandi città della East e West Coast viene regolarmente documentata, mi interessava indagare più da vicino la vita nelle cittadine americane e condividere ciò che ho visto.» (Frederick Wiseman)

LA CAROVANA DEI MORMONI 

(Wagon Master, USA, 1950, b/n, dur., 85’)

Regia: John Ford

Con: Ben Johnson, Harry Carey jr, Joanne Dru, Ward Bond, Jane Darwell.

Una carovana di mormoni in viaggio verso lo Utah, guidata da due cowboys, stringe amicizia con dei navajos e si muove temendo unicamente una banda di pericolosi fuorilegge. Capolavoro di John Ford, amato dalla critica, prodotto da Merian Cooper per la RKO, splendidamente fotografato da Bert Glennon in un bianco-nero memorabile.

 

Sabato 3 maggio dalle 1.20 alle 7.00

NELLE VENE DELL’AMERICA. Poemi poeti comunità (2)

A cura di Lorenzo Esposito

PATERSON                               

(Id., USA, 2016, col, 114’)

Regia: Jim Jarmusch

Con: Adam Driver, Golshifteh Farahani, Barry Shabaka Henley, Cliff Smith, William Jackson Harper, Masatoshi Nagase, Kara Hayard

Presentato in Concorso al 69esimo Festival di Cannes.

Il film si svolge nell’arco di una settimana, a partire dal lunedì, nella vita di Paterson, un autista del NJ Transit nella città di Paterson. Ogni giorno segue più o meno lo stesso schema: Paterson si alza presto e va al lavoro, dove ascolta i passeggeri che parlano e, durante le pause di lavoro, scrive poesie su un quaderno che porta con sé. Dopo il lavoro porta a spasso Marvin, il cane di famiglia, e si ferma a bere una birra allo Shades Bar, dove interagisce con gli altri clienti e con il proprietario, Doc.

La moglie di Paterson, Laura, ama le sue poesie e sembra essere il loro unico pubblico. Da tempo lo esorta a pubblicarle o almeno a farne delle copie. Alla fine Paterson promette di andare in copisteria nel fine settimana. Ma quando Paterson e Laura tornano a casa da un film il sabato sera, scoprono che Marvin ha stracciato il suo quaderno, distruggendo le sue poesie.

Il giorno dopo, Paterson, sconfortato, va a fare una passeggiata e si siede nel suo luogo preferito, le Grandi Cascate del fiume Passaic. Lì, un giapponese si siede accanto a lui e inizia una conversazione sulla poesia, dopo che Paterson nota che l’uomo sta leggendo il poema “Paterson” di William Carlos Williams.

“Frank O’Hara ha scritto un bellissimo manifesto intitolato “Personismo” in cui dice: “Non scrivete poesie per il mondo. Scrivete poesie per un’altra persona. Scrivi un biglietto d’amore a qualcuno che ami, o scrivi una piccola lettera poetica a qualcuno che conosci”. Questo mi è stato di grande ispirazione e ho cercato di fare film che non gridassero dalla cima della montagna a tutto il mondo, ma più che altro piccole lettere a qualcuno a cui tengo. […]

Ogni tanto scrivo poesie. Non le faccio vedere alla gente. Nel corso degli anni ne ho mostrate alcune a David Shapiro. Era il mio insegnante. Per quanto riguarda Paterson, qualcuno ha detto che è una poesia in forma di cinema, ma io penso che sia più un cinema in forma poetica. […]

William Carlos Williams è una sorta di avatar, da un certo punto di vista, il padrino del “Personismo”. Nel film abbiamo usato una sua poesia molto ovvia, “This Is Just to Say”, che era letteralmente un piccolo biglietto lasciato su un tavolo. “Ho mangiato le prugne che tenevi da parte per la colazione”. È il precedente di ciò che Frank O’Hara proponeva come poesia. William Carlos Williams è molto importante in questo filone. E naturalmente ha scritto il lungo poema Paterson, più astratto e lungo come un libro, che francamente non capisco molto. Non riesco a entrare in sintonia con esso. È un po’ troppo astratta, o forse un po’ troppo filosofica per me. Eppure, è stata una grande ispirazione per il film Paterson, perché l’inizio della poesia usa la metafora di Paterson, la città, come un uomo, e descrive persino la formazione delle rocce che formano la cascata come una figura reclinata. Così ho pensato: “Wow, potrei fare un film su un uomo di nome Paterson a Paterson, ed è un operaio che è un poeta”. Ora, William Carlos Williams non era della classe operaia, ma aveva un lavoro, era un pediatra e scriveva poesie a margine. Nella sua vita ha fatto nascere oltre 2.000 bambini. Mi piace che i poeti abbiano altri lavori”.

(A.Taubin, Common Sense – American indie axiom Jim Jarmusch talks about the art of routine in Paterson, in “Film Comment” Novembre-Dicembre, 2016)

IL PELLEGRINO                        VERSIONE RESTAURATA

(The Pilgrim, USA, 1923, b/n, 40’)

Regia: Charlie Chaplin

Con: Charlie Chaplin, Edna Purviance, Sidney Chaplin, Mack Swain, Loyal Underwood, Dean Riesner, Charles Riesner, Tom Murray, Henry Bergman

The Pilgrim, in questa versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, fa parte dei 7 film del periodo First National (1918-1923), un momento chiave in cui Chaplin raggiunge la piena maturità artistica, preparando il passaggio al lungometraggio. Quando si conclude il contratto con la Mutual, Chaplin negozia un accordo vantaggioso di distribuzione con la First National, dove produce, dirige e  interpreta film di tre rulli, fino alla lunghezza massima dei 42’ di The Pilgrim. Chaplin realizza ormai i film nei propri studi, i Charlie Chaplin Studios, completati nel 1918, che vengono descritti da Louis Delluc come “la prima opera d’arte totale del cinema”. Ogni film gli costa parecchi mesi di duro lavoro che ricorre come sempre anche all’improvvisazione sul set fuori sceneggiatura. Malgrado i rapporti con la First National si siano in realtà rivelati problematici, Chaplin realizza con questa società almeno tre grandi capolavori, nella durata del mediometraggio: Vita da cani, Charlot soldato e appunto Il pellegrino, tre titoli che saranno riuniti dallo stesso Chaplin per una riedizione nel 1959 col titolo “The Chaplin Revue” che contribuirà alla riscoperta del genio di Chaplin. Fun in questa occasione che Chaplin per Il pellegrino incise un nuovo commento musicale di ispirazione country intitolato “Bound for Texas”.

Il pellegrino, un evaso, ruba gli abiti di un prete protestante per sostituire la sua uniforme da carcerato. In una stazione ferroviaria, incontra una coppia in fuga che vuole che lui li sposi. Il padre della donna si presenta e la porta via. Il pellegrino sceglie poi una destinazione a caso e finisce a Devil’s Gulch, in Texas, una domenica. Una delegazione è in attesa di accogliere il nuovo parroco. Con lo sceriffo nelle vicinanze, il pellegrino deve continuare a recitare la sua parte. Un grande diacono lo accompagna in chiesa, dove improvvisa un sermone su Davide e Golia. Nonostante gli sforzi, il pellegrino non riesce a essere reintegrato nella società e, dopo molte vicissitudini, viene ‘gentilmente’ accompagnato al confine col Messico. Pensando di trovare un po’ di pace, il pellegrino varca il confine ma subito diversi uomini armati emergono dal un bosco e iniziano a spararsi addosso. Il pellegrino, spaventato, si allontana in fretta e, rimanendo a cavallo del confine, riflette sulle sue opzioni.

TWIXT                                        

(USA, 2011, col., 85’, v.o. sott. italiani)

Regia: Francis Ford Coppola

Con: Val Kilmer, Bruce Dern Elle Fanning, Ben Chaplin, Alden Ehenreich, David Paymer, Joanne Whalley, Tom Waits

Ultimo film di Coppola prima di Megalopolis, due opere molto diverse ma accomunate da una riflessione su ciò che è stato e che potrebbe ancora essere un cinema “artigianale”, personale, d’invenzione.

Hall Baltimore è uno scrittore sfortunato, specializzato in romanzi basati sulla caccia alle streghe. Durante la presentazione di un libro in una piccola città, viene avvicinato dallo sceriffo Bobby LaGrange, un eccentrico ammiratore, che gli chiede di leggere il suo ultimo lavoro e di accompagnarlo all’obitorio per vedere il cadavere di una recente vittima di omicidio, poiché Bobby ritiene che sarebbe un’ottima storia. Hall accetta con riluttanza e all’obitorio scopre che la persona è stata uccisa da un serial killer. Nel frattempo viene a conoscenza di un hotel locale che un tempo ospitava Edgar Allan Poe. Questo, insieme agli omicidi e ad altre stranezze della città, spingono Hall ad annunciare alla moglie Denise di voler scrivere un pezzo basato sulla città.

Dopo essersi addormentato, Hall si trova a vagare in una versione onirica della città, dove incontra V, una giovane ragazza di nome Virginia, soprannominata “Vampira”. Il mattino seguente Hall si sveglia e decide che vorrebbe collaborare con Bobby alla storia che gli ha proposto, incentrata sui vampiri. Ma Hall ha a che fare con un vero e proprio blocco dello scrittore, così decide di affidarsi ai suoi sogni per trovare ispirazione. Qui ha inizio il viaggio onirico di Twixt in cui Coppola esplora tecniche di ripresa 3D e mescola cinema letteratura e reminiscenze autobiografiche.

“Il film è nato da un sogno che ho fatto – più che altro un incubo che sembrava avere l’immaginario di Hawthorne o Poe. Mentre lo stavo facendo mi sono reso conto che forse era un dono, perché avrei potuto farne una storia, forse un film horror. Poi un forte rumore all’esterno mi ha svegliato, e volevo tornare al sogno e trovare un finale, ma non riuscivo a riaddormentarmi, così ho registrato quello che ricordavo lì per lì sul mio telefono. Mi sono reso conto che si trattava di un’ambientazione gotico-romantica, quindi in realtà avrei potuto realizzarla in tutta la mia zona di residenza, invece di dover andare in un paese lontano.

Mi sono reso conto che tutta la storia era situata in una foresta, come nei magnifici racconti di streghe di Nataniel Hawthorne. Avevo letto tutti i racconti di Poe e mi trovavo dunque nella tradizione del romanzo gotico, il che mi ha divertito pensando che in gioventù avevo lavorato con Roger Corman., che faceva esattamente questo genere di film. Ho lavorato intorno a qualcosa che io e Poe condividiamo, cioè la perdita tragica di qualcuno. Sapevo che tutto il film avrebbe parlato della perdita. Il soggetto del film era la perdita” (Francis Ford Coppola).

 

Sending
Il voto dei lettori
4 (2 voti)

UNICINEMA scarica la Guida completa della Quadriennale di Sentieri Selvaggi


    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative