La programmazione di Fuori Orario dal 29 novembre al 5 dicembre

Su Fuori Orario documenti di cinema sul fondo con il documentario su Benito Mussolini. E poi Pedro Costa, Jean-Marie Straub, Sergei Loznitsa, Jean-Luc Godard e Jacques Tourneur

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Domenica 29 novembre dalle 2.45 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta

AUTOBIOGRAFIA TELEVISIVA DI UNA NAZIONE (1)

i materiali di cinema sul fondo 2 

a cura di Paolo Luciani

La proposta CINEMA SUL FONDO 2, incentrata sul cinema italiano degli anni ’30 e ’40,  che da alcuni mesi trova collocazione nelle notti di Fuori Orario ed è la diretta continuazione del progetto originale curato negli anni scorsi da Ciro Giorgini ed enrico ghezzi, viene ora accompagnato da una nuova serie di appuntamenti in cui l’attenzione sarà concentrata sui materiali (i più diversi per le  modalità produttive, siano essi di taglio storico-giornalistico- educativo)  che la Rai, nel corso degli anni, ha dedicato a quella parte della nostra storia che ha dovuto fare i conti con il fenomeno del Fascismo.

A partire dai primi anni ’60, soprattutto grazie ad una cesura temporale, seppure  di appena 15 anni dalla fine della guerra, come se non di più ad una realtà economica e culturale nuova, in grado di modificare in profondità anche il costume nazionale, proprio in quegli anni si moltiplicano le inchieste, i documentari, il film a soggetto che ritornano a studiare, raccontare, analizzare il ventennio,  i suoi protagonisti come il paese tutto; di più,  l’intenso e variegato lavoro storiografico trova anche  nel cinema, nella stampa specializzata  come in  quella popolare,  nella televisione in particolare, le  tribune e le  occasioni  per manifestarsi,  fino ad incidere  nella cultura di massa in forme del tutto originali, coinvolgendo un  pubblico vasto “di chi c’era, come di quelli che sono venuti dopo”, capace anche di appassionarsi, confrontarsi, dividersi, sulle diverse tesi storiche a confronto.

Nelle notti che seguiranno cercheremo di dare conto di questa realtà , intrecciando materiali documentaristici televisivi con esperienze cinematografiche significative, bizzarre, meno scontate. 

BENITO MUSSOLINI                                         

(Italia, 1961,  b/n, dur., 107’31”)

Regia:  Pasquale Prunas;  supervisione alla regia Roberto Rossellini; commento Enzo Biagi, Sergio Zavoli; trattamento Giambattista Cavallaro, Ernesto G. Laura; voce Romolo Valli; musica Roberto Nicolosi, diretta da Pierluigi Urbini; montaggio Roberto Ciatti; supervisione al montaggio Mario Serandrei; prodotto da Lionello Santi per Galatea – Etrusca Cin.ca

Con una mole enorme di materiali di repertorio, viene ricostruita l’ascesa del movimento fascista, la conquista dello stato, la dittatura, la guerra al fianco della Germania nazista, la disfatta, la tragica morte di Mussolini.

Il film, che vede la collaborazione di prestigiose firme del giornalismo, anche televisivo, con Roberto Rossellini, si inserisce nell’ondata di rivisitazione del ventennio, di finzione come documentaristica, che attraversa l’Italia nei primi anni ’60. Di più: la supervisione al montaggio è curata da Mario Serandrei, protagonista della stagione neorealista e tra gli autori dì di GIORNI DI GLORIA (1945), film collettivo che racconta quasi in tempo reale momenti della Resistenza; Zavoli con NASCITA DI UNA DITTATURA tornerà dieci anni dopo a ripercorrere le origini del fascismo italiano; Biagi invece, con le puntate del suo 1943 E DINTORNI realizzate nei primi anni ’80, incontrerà testimoni e protagonisti dell’anno chiave della recente storia italiana ed europea.

DE FELICE – MACK SMITH: LA POLEMICA SUL FASCISMO

(Italia, 1976,  b/n, dur., 64’31”)

a cura di Sergio De Santis e Giovanni Tantillo; regia di Gigliola Rosmino.

Trasmesso su Raiuno il 28 aprile 1976

Questo straordinario dibattito è l’ennesima occasione pubblica per lo storico Renzo De Felice di difendere il proprio approccio alla interpretazione storiografica del fascismo; le polemiche sul suo lavoro erano cresciute man mano che la sua monumentale e trentennale biografia di Mussolini arrivava alle stampe; questa volta il suo contraddittore è lo storico inglese Denis Mack Smith, trai massimi conoscitori della storia italiana. I temi sono anche qui quelli relativi al considerare il fascismo come epoca cruciale della storia italiana, con una attenzione particolare ai movimenti, alle tendenze culturali, agli interessi economico-finanziari con cui si è intrecciato e plasmato.

Venerdì 4 dicembre dalle 1.05 alle 6.00

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta

QUEI LORO INCONTRI, VISITA DEGLI SPETTRI

(COSTA, STRAUB, TOURNEUR)

VITALINA VARELA PRIMA VISIONE TV

(Id., Portogallo, 2019, col., dur., 124’28”, v.o. sott. in italiano)

Regia: Pedro Costa

Con: Vitalina Varela, Ventura, Francisco Brito, Manuel Tavares Almeida, Marina alves Domingues, Imídio Monteiro, José Tavares Borges 

Pardo d’Oro e Pardo per la miglior Interpretazione femminile al Festival di Locarno nel 2019

Una processione di ombre e corpi apre il film di Pedro Costa. Dal fondo di un vicolo scuro emergono lentamente, come fuoriuscissero dalla cavità di una roccia, una fila di corpi, tutti rigorosamente maschili. L’andamento oscillatorio delle figure, il buio, le ombre riflesse sulla parete di un cimitero, una marcia funebre. La morte segna l’inizio di Vitalina Varela, l’ultima predella di un grande polittico che Pedro Costa ha dedicato agli emigranti capoverdiani residenti a Lisbona. Tutto il film è avvolto da un silenzio mortifero. Non conosceremo il defunto, Joaquim, né, tantomeno, le relazioni che legano alcuni personaggi. Sua moglie, Vitalina Varela, arriva a Lisbona tre giorni dopo il suo funerale. La donna capoverdiana, che presta il suo nome e la sua storia al film, ha atteso 25 anni per raggiungere Joaquim a Lisbona. Spetterà a lei rompere il silenzio e abitare uno spazio ostile ed estraneo. Vitalina è il primo personaggio che arriva da Capo Verde a Lisbona invertendo, così, una traiettoria nella filmografia di Pedro Costa. Per la prima volta qualcuno giunge da Capo Verde ed ha l’opportunità di conoscere la vita che si conduce nella grande città. Vitalina ha atteso una vita intera per compiere questo viaggio, ma scoprirà che Lisbona, per i capoverdiani, non è niente più che uno spazio ostile, lo spazio dell’esclusione e della disgregazione.

“Accade qualcosa con l’arrivo di Vitalina a Lisbona. Non è solo una donna concreta, molto fisica, carnale, persino colma di desiderio. Vitalina avrebbe voluto vedere il marito, il suo corpo, lo afferma nel film. Vitalina rappresenta ciò che in pittura si definisce la Visitazione. È la Visitazione di qualcuno che viene da altrove, che porta notizie da un altro paese, da un altro tempo. Anche Vitalina è uno spettro. Il suo arrivo perturba e sconvolge la vita degli abitanti di questo quartiere. Solleva una sorta di scandalo. Li pone di fronte ad alcune verità. Riesce a schierare contro una parete questi uomini capoverdiani che definisce pigri, immemori, alienati. Li schiera come fosse un poliziotto di fronte ai sospettati. Li qualifica, li addita, adduce fatti…non dico crimini, ma quasi… Mentre concepivo il film mi sono ricordato di includere anche Ventura e per lui ho pensato la figura del prete. A Ventura serviva una sorta di contraltare. Mi sembrava interessante il contatto tra questa donna, questa forza del passato che rappresenta Vitalina, e questo giudice del presente che ha ormai letteralmente perso la ragione. Così come ha perso la fede, la fede e la testa. Ho pensato, ancora una volta, che il cinema probabilmente è fatto per questo…”. (Pedro Costa)

LA MADRE                                  

(Italia, 2011, colore, 19’59”)

Di: Jean-Marie Straub

Da: Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese (1947)

Con: Giovanna Daddi e Dario Marconcini

Presentato al Festival di Locarno del 2011. Ultimo film da Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, “tragedia di uomini schiacciati dal destino” scrisse a proposito nei suoi appunti.

Dopo essersi macchiato di un delitto, Meleagro è ucciso a sua volta per mano della madre, dalla quale non era mai riuscito a staccarsi del tutto. «Chi, dopotutto, riesce mai a staccarsi completamente dalla madre?» si chiede Ermete, una figura ambigua e polivalente che, con ironia e compassione, consola il defunto dicendogli come stanno veramente le cose.

Con la coppia di attori toscani Dario Marconcini e Giovanna Daddi già interpreti di altri film Pavese/Straub-Huillet, come Quei loro incontri (2005), Il Ginocchio di Artemide (2008), L’inconsolabile (2011).

HO CAMMINATO CON UNO ZOMBIE            

(I Walked with a Zombie, USA, 1943, b/n, durata 75’ 30”)

Regia: Jacques Tourneur

Con: Frances Dee, Tom Conway, James Ellison, Edith Barrett, James Bell, Christine Gordon, Theresa Harris

Pedro Costa ha sempre dichiarato la sua grande ammirazione per Jacques Tourneur, e Casa de lava, il suo secondo lungometraggio, si ispira direttamente a questo film, ma l’ombra di Tourneur continuerà a estendersi e prolungarsi in tutto il suo cinema.

Una giovane infermiera fresca di laurea viene assunta per occuparsi di una paziente malata di mente. La sede lavorativa è nelle Indie Occidentali, in una remota abitazione sull’isola di San Sebastian. Lì la donna malata vive insieme al marito e a Wesley, il fratellastro dell’uomo.

Tutti e due sono pazzamente innamorati della donna. Conway è convinto che sua moglie abbia ormai perso del tutto la lucidità, mentre gli abitanti del posto pensano che si sia “semplicemente” trasformata in uno zombie. L’infermiera, con l’aiuto di un dottore locale, proverà prima a risvegliare la donna dal suo stato di trance con tecniche di medicina “ufficiale”, poi si affiderà a dei rituali Voodoo, all’insaputa del marito. Le conseguenze delle sue azioni saranno sconvolgenti…

Sabato 5 dicembre dalle 1.30  alle 6.30

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta

L’ORIGINE DEL XXI SECOLO

2 – Le mille e una notte

a cura di Lorenzo Esposito

LE LIVRE D’IMAGE                              

(Francia-Svizzera, 2018, col., dur., 86’35”, v.o. sott. italiano)

Di: Jean-Luc Godard

Palma d’oro speciale al Festival di Cannes del 2018, l’ultimo capolavoro di Jean-Luc Godard, realizzato con la collaborazione di Jean Paul Battaggia, Fabrice Aragno, Nicole Brenez, è il frutto di un lavoro incessante durato ormai sessant’anni: il corpo a corpo col cinema, il movimento della mano nella pratica del montaggio (che ha definito”mon beau souci”), la perenne infanzia dell’arte come rinnovata cosmogonia  e “ardente speranza”.

Sulla soglia dei 90 anni Godard procede con un incessante “aller et retour” nella sterminata selva di lacerti letterari e cinematografici (di ogni formato e provenienza), nella polifonia delle voci, nello scontro di costellazioni da cui emergono il romanzo di Cossery, Une ambition dans le desert e l’evocazione dell’Arabia felice di Dumas.

Negli ultimi anni Godard ha ripetuto spesso la frase paolina “L’immagine verrà al tempo della resurrezione”. Dopo l’” adieu au langage”, nella sua battaglia contro il Logos, il Libro, la Legge, con Le livre d’Image si può forse cominciare a pensare come le immagini – anche nella catastrofe contemporanea dello spettacolo – possono ancora essere il contrario della legge e della rappresentazione, e come anzi possano contrastarle. “Le livre d’image integra e rilancia tutta questa tradizione magnifica – Artaud, Apollinaire, Epstein – che ha pensato il cinema come capace di liberarci dalla legge dell’identità” (Nicole Brenez). Il cinema non era forse pensato all’inizio come l’arte della luce? E nel finale di Scénario du film Passion (già programmato da Fuori Orario) non si passava dalla pagina bianca al mare per giungere al raggio di sole?

Verso la fine di Le livre d’image la voce cavernosa di Godard, nel nero dello schermo, come proveniente dall’oltre tomba, riprende e distorna le frasi di Peter Weiss: “Anche se nulla doveva essere come lo avevamo sperato, questo non cambierebbe nulla alle nostre speranze, esse resterebbero un’utopia necessaria, il campo delle speranze è più vasto di quello del nostro tempo, e così come il passato era immutabile, allo stesso modo le speranze resterebbero immutabili”.

I PONTI DI SARAJEVO

(Film collettivo, Le ponts de Sarajevo, Francia/Italia/Svizzera/BosniaHerzegovina/Bulgaria/Germania/Portogallo, 2014, b/n e col.)

Episodio n.5: GAVRILO PRINCIP, ULTIME LETTERE (dur., 05’ 06” circa)

Regia: Angela Schanelec

Una giovane coppia legge alcuni estratti da un’intervista dell’epoca a Gavrilo Princip 

Episodio n.10: VIGILIA (dur., 10’15”)

Regia: Christi Puiu

Prigioniero delle proprie illusioni, Mr. Popescu fa a sua moglie una lezione notturna di storia cercando, attraverso le pagine del libro di Hermann von Keyserling (“Das Spektrum Europas”), di assemblare i pezzi discordanti di un puzzle ancora oggi incompleto.                                

Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, fu assassinato a Sarajevo. Il suo omicidio è considerato la causa scatenante della Prima Guerra Mondiale che precipitò l’Europa nel caos e nel sangue. Cento anni dopo il colpo di pistola sparato dall’anarchico Gavrilo Princip, che cosa rappresenta Sarajevo dentro la storia contemporanea e dentro la memoria collettiva europea? Alla domanda prova a rispondere il progetto artistico di Jean-Michel Frodon, giornalista, critico e storico del cinema, che recluta tredici registi e intende altrettante riflessioni su Sarajevo, cuore e cornice di tragici eventi storici.
Les ponts de Sarajevo è una risposta caleidoscopica che ragiona su questa città circondata dalle montagne e attraversata dalla Miljacka, su cui si alzano i ponti del titolo e il Ponte Latino, dove l’arciduca fu ucciso. Uno sguardo polifonico su Sarajevo, dalla prima guerra mondiale ai nostri giorni, passando per il suo assedio, episodio centrale della guerra civile in Jugoslavia, che durò quattro anni (1992-96). Tredici film infine raccolti a farne uno solo e separati dall’animazione di François Schuiten, che disegna mani che si cercano al di sopra di un fiume, allacciandosi e formando un ponte che brucia e risorge di nuovo.

Se Sarajevo è l’orizzonte comune alle opere, ciascun segmento esprime la singolarità del proprio autore e della cultura di provenienza. Il film è stato presentato fuori concorso a Cannes 2014.

AUSTERLITZ                       

(Id., Germania, 2016, b/n, dur. 90’ 34”, v.o. sott. italiano)

Regia: Sergei Loznitsa

Ci sono luoghi in Europa che sono rimasti come ricordi dolorosi del passato, fabbriche dove gli esseri umani erano trasformati in cenere. Questi luoghi sono ora luoghi della Memoria, aperti al pubblico sono visitati da migliaia di turisti ogni anno. Il titolo del film si riferisce al romanzo omonimo scritto da W.G. Sebald, dedicato alla memoria della Shoah. Questo film è una osservazione dei visitatori di un sito per il ricordo, nato negli spazi di un ex campo di concentramento. Perché le persone ci vanno? Che cosa stanno cercando?

“L’idea di fare questo film mi è venuta perché visitando questi luoghi ho sentito subito una sensazione sgradevole nel mio essere lì. Sentivo come se la mia stessa presenza fosse eticamente discutibile e avrei voluto davvero capire, attraverso il volto delle persone, degli altri visitatori, come ciò che guardavano si riflettesse sul loro stato d’animo. Ma non nascondo di esserne rimasto, alla fine, abbastanza perplesso. Ciò che induce migliaia di persone a trascorrere i fine settimana estivi in un ex campo di concentramento è uno dei misteri di questi luoghi della Memoria. Si può fare riferimento alla buona volontà, al desiderio di compassione e pietà che Aristotele collega con la tragedia. Ma questa spiegazione non risolve il mistero. Perché una coppia di innamorati o una madre con il suo bambino vanno a fare visita ai forni crematori in una giornata di sole estivo? Ho concepito questo film per cercare di confrontarmi con queste domande”. (Sergei Loznitsa)

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