La programmazione di Fuori Orario dal 5 all’11 giugno

Film girati nelle scuole nel decennio 1970-80, Federico Fellini e Manoel de Oliveira. Su Fuori Orario da stanotte a sabato 11.

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Domenica 5 giugno dalle 2.10 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

LA SCUOLA PARLA, LA SCUOLA MUTA (1970-1980) (1) 

A cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

Fuori Orario presenta per tre domeniche consecutive film girati all’interno delle scuole in Italia nel decennio 1970-1980. Da I bambini e noi di Luigi Comencini fino all’eccezionale Ultimo giorno di scuola di Thomas Harlan, girato nel 1980 con Alberto Grifi direttore della fotografia ma andato in onda per la prima volta soltanto nel 2016 da Fuori Orario. Tra i bambini di Comencini e gli adolescenti di Harlan ci saranno due grandi opere di Vittorio De Seta dedicate al mondo della scuola, Diario di un maestro (1973) e Quando la scuola cambia, inchiesta del 1978, quest’ultima in onda in contemporanea con il Festival Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro che dedica un evento a Mario Lodi, educatore e coautore di De Seta nel 1978.

ULTIMO GIORNO DI SCUOLA

(Italia, 1980, col., dur., 43′)

Di: Thomas Harlan

Girato dal regista e scrittore tedesco, con il contributo di Alberto Grifi per la fotografia in 16mm, Ultimo giorno di scuola, ambientato in una scuola romana e filmato all’interno di una classe durante una lezione, è un ritratto spietato degli studenti e della società italiana dopo la fine dei movimenti di lotta degli anni precedenti.

«A quei tempi lavoravo a un progetto della RAI, del comitato di redazione del­la RAI, riguardante le riprese di un film nella scuola per odontotecnici di Roma – una vecchia costruzione in rovina, in cui migliaia di allievi italiani per miglia­ia di volte non avevano avuto come insegnante un vero dentista o un vero odontotecnico bensì soltanto docenti di scuola superiore ancora in grado di in­segnare loro biologia e matematica, ma non più un corretto italiano. E gli allievi, che tutti quanti tenevano sul banco pi­stole cariche, erano spietati. Per questi era impensabile che si girasse un film sulla loro realtà. Ed il fatto che alla fine riuscii a girare questo film, intitolato poi Ultimo giorno di scuola, fu possibile soltanto perché gli allievi durante mesi di discussioni, anche a casa mia, mi avevano convinto a riprendere i loro esami di biologia. Un esame in cui l’insegnante distribuiva voti senza conoscere gli allievi neppure per nome. Il film, trasmesso dopo il telegiornale serale, fece scandalo e comportò innumerevoli procedimenti giudiziari». (Thomas Harlan)

I BAMBINI E NOI

(Italia, 1970, b/n, dur., totale 179’)

Di: Luigi Comencini

2° Puntata: EDUCATI E GENTILI

Luigi Comencini si sposta a Milano, partendo dalla scuola elementare statale di Via della Spiga, di cui il regista intervista il Preside: la scuola è frequentata prevalentemente dai ragazzi della zona della Spiga, un quartiere residenziale di Milano. Si tratta dunque di un ambiente composto per lo più da ragazzi figli di genitori abbienti, coi quali convivono pochissimi bambini di provenienza più umile. Gli alunni della scuola sono estremamente competitivi e desiderosi di primeggiare. Comencini domanda al direttore: Lei pensa che i genitori di questi bambini manderebbero i loro figli alla scuola pubblica anche se fosse frequentata da altre classi sociali, come ad esempio immigrati e figli di operai? 

4° Puntata: LA BICICLETTA

Luigi Comencini ci porta a conoscere i bambini del quartiere di Prima Porta, a Roma, per scoprire le problematiche scolastiche e sociali che devono affrontare. La borgata si è molto allargata e ha accolto persone provenienti da molte parti d’Italia, col risultato che le scuole sono sovraffollate. Accanto alle classi ordinarie vi sono delle classi differenziali, che accolgono ragazzi con problemi cognitivi e comportamentali: ma queste classi riescono davvero nell’intento del recupero e della risoluzione dei problemi dei ragazzi? 

6° Puntata: QUALCOSA DI NUOVO

Comencini intervista genitori, operatori scolastici ed alunni della vecchia scuola Gabrio Casati, a Torino: di fronte alla scuola campeggia la scritta I bambini invitano il quartiere. Nell’istituto, i ragazzi hanno dei laboratori di teatro, eseguono canti liberi e affrescano personalmente le pareti dell’edificio, con murales e materiali da riciclo.

 

Venerdì 10 giugno dalle 1.15 alle 6.00

UNA VENTATA DI LIBERTÀ

Fellini, la Tv e altri processi alchemici

a cura di Lorenzo Esposito

GINGER E FRED        versione restaurata

(Italia, 1985, col., dur., 124’)

Regia: Federico Fellini

Con: Giulietta Masina, Marcello Mastroianni, Franco Fabrizi

Amelia Bonetti e Pippo Botticella in arte Ginger e Fred sono due attempati ballerini di tip-tap, romantici e un po’ squinternati. Ginger e Fred vengono coinvolti da una tv privata in una sorta di “operazione nostalgia”, ma si capisce subito che al centro della scena stanno in realtà la figura del presentatore e la pubblicità. Quando i due vengono chiamati sul palco si verifica un blackout che interrompe il loro numero. Fred-Mastroianni confabulando con Ginger-Masina sull’insensatezza della loro presenza al programma, la convince ad andarsene dal palco insieme a lui prima della ripresa del programma. Mentre sono in uscita e Pippo sta rivolgendo un gestaccio ai “teledipendenti”, la luce torna e i due riprendono tristemente il loro numero di ballo, terminandolo con grande affanno e ricevendo un applauso pietoso.

“Tutti i film sono autobiografici. Siamo sempre autobiografici, anche chi pretende di essere il più obiettivo, il più distaccato in fondo non fa che dar la testimonianza del suo distacco, della sua presunta obiettività. In Ginger e Fred di autobiografico ci posso mettere – sempre scherzosamente – certi malumori, certi risentimenti in quanto ritengo, non dico responsabile, ma certo fatalmente la televisione ha creato un rapporto diverso tra lo spettatore e l’immagine. Non è più quel rapporto così intimidito, suggestionato, fiducioso, esaltato che il grande schermo, che chiamava a raccolta come in una chiesa il pubblico, poi si spegneva la luce e si illuminava questo grande lenzuolo, gli attori erano enormi con questi gran faccioni, labbroni… tutto l’aspetto esotico, l’aspetto del femminile… Tutto questo la televisione lo ha irrimediabilmente distrutto, cancellato. È un’immagine completamente diversa, un’immagine schizofrenica, psichedelica, nevrotica, “coriandolizzata”, frantumata… È una specie di caleidoscopio, di solletico all’occhio che a lungo andare ha creato un tipo di spettatore impaziente, superficiale, che pretende di far lui il film cambiando continuamente da un’immagine di un programma all’altro… Quindi certamente io che sono un cineasta, vedo che devo tener conto di un pubblico che non conosco ed esprimere i miei le mie fantasie i miei pochi pensieri sul mondo con un linguaggio che tenga conto delle esigenze da insetti di questo nuovo pubblico frenetico e impaziente”. (Intervista di Gedeon Bachman a Federico Fellini sul set di Ginger e Fred)

BLOCK NOTES DI UN REGISTA                      

(Italia, 1969, col., dur., 39′, versione restaurata)

Regia: Federico Fellini

Con: Federico Fellini, Giulietta Masina, Marcello Mastroianni, Genius, David Maumsell, Cesarino, Gasparin, Lina Alberti, Caterina Boratto, Marina Boratto, Bernardino Zapponi

Grazie alla committenza del canale televisivo americano NBC Fellini racconta liberamente il suo modo di lavorare, rievoca la genesi del grande film non finito Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet (interpretato dal suo attore Marcello Mastroianni) e racconta la preparazione e i sopralluoghi del suo Fellini Satyricon con cui uscirà da un periodo di crisi. Block Notes di un regista funziona così da seduta auto-psicanalitica, uno sguardo su se stesso e sui set abbandonati del proprio viaggio creativo, e la forma degli appunti non sembra così lontana dal discorso ininterrotto dell’inconscio.

“Così realizzai Block-notes di un regista: con una grande disinvoltura per la verità; come una cosa che dovevo levarmi di torno. Ma quell’approssimazione in senso buono, quella fretta, quella leggerezza, mi avevano condotto a uno stato d’animo di letizia. Mi era parso di camminare più spedito, senza valigie” (…) “Insomma la TV è un canale in cui scorro più facilmente. La troupe è più piccola, l’impresa invita ad essere affrontata con la mano sinistra. (…) Il problema dello specifico televisivo io non so pormelo, questa è la verità. La Tv, per me, è soltanto un altro modo di fare cinema: come Picasso quando smette di fare quadri, e fa invece ceramiche. Ecco, la Tv può essere una specie di spruzzata rugiadosa di verginità sopra chi è minacciato dall’incipiente sclerosi, dalla routine, dalla tendenza a identificarsi con l’immagine che gli altri si sono fatta di lui.” (F. Fellini, Fare un film, Einaudi 1980)

TOBY DAMMIT                                  

(Episodio del film collettivo Tre passi nel delirio, Italia, 1968, col., dur., 41’)

Regia: Federico Fellini

Con: Terence Stamp, Salvo Randone, Marina Yaru, Fabrizio Angeli, Ernesto Colli, Annie Tonietti, Ettore Arena

Tratto liberamente dal racconto Non scommettere la testa con il diavolo di Edgard Allan Poe. Un’opera chiave nell’opera di Fellini che è anche una lettura del Sessantotto e dell’alienazione della società spettacolo. Nella vicenda del film Roma intera si mobilita per l’arrivo di un divo cinematografico annoiato dalla mondanità: solo una misteriosa bambina riesce a scuoterlo sfidandolo verso l’estremo.

 

Sabato 11 giugno dalle 2.05 alle 6.30

FRANCISCA                                           

(Id., Portogallo, 1981, 163’, col., v. o. sott., it.)

Regia: Manoel de Oliveira

Produzione: Paulo Branco

Con: Teresa Meneses, Diogo Dória, Mário Barroso

Film restaurato dalla Cinemateca Portuguesa – Museu do Cinema nel 2019. Dal libro Fanny Owen di Agustina Bessa-Luís, a sua volta ispirato a fatti reali del XIX secolo, il film conclude la «tetralogia degli amori frustrati». A metà del XIX secolo, lo scrittore Camilo Castelo Branco  e il suo amico José Augusto si innamorano delle due sorelle Owen, Marie e Fanny. Benché innamorato di Marie, José Augusto fugge con Fanny, ma trova in alcune lettere procurategli da Camilo un pretesto per non consumare il matrimonio… con l’idea  delirante di “creare un angelo nella pienezza del martirio”.  Alcuni anni dopo Fanny muore di malattia, lasciando il marito con l’incertezza  sulla sua verginità. Qualche tempo dopo, José Augusto viene trovato morto in un albergo di Lisbona.

 “La possibilità di realizzare Francisca arrivò inaspettatamente. Avevo preparato (ed ero pronto a cominciare) un altro film, una commedia, quando un disaccordo dell’ultimo minuto con l’autore della storia mi spinse a ritirarmi. Mi venne quindi in mente di fare Francisca (da Fanny Owen) perché ero già interessato alla vera storia, collegata alla famiglia di mia moglie. La conoscevo da tempo perché me ne avevano parlato e avevo letto alcune lettere di Fanny che ancora oggi sono in possesso di mio cognato Abel. Camilo Castelo Branco, il famoso romanziere che avrebbe scritto il noto Amor de Perdição, era amico di José Augusto e Fanny, e insieme a loro ebbe parte in questo triste fatto del 1850. Camilo evoca l’infelice storia di amore di Fanny e José Augusto nel libro No Bom Jesus do Monte. Forse lo fece, in un certo modo, per scrollarsi di dosso l’accusa di complicità nella natura indecorosa attribuita a questa storia romanticissima. Recentemente, la grande scrittrice Agustina Bessa-Luís ha fatto rivivere la storia in Fanny Owen, basando il libro su fatti veri e sugli scritti di Camilo. Fu l’opera di Agustina a spingermi a fare Francisca e sul suo libro ho costruito il film. Così, Francisca completa la tetralogia degli altri miei film sull’amore frustrato e cioè O passado e o presenteBenilde ou a Virgem Mãe e Amor de Perdição. (Manoel de Oliveira)

“Gli abissi, le anime, i pensieri non si possono filmare, si suggeriscono. Si filma solo ciò che si può fotografare ed è per questo che a me non piace uscire dal concreto”. (Manoel de Oliveira, Catalogo della Cinemateca Portuguesa, Manoel de Oliveira,1981)

“D’altra parte è proprio questo che in generale amo nel cinema: una saturazione di segni magnifici che si bagnano nella luce della loro stessa assenza di spiegazione.  È per questo che credo nel cinema”. (Conversazione tra Manoel de Oliveira e Jean-Luc Godard, Libération, 1983)

La tortuosa relazione tra Agustina Bessa-Luís e Manoel de Oliveira ebbe inizio nel 1981, quando il cineasta adattò il romanzo Fanny Owen( 1979).Francisca è l’ultima eroina della tetralogia degli amori frustati, è un film di specchi e riflessi, una delle opere massime di Oliveira.

“Oliveira parte dal romanzo di Agustina Bessa-Luís, che a sua volta si ispira a un episodio camiliano realmente accaduto durante la metà del XIX secolo nell’ambiente intellettuale bohémien di Porto, frequentato dal noto romanziere Camilo Castelo Branco e dallo scrittore José Augusto.  Di fatto Fanny o Francisca è tanto un personaggio reale (è realmente esistito) quanto un personaggio di Camilo, visto che quasi tutto ciò che sappiamo di lei lo sappiamo attraverso Camilo e che tra i due c’è stato un rapporto complesso e ambiguo. È stata sposata con uno scrittore – José Augusto – compagno, amico e rivale di Camilo che ha contribuito in modo decisivo sia al loro matrimonio sia al tragico scioglimento di questo, intessendo intorno a essi un diabolico intrigo. […] In Francisca è tutto ancora più abissale [che in Amor di perdição)] In questo altro film camiliano l’«oscuro abisso» è ancora più completo. Perché non veniamo mai a sapere  – come non si è mai saputo «storia reale» – perché José Augusto, dopo aver rapito Francisca ed essersi sposato con lei, non abbia consumato il matrimonio. Si sa che c’è stata una rivelazione terribile (intrigo? Fatto reale?) che l’ha portato a sospettare della verginità della moglie e a rifiutarne per sempre il corpo. Sul letto di morte, Francisca – la stessa Francisca che all’inizio aveva detto che l’anima è un vizio – (e, come in Amor de Perdição, Oliveira ripete la sequenza e il dialogo) lancia il terribile grido: «C’è un uomo che mi possa amare?». (João Bénard da Costa, Manoel de Oliveira,Torino Film Festival, 2000)

LISBONA CAPITALE D’EUROPA

(Lisboa cultural, Portogallo/Italia, 1983, prodotto dalla RAI per la serie Capitali culturali d’Europa, col., versione italiana, dur., 58′)

Regia: Manoel de Oliveira

Con: Eunice Muñoz, Diogo Dória, Luís Miguel Cintra, Manuela de Freitas, María Barroso, Luís Lima Barreto, Teresa Madruga, Carlos Paulo

«Non si trattava di un documentario su Lisbona, ma di una cronaca della storia culturale portoghese, organizzata attraverso 17 interventi e un découpage scandito per secoli. Questa visione sintetizzata del film, concreta, obiettiva, demistificata, mostra secolo dopo secolo quello che noi siamo dalla riconquista di Lisbona ai Mori (1147), fino alla Rivoluzione del 25 aprile». (Manoel de Oliveira).

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