La programmazione di Fuori Orario dall’1 al 7 dicembre

Le histoire(s) de cinéastes con Varda, Rossellini e Godard, doppi movimenti con Ozu e Hou Hsiao-hsien e il sudreale italiano con Carpignano, Luzi-Bellino e Carpignano.

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Domenica 1 dicembre dalle 2.20 alle 6.00

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

HISTOIRE(S) DE CINÉASTES

 a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

HISTOIRE(S) DU CINÉMA

episodio 3/b (6): UNE VAGUE NOUVELLE

(Francia, 1988-1998, b/n e col., dur., 27’, v.o. sottotitoli italiani)

Di: Jean-Luc Godard

L’episodio Une Vague nouvelle è dedicato a Frédéric C. Froeschel e Nahum Kleiman. Godard ritorna sul movimento della Nouvelle Vague e come questa abbia iscritto il cinema nella storia delle arti. Ricorda Henri Langlois e il  rapporto che egli stesso ha coltivato con la Cinémathèque. ”Avendo fatto pèarte di un movimento nartistico chiamato nouvelle vague che oggi preferirei definire vague nouvelle, volevo giocare sul termine ‘vague’ che può al tempo stesso significare poca chiarezza , ma anche onda, come l’onda del mare. E questo in risposta a quanti mi hanno rimproverato di non essere molto preciso, in particolare oggi”

Fin dalla fine degli anni ’70 Godard aveva pensato a   una serie di film dal titolo Introduction à une véritable histoire du cinéma et de la télévision. Il progetto ha infine preso forma negli otto episodi  realizzati dal 1988 al 1998, un periodo che  –  tra l’altro  – coincide pressappoco proprio con i primi dieci anni di vita di Fuori Orario.

«Non ricordo più in quale episodio dico che senza il cinema non avrei saputo di avere una storia. Questo mi ha permesso di pensare alla mia stessa storia e di inserirla in una più grande che si trovava ad un tempo fuori e dentro di me. Mostrare ciò che sentivo, sentire ciò che mostravo. In fondo negli otto episodi alla domanda “Che cos’è il cinema?” non fornisco otto risposte, piuttosto ne suggerisco centomila possibili (..) Se dovessi mettere un sottotitolo a queste storie del cinema, scriverei Archivio del tempo presente, o Nuovo modo di guardare gli archivi del tempo presente».

VARDA PAR AGNÈS

(id., Francia, 2018, col., dur., 115’, v. o. sott., it.,)

 Di: Agnès Varda

Agnès Varda ripercorre la sua vita di artista con citazioni e rimontaggi dai suoi stessi film. Tra i massimi cineasti del cinema contemporaneo Agnès Varda ha esordito nel 1955 con La Pointe courte, considerato il film anticipatore della Nouvelle Vague. Nel corso della sua carriera ha realizzato oltre cinquanta film. Ha vinto il Leone d’Oro a Venezia 1985 nel con Sans toit ni loi e ricevuto, tra gli altri premi, la Palma d’onore del Festival di Cannes (2015), il Pardo alla carriera del Festival di Locarno (2014), l’Oscar d’onore per l’insieme della sua carriera (2017). Agnès Varda è scomparsa a 91 anni nel 2019. Varda par Agnès è il suo ultimo film.

“Nella mia vita ho fatto una grande varietà di film. Quindi devo dirvi cosa mi ha portato a fare questo lavoro per così tanti anni. […] Potremmo chiamarla ‘lezione magistrale’, ma non mi sento una maestra e non ho mai insegnato. Non mi piace l’idea. Non si tratta tanto di raccontare nuovamente le storie, è più una questione di struttura e di intenti e di fonti d’ispirazione. Ma non volevo farne una cosa noiosa. Così si svolge in un teatro pieno di gente, o in un giardino, e cerco di essere me stessa e di trasmettere l’energia o l’intenzione o il sentimento che voglio condividere. È quello che chiamo ‘cinescrittura’, in cui le scelte partecipano a qualcosa che si chiama ‘stile’. Ma stile è un termine letterario. Quindi ‘cinescrittura’ sono tutti gli elementi che credo vadano considerati, o scelti o usati, per fare un film”. (Agnès Varda, dal catalogo del Cinema Ritrovato, Cineteca di Bologna)

INCONTRI 1969ROBERTO ROSSELLINI: I SEGRETI DI UN MITO

(Italia, 1969, b/n., dur., 63′) Puntata del programma televisivo Incontri 1969.

Regia: Gastone Favero e Ugo Gregoretti

Un’ora con Roberto Rossellini, riferimento primo, costante e assoluto, di Fuori Orario. Il regista di Paisà e Europa 51 intervistato da Gregoretti racconta di sé e della sua vita, ripercorre la sua opera, il rapporto con i giovani critici dei Cahiers du Cinéma che diventeranno gli autori della Nouvelle Vague francese ma anche della sua partecipazione alle manifestazioni del maggio ’68 parigino. Passando da un argomento all’altro emerge il pensiero di quella che è una delle figure chiave non solo del secolo scorso e non solo nel campo cinematografico, una visione lucida e appassionata, propria di Rossellini, che unisce scienza, coscienza e conoscenza e un’ostinata fiducia nelle capacità dell’essere umano.

 

Venerdì 6 dicembre dalle 1.40 alle 6.00

DOPPIO MOVIMENTO (VICINO ALLA VITA)

a cura di Lorenzo Esposito

CUTE GIRL 

(Chiu shihi liu-liu te ta, Taiwan, 1980, col., dur., 85’44’’ v.o. sott. it.)

Regia: Hou Hsiao-hsien

Con: Kenny Bee, Feng Fei-fei, Anthony Chan

Nella notte Fuori Orario presenta due dei primi film diretti da Hou Hsiao-hsien tra il 1980 e il 1982, prima della grande rivelazione internazionale della nouvelle vague taiwanese, di cui lui e Edward Yang sono i due grandissimi maestri. Restaurati da Cinematek, i due film appartengono al periodo cosiddetto “commerciale” di Hou Hsiao-hsien e per volontà dello stesso regista non furono mostrati all’estero prima della Retrospettiva della Cinémathèque Française del 1999. Rimasti poco conosciuti e poco considerati, mostrano non solo l’apprendistato artigianale del cineasta, ma rivelano già uno sguardo originale e libero che si affermerà compiutamente a partire dal film a episodi The Sandwich Man e  poi nel primo capolavoro, I ragazzi di Fengkwei, già presentato recentemente da Fuori Orario., che continuerà anche in futuro a esplorare l’opera del regista.  

Quando realizza Cute Girl, il regista ha 32 anni, ha già lavorato con diversi ruoli sui set del cinema taiwanesese, ha dunque un’esperienza pratica che gli permette di scrivere, girare e montare il film in due mesi. Kenny Bee e Feng Fei-fei erano due note pop-stars a Hong Kong e Taiwan e torneranno nel secondo film di Hou, Cheerful Wind, interpretando anche le canzoni.

Wenwen è una ragazza di buona famiglia promessa al figlio di un ricco industriale che ha studiato in Francia e di cui si attende il ritorno per celebrare il fidanzamento.   Ma la ragazza comincia ad avere dei dubbi e parte per la campagna dove abita la zia. Qui ritrova Daigan, un ragazzo di condizioni apparentemente modeste che vive a Taiwan con un bambino adottato ma che è venuto anche lui in campagna per la costruzione di un’autostrada.

Grande successo in patria, il film si muove solo apparentemente nel solco delle “commedie romantiche” taiwanesi (che si rifanno a modelli classici). Hou Hsiao-hsien è infatti già al di là del cinema “commerciale” di Taiwan e inventa un cinema libero: nei tempi, nel gioco con gli attori, nell’apertura al mondo (la città e la campagna): «I miei primi film esprimevano i sentimenti in un modo completamente nuovo (…) Abbiamo deciso di filmare gli attori insieme, secondo un metodo che fosse vicino nello stesso tempo sia al teatro che alla vita. Il cinema si è trovato di colpo “modernizzato”» (Hou Hsiao-hsien)

IL SAPORE DEL RISO AL TÈ VERDE    VERSIONE RESTAURATA

(Ochazuke no aji, Giappone, 1952, b/n, dur., 111’, v.o. sott., it.)

Regia: Yasujirō Ozu

Con: Saburi Shin, Kogure Michiyo, Tsuruta Kōji, Chishū Ryū, Awashima Chikage, Tsushima Keiko

Il sapore del riso al tè verde è un film di puro movimento, dove Ozu registra i mutamenti nei rapporti personali e nelle abitudini del Giappone dopoguerra e arriva immediatamente prima di Viaggio a Tokyo. Ozu aveva concepito il film nel 1939 ma la sceneggiatura incontrò problemi di censura e, quando venne ripresa, Ozu apportò alcuni cambiamenti (per esempio all’inizio Moichi partiva per la guerra, nella versione finale va in Uruguay).

Il matrimonio fra Taeko e Mokichi è in crisi. La nipote Setsuko prende ad esempio l’infelicità coniugale degli zii per ribellarsi a un matrimonio combinato. Alla fine Taeko e Moichi troveranno pace nella semplicità delle cose quotidiane, basterà ritrovarsi a cucinare insieme del riso al tè verde per riconoscere l’amore.

Così racconta Ozu: “Era una sceneggiatura scritta durante la guerra e accantonata a causa della censura di allora, però era un peccato e l’ho ritirata fuori. […] Ciò che volevo comunicare era che in un uomo ci sono delle qualità propriamente maschili che vanno al di là degli aspetti che di solito guardano le donne, come la bellezza del viso o l’avere un buon gusto” (Y. Ozu, Scritti sul cinema, a c. di F. Picollo e H Yagi, Donzelli 2016).

 

Sabato 7 dicembre dalle 1.20 alle 7.00

MISE EN SCÈNE DEL SUDREALE  

a cura di Fulvio Baglivi

A CHIARA

(Ita-Fra-USA, 2020, col., dur., 117′)

Regia: Jonas Carpignano

Con: Swamy Rotolo, Claudio Rotolo, Grecia Rotolo, Carmela Fumo

Chiara Guerrasio ha 15 anni e vive a Gioia Tauro, la festa per i 18 anni di sua sorella ci mostra una famiglia apparentemente unita e serena. Non è come sembra, il padre di Chiara a un certo punto scompare e lei inizia a cercarlo, scontrandosi con altri familiari, fino a scoprire un’attività illecita in cui è coinvolta la sua famiglia.

Carpignano prosegue la sua “indagine” sulla realtà del Mezzogiorno, in particolare della Calabria, già iniziata con A Ciambra, seguendo un metodo di lavoro che non giudica ma respira con i propri personaggi, (ri)presi direttamente nella loro realtà.

IL CRATERE

(Italia, 2017, col., dur., 93’)

Regia: Luca Bellino, Silvia Luzi

Con: Sharon Caroccia, Rosario Caroccia

Primo lungometraggio di “finzione” della coppia di cineasti già autori di diversi documentari, Il Cratere è la storia della famiglia Caroccia con il padre Rosario, ambulante e giostraio, che vede nella figlia Sharon, giovanissima aspirante cantante, la possibilità di un riscatto economico e sociale.

Ritratto di un’adolescente sospesa tra paure e desideri, Sharon, condizionata da una cultura atavica che sembra impossibile da superare.

IL BUCO IN TESTA

(Italia, 2021, col., dur., 97′)

Regia: Antonio Capuano

Con: Teresa Saponangelo, Tommaso Ragno, Francesco Di Leva, Gea Martire

Ispirato agli eventi del 14 maggio ’77 a Milano, quando il vicebrigadiere Custra rimase ucciso durante una manifestazione, lasciando la moglie incinta, l’ultimo film, ad oggi, di Antonio Capuano, racconta la storia della figlia che va a Milano per incontrare l’uomo che anni prima aveva sparato al padre.

Con il suo stile asciutto e “trasparente”, Capuano, uno dei massimi cineasti “della realtà” degli ultimi 30 anni, affronta la storia d’Italia, pubblica e privata, senza preconcetti e senza dare giudizi.

 

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