La programmazione di Fuori Orario dall’11 al 17 aprile

Su Fuori Orario serata dedicata a Hou Hsiao-hsien. Ci saranno poi altre tre puntate di Storie dell’anno mille, Dal ritorno di Cioni, Il risoluto di Donfrancesco e Blob Cinico Tv

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CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

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Domenica 11 aprile dalle 2.45 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta

STORIE SCELLERATE

PASSO DOPO PASSO NEL NERO PIU’ NERO (7)

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

Storie dell’anno mille – 4°, 5°, 6° puntata

(Id., Italia 1969-1973, col., dur., totale 125’46’’ circa)

Regia: Franco Indovina

Soggetto originale e sceneggiatura: Tonino Guerra e Luigi Malerba.

Musiche originali: Egisto Macchi

Con: Franco Parenti, Carmelo Bene, Giancarlo Bettari

Sta per chiudersi l’anno Mille. Il cavaliere Fortunato e i due soldati Carestia e Pannocchia, sopravvissuti a una battaglia e vittime di continui equivoci, ne affrontano di cotte e di crude. Travestiti da religiosi, incappano nel Papa che vuole essere confessato; vengono poi coinvolti in un assedio; rischiano il rogo come eretici e si salvano per un diluvio provvidenziale; si vedono dare in omaggio un reame e il giorno dopo sono ancora una volta condannati a morte. Fuggono, ma neanche a casa troveranno pace. Un film picaresco, sceneggiato da Tonino Guerra e Luigi Malerba, tra gli interpreti un Carmelo Bene doppiato al suo esordio televisivo.

BLOB CINICO TV

(Italia, 1992, b/n, dur., 45’)

Regia: Daniele Ciprì, Franco Maresco

Il bianco e nero contrastato, l’umanità mostruosa, i rutti e i peti mandati in prime time scompaginarono le certezze dell’intellighenzia e sconvolsero la visione sonnolenta del pubblico.
A distanza di quasi trenta anni il mondo del ciclista Francesco Tirone, del petomane Giuseppe
Paviglianiti, del cantante fallito Giovanni Lo Giudice, delle ‘schifezze umane’ Carlo e Pietro
Giordano, dell’afasico uomo in mutande Miranda, dell’occhialuto Giuseppe Filangeri resta una delle vette critiche ed estetiche mai immaginate in Italia, che chiudono e rilanciano un secolo di cinema.
“Non urlo o risata fragorosa: urli muti, subito troncati, senza eco, e risate a freddo. Comicità minima e iperbolica.”

 

Venerdì 16 aprile dalle 1.10 alle 6.00

POLVERE NEL VENTO

CINQUE MAESTRI D’ORIENTE (3)

a cura di Lorenzo Esposito e Roberto Turigliatto

CUTE GIRL  PRIMA VISIONE TV   

(Chiu shihi liu-liu te ta, Taiwan, 1980, col., dur., 86’ v.o. sott. italiano)

Regia, sceneggiatura: Hou Hsiao-hsien

Con:  Kenny Bee, Feng Fei-fei, Anthony Chan

Film restaurato da Cinematek (Cinémathèque Royale de Belgique)

Nella notte Fuori Orario presenta due dei primi film diretti da Hou Hsiao-hsien tra il 1980 e il 1982, prima della grande rivelazione internazionale della nouvelle vague taiwanese, di cui lui e Edward Yang sono i due grandissimi maestri. Nelle prossime puntate Fuori Orario presenterà un terzo film del primo periodo dell’opera di Hou Hsiao-hsien, I ragazzi di Fengkwei, in abbinamento col  secondo film di Edward Yang, Taipei Story, che vede Hou Hsiao-hsien nelle vesti di attore principale.

Recentemente restaurati da Cinematek,   i due film  appartengono al periodo cosiddetto “commerciale” di Hou Hsiao-hsien e  per volontà dello stesso regista non furono mostrati all’estero prima della Retrospettiva della Cinémathèque Française del 1999. Rimasti poco conosciuti e poco considerati, mostrano non solo l’apprendistato artigianale del cineasta, ma rivelano  già  uno sguardo originale e libero che si affermerà compiutamente a partire dal film a episodi The Sandwich Man e  poi nel primo capolavoro, I ragazzi di Fengkwei.

Quando realizzza Cute Girl, il regista ha 32 anni, ha già lavorato con diversi ruoli sui set del cinema taiwanesese,  ha dunque un’esperienza pratica  che gli permette di scrivere, girare e montare il film  in due mesi. Kenny Bee e Feng Fei-fei erano due note pop-stars a Hong Kong e Taiwan e torneranno nel secondo film di Hou, Cheerful Wind, interpretando anche  le canzoni.

Wenwen è una ragazza di buona famiglia promessa al figlio di un ricco industriale che ha studiato in Francia e di cui si attende il ritorno per celebrare il fidanzamento.   Ma la ragazza comincia ad avere dei dubbi e parte per la campagna dove abita la zia. Qui ritrova Daigan, un ragazzo di condizioni apparentemente modeste che  vive a Taiwan con un bambino adottato ma che è venuto anche lui in campagna per la costruzione di un’autostrada.

Grande successo in patria,  il film si muove solo apparentemente nel solco delle “commedie romantiche” taiwanesi (che si rifanno a modelli classici). Hou Hsiao-hsien è infatti già al di là del cinema “commerciale” di Taiwan e  inventa un cinema libero: nei tempi, nel gioco con gli attori, nell’apertura al mondo (la città e la campagna): «I miei primi film esprimevano i sentimenti in un modo completamente nuovo (…) Abbiamo deciso di filmare gli attori insieme, secondo un metodo che fosse vicino nello stesso tempo sia al teatro che  alla vita. Il cinema si è trovato di colpo “modernizzato”»  (Hou Hsiao-hsien)

GREEN, GREEN GRASS OF HOME               PRIMA VISIONE TV

(Tsai na ho-pang ching-tsao-ching , Taiwan, 1982, col.  dur. 88’, v.o. sott. it.,)

Regia, sceneggiatura: Hou Hsiao-hsien

Con: Kenny Bee,  Avec Kenny Bee, Chang Ling,  Meifeng Chen, Ling Jiang (Xian-Wang)

Film restaurato da Cinematek (Cinémathèque Royale de Belgique)

La maestra di un villaggio si trasferisce in Indonesia per seguire suo marito e si fa sostituire dal fratello, Ta-nien, originario di Taipei. Il nuovo maestro fa la conoscenza dei bambini della sua classe, e in particolare dei “tre moschettieri”. Attratto dalla sua collega Chen Su-Yun e dall’atmosfera della campagna, dimentica le seduzioni della vita cittadina e scopre una nuova vita.

Col suo titolo ripreso da una canzone famosa, è la terza”commedia romantica” del regista, dopo Cute Girl e Cheerful Wind del 1981.  Vi  ritroviamo la star di Hong Kong Kenny Bee, ma la maggior parte degli attori lavorano per la prima volta col regista. Si può seguire da un film all’altro l’affascinante progredire dello stile che sarà compiutamente  proprio del regista nei suoi film successivi.  I bambini sono coprotagonisti  e alcuni di loro furono premiati al Golden Horse Film Festival, dove il film ebbe  la nomination anche come miglior film e migliore regia. Dallo stile in  parte improvvisato, girata quasi completamente in campagna, la storia d’amore “classica” lascia il posto alla cronaca quotidiana dell’infanzia, non senza  variazioni comiche che possono far pensare ai film di Ozu degli anni Trenta.   

“Tutti i miei ricordi di gioventù sono ricordi di campi, di alberi di cocco, di treni… Questi ricordi contano molto per me e sarebbe impossibile non ritrovarli nei miei film” (Hou Hsia-hsien)

 

Sabato 17 maggio dalle 1.30 alle 6.30

UOMINI, ANNI, VITA

Due film sul ricordare

a cura di  Roberto Turigliatto

DAL RITORNO

(Italia-Francia-Belgio, 2015, col., versione di 54’44”)

Sceneggiatura, Regia: Giovanni Cioni

Fotografia: Giovanni Cioni, Duccio Ricciardelli

Montaggio: Aline Hervé

Produzione: Citrullo International, Zeugma Films, Zivago Media, Cobra Films, RAI Cinema

Presentato in concorso al Cinéma du Réel, al Biograph Festival, e al Festival dei Popoli.

Nel 1943 Silvano Lippi è un ufficiale italiano in Grecia. Ma con la caduta di Mussolini e la fondazione della Repubblica di Salò, alla quale rifiuta di aderire, la sua vita cambia. Venne perseguitato come traditore dai fascisti e poi deportato a Mathausen dove fu addetto ai forni crematori.   Passati gli anni, dopo aver affidato i suoi ricordi solo alla parola scritta, Silvano decide di raccontare davanti alla macchina da presa quei 39 mesi passati all’inferno. Il film si rivolge a lui, dal ritorno. Un ritorno senza fine, un ritorno che non ha risposte. 

“Caro Silvano, quando ci siamo incontrati, una sera di dicembre, mi hai chiesto di accompagnarti. Volevi tornare laggiù, nel luogo di cui sei sopravvissuto. Io sono sempre laggiù, mi dicevi. In vita, solo, nell’incredulità dell’esistenza. Abbiamo iniziato il viaggio. Sei dovuto sopravvivere, di nuovo.” (Giovanni Cioni)

″C’è la testimonianza, e c’è l’uomo. Quel che ha suscitato il film è stato Silvano, l’uomo che era lì, davanti a me, e mi diceva che era sempre laggiù, che davanti ai suoi occhi sfilavano le scene di laggiù, che sentiva i rumori. Che le riviveva, senza fine.

La sua vita è rimasta laggiù, eppure ha vissuto, nella sua sopravvivenza, ed è questo vissuto, dopo, che volevo interrogare. Cosa vuol dire, sopravvivere, la vertigine della solitudine – quando tutti quelli che potevano ricordarsi di quello che ha vissuto, laggiù, sono scomparsi ?

Gli ho scritto una lettera – una lettera per accompagnare quello che doveva essere un ritorno sui luoghi della sua sopravvivenza. Dovevo quasi dimenticare quello che sapevo o credevo sapere, dalle mie letture, dai film visti, sui campi. Il film ha preso forma a partire da questa lettera.

Dal Ritorno non è un film sulla memoria, è un film su di noi, su un uomo – un uomo che sopravvive e che sta scomparendo, il suo racconto, i luoghi del suo racconto. I luoghi della sua vita oggi, la sua esistenza dopo, nel silenzio, nell’incredulità. Un film sul ricordare, un film sulla scomparsa dei testimoni possibili, è un film sulla solitudine e lo smarrimento di fronte alla parola del ricordo, dunque è un film su noi, noi che dobbiamo ricominciare daccapo, soli, senza testimoni, e riattraversare i luoghi e ricomporli con la storia raccontata, come se dovessimo ripartire da lì, dal fatto di esserci, misurare, toccare i luoghi, in un sopralluogo senza fine, dove questa storia atroce è successa e forse sta ancora succedendo″. (Giovanni Cioni).

“…Si tratta di un altro esempio di insostenibile ma necessario pezzo di “cinema orale”. E questa volta non possiamo utilizzare il nostro bagaglio iconografico e la nostra memoria. Chi racconta è più di un testimone di crimini commessi da altri. Questo film è davvero shockante perché racconta di una stagione all’infermo che è durata tutta la vita, e perché chi parla, viaggia e viene interrogato diventa una macchina da presa che fa carrellate e zoomate sull’invisibile”. (Roberto Silvestri)

IL RISOLUTO                         

(Italia-Francia, 2017, col., dur. 161’23”,v.o.italiano e inglese con sottotitoli)

Sceneggiatura, regia, fotografia, montaggio: Giovanni Donfrancesco
Produzione: Giovanni Donfrancesco, Estelle Fialon per Altara Film e Les Films du Poisson, con Rai Cinema e NDR ARTE (la Lucarne), con il sostegno del CNC.

Presentato alle Giornate degli Autori e al Festival di Rotterdam.

Il vecchio Piero, emigrato negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, vive da lungo tempo in una casa perduta in mezzo ai boschi di abeti del Vermont. Passa le giornate guardando la televisione insieme alla moglie Lee Aura sul sofà, cucinando, curando le piante dell’orto. Legge molto ma scrive anche, prende nota di tutto quello che colpisce la sua attenzione e – forse – di qualche ricordo. Di tanto in tanto, canta nel coro della locale chiesa presbiteriana. Dall’incontro con il cineasta, scaturisce il bisogno di raccontare il proprio passato, sin qui completamente taciuto, quando nel 1944 a meno di quattordici anni viene reclutato nei ranghi di un battaglione chiamato “I risoluti”, al servizio della Xa Mas, una delle più violente milizie fasciste. Lo sconvolgente passato, rivelato perlopiù nel sottosuolo, quasi in forma di una confessione, si alterna a pause, durante le quali si riemerge al presente, alla vita quotidiana che ancora sembra conservare un’eco forte di quei tempi lontani. E una rivelazione inedita e sconvolgente sul destino del tesoro di Mussolini, che lui stesso avrebbe contribuito a occultare… Un viaggio nei meandri della memoria che parla al nostro presente. 

“Mi sono imbattuto in Piero per caso, mentre giravo il film The Stone River, nel Vermont. Piero ha iniziato ad aprirsi e a raccontarmi la sua storia, in particolare il periodo della guerra. E non si è fermato più. Per un qualche misterioso motivo era arrivato il momento di riportare alla luce per la prima volta vicende che aveva tenuto per sé per tutta la vita e nulla sembrava più fermarlo. Neppure lo sguardo incredulo della moglie Lee Aura che, durante il pranzo, non si capacitava che non le avesse mai raccontato niente di tutto ciò. (…)   La storia di Piero è parte integrante della storia di tutti i fascismi, intesi in maniera plurale e ampia. È proprio la comprensione di ciò che mi ha convinto a lanciarmi nell’impresa di realizzare questo film, con l’intenzione di confrontarmi con la zona d’ombra di Piero, o meglio con la sua capacità di incarnare la zona d’ombra presente in tutti noi e che ancora persiste latente nella nostra società. Ascoltando il modo in cui descrive il suo reclutamento, il suo indottrinamento, la sua formazione da paramilitare, l’educazione alla violenza applicata su base sistematica, mi sono accorto improvvisamente della drammatica attualità della sua storia. E non avrei fatto questo film se non fossi più che certo della sua capacità di parlare direttamente al nostro presente. Ciò che più mi interessava raccontare, in fondo, era il vissuto personale di un “adolescente” di 87 anni alle prese con il suo difficile passato, non una realtà oggettiva. La miglior chiave di lettura della poetica del film la dà a mio avviso Piero stesso nel finale del film: “se non guardi aldilà di ciò che hai di fronte agli occhi, allora non vedrai nulla”. (Giovanni Donfrancesco)

“Prima di morire qualcuno racconta cose che mai avrebbe voluto svelare prima. Ma pochi cineasti come Donfrancesco riescono a convincerli.” (Roberto Silvestri)

 

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