La programmazione di Fuori Orario dall’8 al 14 giugno

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SCRIPT SUPERVISOR/SEGRETARIA EDIZIONE il corso online!

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La tribù del calcio, Hong Sangsoo e Lee Chang-dong e Gianni Amelio televisivo in occasione dell’evento speciale alla Mostra Internazonale del Nuovo Cinema di Pesaro. Da stanotte

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Corso online MONTAGGIO AVID, dal 19 giugno

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Domenica 8 giugno dalle 2.40 alle 6.00

Fuori Orario cose (mai) viste                                                 

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SCUOLA DI CINEMA SENTIERI SELVAGGI, scarica la Guida completa della Triennale 2025/2026

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di Ghezzi Baglivi Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

LA TRIBU’ DEL CALCIO (4)

fuori orario presenta 4 notti dedicate al calcio italiano, alla storia che ne ha fatto la nostra televisione negli anni, insieme ad una selezione  di documentari di recente produzione, incentrati spesso sulle vicende calcistiche e personali di protagonisti come di comprimari; in questo caso non mancano  racconti drammatici come invece altri decisamente piu’ positivi, che presentano anche esempi virtuosi di solidarietà,  oltre, naturalmente, ai ritratti dei grandi campioni, oppure fino  a spingersi alla testimonianza della nascita di vere e proprie leggende metropolitane. In ogni caso, tutta questa scelta di materiali conferma la giustezza dell’affermazione, quasi una banalità, di come realmente IL CALCIO sia lo specchio dell’Italia e viceversa, con tutto il suo carico di contraddizioni, problemi, opportunità…

A parte i piu’ recenti documentari e film che presentiamo nelle notti del 31 maggio e 1 e 8 giugno – CRAZY FOR FOOTBALL, ER GOL DE TURONE ERA BONO, 11 METRI, MI CHIAMO FRANCESCO TOTTI, SCUOLA CALCIO, ZEMANLANDIA, DUE O TRE COSE CHE SO DI LUI – nella enorme mole di materiali dell’archivio Rai, ci siamo concentrati su alcuni momenti temporali, quelli compresi tra gli anni ‘60 e la metà dei ‘90; dalla tv dell’alfabetizzazione, con ormai storiche trasmissioni come SPRINT, TV7,  e altri programmi speciali, dove si esaltano i nuovi e moderni eroi, ma anche si spiegano, alla ancora ridotta audience televisiva, addirittura le diverse metodologie di gioco, argomento da prima pagina nei diffusissimi quotidiani sportivi; oppure si sottolineano criticamente i problemi e le storture di un fenomeno che da sportivo si sta rapidamente trasformando in spettacolo ed affare. E poi abbiamo le grandi inchieste di maestri del giornalismo come Sergio Zavoli o di autori e registi come Raffaele Andreassi, dove nelle diverse puntate e capitoli si affrontano tutti gli aspetti del fenomeno calcio, anche i piu’ scabrosi.  Da segnalare poi due produzioni della sede Rai del Friuli Venezia Giulia, tutte e due di Fulvio Toffoli,  che grazie a fuori orario raggiungono la diffusione nazionale: ROCCO E I SUOI FIGLI, – 1999-  un ritratto del grande allenatore con una serie  eccezionale di interviste a corredo; e VENDRAME  L’ILLUSIONE DEL GOL, sulla vicenda umana e sportiva di un dimenticato del nostro calcio.

LA TRIBU’ DEL CALCIO  è il nostro titolo di queste notti, preso a prestito dal fondamentale lavoro di Desmond Morris, che inizio’ a trattare il calcio con lo strumento della sociologia , dell’etologia e dell’antropologia. LA TRIBU’ e non le tribu’, come chiamo’ il suo studio, perché, dal fenomeno che prese in esame delle tifoserie come microcosmo dell’aggressività, comunque sempre identificata anche precisi spazi territoriali, siamo passati ad una tribu’ planetaria, figlia della interconnessione satellitare  e dello streaming e quindi ad una aggressività di tipo  consequenziale. Certo, una data spartiacque per il calcio giocato, come per  quello narrato in tv, è quella del 29 maggio 1985, giorno della finale di  Coppa dei Campioni giocata allo stadio Heysel di Bruxelles tra la Juventus ed il Liverpool; ricordiamo questa giornata nella nostra prime notte, in collaborazione con la trasmissione Blob.

a cura di Paolo Luciani

nella notte

11 METRI

(Italia 2011, colore, 88′)

Regia: Francesco Del Grosso con Luca Di Bartolomei

Con: Luca Di Bartolomei, Franco Baresi, Odoacre Chierico, Bruno Conti, Curzio Maltese, Ugo Righetti, Sebino Nela, Roberto Pruzzo, Roberto Renga, Franco Tancredi, Mauro Tassotti, Antonello Venditti, Riccardo Viola

Questo emozionante film racconta la storia sportiva ed umana di Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma allenata da Liedholm, che vinse il campionato nel 1983 e perse poi la finale di Coppa Campioni con il Liverpool il 30 maggio del 1984. Di Bartolomei, Ago o Diba per i tifosi romanisti, con la sua storia rappresenta una delle facce tragiche del mestiere di calciatore; profondamente legato alla città di Roma ed al suo “popolo” ha incarnato per loro la dedizione ai colori sociali. Chiuso e taciturno di carattere, professionista esemplare, subito dopo la sconfitta in Coppa dei Campioni (con le inevitabili polemiche legate alla esecuzione dei calci di rigore, con cui la Roma perse…)  decide di lasciare la sua città e trasferirsi al Milan insieme al suo mentore Liedohlm  che lo trasformerà nel nuovo ruolo di centromediano metodista. L’arrivo alla presidenza del Milan di Silvio Berlusconi non provoca solo la sostituzione a campionato in corso dell’allenatore, ma anche la sua cessione nell’anno sportivo a seguire alla squadra del Cesena. Di li a poco, il passaggio alla Salernitana non certifica solo la parabola discendente dell’atleta, ma anche il cambiamento in atto nel calcio italiano, sempre piu’ utilizzato come veicolo di immagine e di affari; in questo tipo di calcio Di Bartolomei è un dinosauro… Problemi economici, progetti falliti, ma sopratutto la  depressione, che da latente si fa devastante, trascinano Ago  al finale che mai i suoi tifosi avrebbero immaginato: il 30 maggio del 1994, anniversario della sconfitta della “sua” Roma in Coppa, un colpo di pistola al cuore se lo porta via; errore nel pulire l’arma o gesto volontario? Il film racconta anche questa storia, con la testimonianza del figlio Luca e dei tanti, compagni di squadra e giornalisti, che ebbero la fortuna di incontrarlo

ER GOL DE TURONE ERA BONO

(Italia 2022, colore, 86′)

Regia: Francesco Miccichè e Lorenzo Rossi Espagnot

Con: Luca Beatrice, Paolo Bergamo, Maurizio Biscardi, Paolo Calabresi, Bruno Conti, Paulo Roberto Falcao, Salvatore Giglio, Alberto Mandolesi, Domenico Marocchino, Giorgio Martino, Gian Paolo Ormezzano, Michele Plastino, Cesare Prandelli, Roberto Pruzzo, Andrea Rivera, Giuliano Sancini, Enrico Vanzina, Ettore Viola, Maurizio Turone

(Il 10 maggio 1981 durante un Juventus – Roma, decisiva per lo scudetto, Maurizio “Ramon” Turone, difensore della Roma, negli ultimi minuti di gioco si sgancia dalle retrovie e si inserisce in area avversaria per mettere la la palla in rete con un meraviglioso colpo di testa. L’arbitro fischia il gol, ma poi vede il suo assistente con la bandiera alzata per un fuorigioco e l’annulla. In quel momento i sogni di Ramon e di tutta una  tifoseria si infrangono. La Roma perde quello scudetto e la ferita nel cuore dei tifosi inferta da quella decisione, ritenuta da tutti ingiusta, non si rimarginerà mai, facendo entrare quell’episodio nella leggenda.  Abbiamo dato voce  ai protagonisti di quell’evento dentro e fuori dal campo, per scoprire cosa è successo quel giorno e perché a distanza di quarant’anni ancora se ne parla”

(dal press book del film).

“Il film di Miccichè ed Espagnot, divertente, malinconico, sentimentale, è connesso ad un  calcio che non c’è piu’…. di fatto quel momento ha contribuito a creare il concetto di calcio moderno, fatto di polemiche, veleni, di una narrazione  opprimente ed esagerata. Quel giorno la Roma di Nils Liedohlm si confrontava con la Juventus di Trapattoni, con i bianconeri che venivano da un’annata senza vittorie, mentre la Roma cercava la consacrazione di un lavoro che l’aveva portata ad essere il simbolo di un nuovo modo di fare calcio…. l’arbitro Bergamo, su suggerimento del guardalinee Sancini, annulla per un fuorigioco che in quel momento strappa un grido di dolore ai giallorossi, ma non crea un clima di sospetto, complotto e veleni. Questo avverrà nei momenti immediatamente successivi, con i giornalisti che informano i calciatori, la voce rimbalza poi tra i tifosi, segue le strade che portano Roma. E da allora dire “il gol di Turone era bono” diventa un grido di battaglia”

(dalla presentazione del film alla Festa del Cinema di Roma).

“… Maurizio “Ramon” Turone non riesce a rivedere le immagini piu’ importanti della sua vita. Non lo fa da quarantuno anni, non l’ha mai fatto. Roberto Pruzzo diventa di fuoco se gli succede. . Enrico Vanzina perde un pezzo di cuore ogni volta che incappa in quell’azione. Paolo Calabresi sprofonda nella tristezza piu’ cupa. Domenico Marocchino invece dice che è andata come è andata. Paolo Rossi che era tutto regolare. Luca Beatrice gode ancora. ER GOL DE TURONE ERA BONO. ER GOL DI TURONE ERA BONO. ER GOL DE TURONE ERA BONO. Se lo ripeti tre volte davanti allo specchio e magari con indosso la maglia e la sciarpa della Roma, puoi risalire la spira di dolore e rammarico e rabbia che giu’ giu’ ti riporta a quel 10 maggio 1981.”

(dalla recensione di Mymovies)

CUORE GIALLOROSSO 

Riassemblaggio dalle puntate QUELLI DI TESTACCIO e  ASSI E BIDONI

(Italia 1983, colore, 50′)

Regia: Camillo Falivena

Altri due momenti importanti della storia della società giallorossa, raccontati nella monumentale inchiesta di  Falivena e Alsazio, rimasta un modello di ricostruzione storico/sportiva: nella prima si va dalla fondazione nel 1927 attraverso la fusione di tre società (Alba Audace, Fortitudo Pro Roma, Roman),  con la presidenza  di Italo Foschi, importante politico fascista, all’utilizzo dell’iconico Campo Testaccio. Con la terza si racconta la rometta degli anni ‘60, in cui era facile vedere all’opera giocatori come Manfredini ad illustri meteore.

 

Venerdì 13 giugno dalle 1.40 alle 6.00

PER QUANTO PICCOLA, NON C’È CHE BELLEZZA

Hong Sangsoo e la condizione umana (3)

a cura di Lorenzo Esposito

LA COLLINA DELLA LIBERTÀ       

(Jayuui Eondeok, 2014, col., dur., 64′, v.o. sott. it.)

Regia: Hong Sangsoo

Con: Ryo Kase, Moon So-ri, Seo Yuong-hwa, Kim Eui-sung, Youn Yuh-jung, Gi Ju-bong, Lee Min-woo, Jung Eun-chae

Presentato al 71esimo Festival del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti.

L’insegnante di lingua giapponese Mori arriva a Seoul per rintracciare Kwon, una donna sudcoreana di cui si è innamorato diversi anni fa. Mori arriva a Bukchon, un quartiere nel centro della città. Sperando di poterla rivedere, alloggia in una pensione vicino alla vecchia casa di Kwon e fa amicizia con l’anziana proprietaria, Gu-ok, e con il nipote Sang-won, squattrinato ma socievole. Mori inizia a frequentare un bar chiamato Jiyugaoka (“Collina della libertà”), dove scrive lettere a Kwon. Qui incontra Young-sun, la proprietaria del bar, e anche se Young-sun ha già un fidanzato, lei e Mori diventano amanti

“Mi interessano le sottili differenze nelle espressioni facciali, nei toni di voce, nei gesti, tra le diverse parti. Queste differenze hanno un ruolo molto importante nei film. Voglio che queste differenze lavorino efficacemente sul pubblico” (Hong Sangsoo).

BURNING                   

(Beoning, Corea del Sud, 2018, col., dur., 143′, v. o. sottotitoli italiani )

Regia: Lee Chang-dong

Con: Yoo Ah-in, Steven Yeun, Jeon Jong-seo

Tratto dai due racconti dallo stesso titolo, Barn Burning, di Haruki Murakami (dalla raccolta The Elephant Vanishes) e William Faulkner, Burning è il primo film di Lee Chang-dong dopo un’assenza di otto anni. Lee stesso lo definisce un film sul “mistero della giovinezza oggi”.

Giovane aspirante romanziere, Lee Jong-su fa lavori saltuari a Paju. Un giorno si imbatte in Shin Hae-mi, una vicina d’infanzia e compagna di classe. Jong-su inizialmente non si ricorda di lei, ma Shin Hae-mi gli dice che si è sottoposta a un intervento di chirurgia plastica. Jong-su allora si ricorda e quando lei gli propone di prendersi cura del suo gatto mentre sarà assente per un viaggio in Africa, Lee Jong-su accetta. Prima della partenza, Jong-su va a trovare Hae-mi nel suo appartamento, dove riceve istruzioni su come nutrire il gatto e i due ragazzi fanno l’amore. Jong-su nutre diligentemente il gatto, anche se non lo vede mai. Nelle ore in cui è solo nell’appartamento, Jong-su inizia anche a masturbarsi abitualmente. Un giorno Hae-mi chiama, dicendo che è rimasta bloccata all’aeroporto di Nairobi per tre giorni dopo un bombardamento nelle vicinanze. Quando Jong-su viene a prenderla, lei arriva con Ben, che ha incontrato e con cui ha legato durante la crisi. I tre vanno a cena fuori e Hae-mi piange e confessa di voler scomparire. Durante una serata alla fattoria di Jong-su, Ben confessa uno strano hobby: ogni due mesi, brucia una serra abbandonata. Jong-su dice a Ben che ama Hae-mi, la quale però sale tranquillamente nell’auto di Ben. Nei giorni seguenti, Jong-su riceve una chiamata da Hae-mi, che si interrompe dopo pochi secondi di rumori ambigui. Jong-su si preoccupa e per giorni non riesce più a contattarla. Jong-su comincia a indagare ed entra nell’appartamento di Hae-mi in modo da poter dar da mangiare al suo gatto ma dentro, oltre alla valigia rosa di Hae-mi, non ci sono segni di vita. Jong-su sospetta di Ben ma lui pure dice di non aver più avuto notizie di Hae-mi. I sospetti di Jong-su però aumentano dopo aver trovato degli oggetti di Hae-mi e un gatto in casa di Ben. Jong-su chiede di incontrare Ben in campagna, sostenendo di essere con Hae-mi. Jong-su pugnala Ben più volte, uccidendolo, poi cosparge di benzina l’auto e il corpo di Ben e dà fuoco a tutto, gettando anche i suoi vestiti intrisi di sangue. Inciampa nudo verso il suo camion e se ne va.

 

Sabato 14 giugno dalle 1.25 alle 7.00

L’INIZIO DEL GIOCO

Gli anni dell’apprendistato: i film televisivi di Gianni Amelio

in collaborazione con a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema (1) 

a cura di Roberto Turigliatto

Fuori Orario, 1983, in collaborazione con la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, dedica due notti a Gianni Amelio in occasione dell’evento speciale che gli viene dedicato dal Festival. Vengono presentati i 7 film realizzati dal regista per la RAI tra il 1970 e il 1983. Così Amelio parla di quegli anni:  “Tutto ciò che feci tra La fine del gioco e Colpire al cuore lo vedo come il mio apprendistato, la mia formazione universitaria o, se vuoi, il mio Centro Sperimentale, perché mentre giravo La fine del gioco pensai che dovevo fermarmi e riflettere su quale cinema volevo fare (…) Capii che si può imparare facendo, e quindi è giusto che abbia lavorato, sebbene ora possa dire che il tipo di lavoro che stavo facendo non mi avrebbe fatto intendere cosa volevo essere. Devo ammettere anche che quelli furono anni difficili, in cui assorbivo certi manierismi e sfortunatamente risentivo troppo di tutto ciò che c’era nell’aria intorno a me (…) Se devo dire quali sono i miei veri ideali, allora mi ritrovo con Leonardo in La fine del gioco, sono Vincenzo in La stella che non c’è e sono Rosetta in Il ladro di bambini.” (Gianni Amelio, da un’intervista a Antonio C. Vitti, 2009)

LA FINE DEL GIOCO

(Italia, 1970, b/n, 55’)

Regia: Gianni Amelio

Con: Luigi Valentino, Ugo Gregoretti

Realizzato per la RAI, Programmi sperimentali per la TV

“È uno dei film che mi sta più a cuore tra quelli che ho fatto”. Così Gianni Amelio del suo film d’esordio, un mediometraggio televisivo che anni dopo gli fornirà l’ispirazione per uno dei suoi capolavori, Il ladro di bambini. Qui il confronto è tra un regista televisivo (interpretato da Ugo Gregoretti), che conduce un’inchiesta sulle carceri minorili, e il dodicenne di un riformatorio scelto come protagonista. Durante un viaggio in treno, a camera spenta, il ragazzo si ribella e mette in discussione il lavoro del regista.

 “La fine del gioco è probabilmente il papà di Ladri di bambini. È un film in cui si mette in discussione, per esempio, anche la funzione della macchina da presa nei confronti della realtà (…) Il finale del film è un finale estremamente forte. Il ragazzo del film vede che il registratore è spento ed è spenta la macchina da presa, e si rifiuta di ri-recitare la sua parte (…) Il ladro di bambini finisce con i due bambini di spalle, e io non avrei fatto quel fin ale se non avessi fatto il finale di La fine del gioco, tranta secondi con il bambin o di spalle” (Gianni Amelio, da un’intervista di Goffredo Fofi, 1994)

IL PICCOLO ARCHIMEDE

(Italia, 1979, col., 83’)

Regia: Gianni Amelio

Con: Aldo Salvi, John Steiner, Laura Betti, Shirley Corrigan, Mark Morganti

Realizzato per la RAI, serie Novelle dall’Italia, presentato al Festival di San Sebastian

Realizzato nel 1979 e trasmesso per la prima volta il 7 marzo 1980 sul secondo canale nell’ambito del ciclo “Novelle dall’Italia”, il film Tv è un adattamento sceneggiato dallo stesso Amelio dell’omonimo racconto di Aldous Huxley, ambientata a Firenze negli anni ’30. Uno studioso inglese che soggiorna in Toscana, si accorge che Guido, il figlio di contadini analfabeti, occasionale compagno di giochi di suo figlio, ha un talento naturale per i numeri e per la musica. Un vero “genio” naturale. Ma i genitori lo “vendono” cedendo alle mire all’aristocratica padrona di casa, la ricca signora Betty, che lo esibisce nei salotti. Quando lo studioso rientra a Firenze scopre che Guido è morto “cadendo” da una finestra.

“Nel Piccolo Archimede uno scrittore usa la cultura come uno schermo nei confronti di un bambino che non sa amare in quanto tale. Non riesce ad avere un rapporto vero con suo figlio e se ne inventa un altro impossibile mediando questo rapporto attraverso la pittura, la musica, la matematica, (…) Nel Piccolo Archimede c’è quest’uomo che guardo anche con un po’ di pietà, quest’uomo che non riesce a liberarsi del filtro di una cultura un po’ ingombrante che non diventa vita “ (Gianni Amelio, 1981)

“Ho fatto tanti lavori per la televisione, compresi due film ai quali mi sento ancora legato con La fine del gioco e Il piccolo Archimede. Ma ho cominciato a sentirmi un regista molto più tardi, diciamo nel 1972, quando ho girato Colpire al cuore. Lo considero il mio primo film” (Gianni Amelio)

I VELIERI

(Italia 1983, col.63’)

Regia: Gianni Amelio

Con: Raphael Mendez De Azeredo, Monique Lejeune, Eva Pilz, José Quaglio

Realizzato per la RAI, serie Dieci racconti italiani, dieci registi

Jean, un ragazzino di dodici anni, vive nel lussuoso castello di famiglia come in una gabbia dorata: il padre è sempre assente e la madre è gravemente malata di nervi, la governante autoritaria. Anni prima il ragazzo era stato rapito e conserva di questa esperienza un ricordo traumatico ma nello stesso tempo quasi mitico, come un a sorta di avventura. Dell’immagine vissuta allora Jean conserva soprattutto la memoria dell’immagine di un modellino di veliero in bottiglia. Così, in base a una fotografia, raggiunge il luogo della sua detenzione, un faro abbandonato.

“Ho scelto il racconto di Anna Banti per le stesse ragioni per cui avevo scelto il racconto di Huxley (in Il piccolo Archimede): la possibilità di girarlo in tempi ristretti, a costi ridotti, data la scarsa concentrazione del soggetto. Con un paio di ragioni in più. La prima è relativa al tema: un ragazzino “prigioniero” di una famiglia, attore principale di un dramma. Come un ennesimo capitolo di una storia “a puntate” che venivo sviluppando. (…) Ho sempre avuto paura dell’autobiografia diretta, ma ho sempre cercato l’autobiografia indiretta, che è un tramite quasi indispensabile per radccontare.   (…) In I velieri compio un salto verso un ambiente borghese, che non conosco. E vedo un me stesso bambino a disagio, prigioniero, in conflitto con gli stessi oggetti. (…) I Velieri è anche una testimonianza del mio disagio personale come regista. Presenta un limite di accademismo come nessun mio altro film. Nel montaggio, nel taglio delle inquadrature, è un film di una precisione che sentivo come sicurezza e come limite già durante le riprese, dopo la tremenda disillusione che avevo subito con Colpire al cuore” (Gianni Amelio, da un’intervista di Gianni Volpi, 1995) 

LA CITTÀ DEL SOLE (VERSIONE RESTAURATA)

(Italia, 1973, col., 83′)

Regia: Gianni Amelio

Con: Giulio Brogi, Daniel Sherril, Umberto Spadaro

Realizzato per la RAI, Programmi sperimentali per la TV, Prresentato a Cannes alla “Quinzaine des Réalisateurs”

In Calabria, ai primi del Seicento. Con l’accusa di aver fomentato con le loro prediche alcuni tentativi di rivolta dei contadini, alcuni frati domenicani vengono imprigionati dalle autorità spagnole che dominano il Sud. Tra di loro anche Tommaso Campanella, incarcerato a Napoli per oltre vent’anni e sottoposto anche al giudizio dell’Inquisizione. In attesa del processo decide di fingere la pazzia per non finire sul rogo.  Intanto la sua parola fa proseliti, grazie alla voce di un anonimo monaco (Umberto Spadaro) che spiega l’utopia di Campanella a un giovane discepolo, forse tentato di passare all’azione.

“Pensavo sempre alla Calabria: Tommaso Campanella, calabrese anche lui, tentò di teorizzare agli inizi del ‘600, partendo da una realtà conflittuale, una società comunitaria dove ingiustizie e squilibri scomparissero per sempre. Era un mio sogno giovanile raccontare la sua storia. (…) Per la verità il personaggio di Campanella non c’è, l’Inquisizione è rappresentata come un fatto teatrale. Il film è più il racconto della riflessione del personaggio e della sua sconfitta, che la storia dell’organizzazione della rivolta. Ed è anche un tentativo di identificazione, di contrapposizione tra me stesso, come regista, impegnato a a raccontare una storia vera, e Tommaso Campanella che, riflettendo sulla sua vicenda, cerca di capire quello che è successo. Campanella e il suo giovane interlocutore sono due personaggi che potrebbero  essere anche uno e il suo doppio: la filosofia e la storia, l’utopia e la realtà (Gianni Amelio, da un’intervista di Alberto Cattini e Gianni Aiello, 2009)

“È un film costruito su delle linee – orizzontali e verticali come il persorso di un carrello o di un dolly – che non segnano mai il tragitto di un personaggio ma il distacco della camera alla ricerca din vita propria. Un film in cui la macchina presa sembra un idolo implacabile e misterioso, pronto a punire chi trasgredisce le sue leggi. Un film di un regista giocane che di quest’idolo non sa ancora liberarsi” (Gianni Amelio, dal catalogo del Filmstudio, 1975)

La città del sole, in realtà, è un film estetizzante su un rapporto che vorrebbe essere erotico, senza riuscirci. Mentre si parla della Repubblica alla Platone o alla Tommaso Moro, in realtà ci sono un ragazzo e un adulto che si guardano, il ragazzo con una vitalità e l’altro con malinconia. Addiritttura potrebeb ricordare Aschenbach e Tadzio. Se hai la forza di soprassedere ai dolly, di escludere i carrelli, di non sentire i dialoghi, ma di fermarti sugli sguardi, dove io qualche volta tradisco la mia verità, allora vedi che c’è la grande sconfitta di un vecchio che guarda un ragazzo vitale e dice: non posso più essere come lui, e non vorrei che lui diventasse come me, ma purtroppo succederà: Da qui nasce la malinconia” (Gianni Amelio, da un’intervista di Emanuela Martini, 1999)


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