La programmazione su Fuori Orario dal 14 al 20 maggio

Tra i film delle tre serate ci sono Bellissima di Visconti, Agostino d’Ippona di Rossellini, La voce di Rondi, Jeannette di Dumont e il Francesco d’Assisi televisivo di Cavani

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Domenica 14 maggio dalle 2.30 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta 

SULLA SOGLIA DEL SOGNO

a cura di

Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

INTERNO GIORNO

(Italia, 2021, b/n e col., dur., 56′)

Di: Marco Santarelli

Marco Santarelli, regista di Lettera al Presidente, Dustur, Scuola media e altri documentari presentati e premiati in Italia e in Europa, crea un viaggio tra provini e saggi di regia di aspiranti attori e registi che hanno provato ad entrare (spesso ci sono riusciti e alcuni hanno avuto molto successo) nella scuola di cinema più antica d’Europa, il Centro Sperimentale di Cinematografia.

Attraverso i girati dei provini della Scuola Nazionale di Cinema, conservati presso la Cineteca Nazionale, Santarelli lascia emergere tutta l’eccitazione e il desiderio delle generazioni che tra il 1948 e 1968 hanno sognato di “fare il cinema”.

BELLISSIMA                                            

(Italia, 1951, b/n, dur.,111’)

Regia: Luchino Visconti

Con: Anna Magnani, Walter Chiari, Gastone Renzelli, Tina Apicella, Tecla Scarano

Quando il regista Alessandro Blasetti cerca una bambina per un suo film, si precipitano al concorso una moltitudine di mamme e bambine tra cui Maddalena (Anna Magnani) e la figlia di otto anni.

Per preparare la piccola al casting, la madre, accecata dall’illusione del successo della figlia, sacrifica economicamente la famiglia e farà i conti con i raggiri e gli abusi del mondo dello spettacolo…

Bellissima è un film disperante e grottesco sul falso mito del cinema, sull’assoluta inconsistenza morale ed ideale del mondo del cinema, un film feroce sulla “filosofia” del neorealismo che viene ribaltata criticamente: qui la rappresentazione del popolo è   realizzata con l’occhio impietoso di chi sa che i sogni sono destinati ad infrangersi di fronte alla ferocia della realtà. Illusione e disincanto   che saranno i perni del radicale mutamento antropologico dell’Italia a partire dagli anni del cosiddetto boom economico fino ai giorni nostri.

Venerdì 19 maggio dalle 1.40 alle 6.00

VOCAZIONI. IL SORRISO E LA SPADA

a cura di Simona Fina

LA VOCE

(Italia/Jugoslavia, 1983, col., dur., 116’)

Regia:  Brunello Rondi

Con: Liliana Tari; Marisa Belli; Bekim Fehmiu; Margaret Mazzantini; Georgi Todorovski; Rossano Brazzi; Antoaneta Kovacevic; Maria Isaja; Angelina Ivanovska; Predrag Dislienkovic; Agnes Noksici

Mandata dalla madre Drana ad accudire la zia malata di tisi, la diciassettenne Gongia rievoca episodi della sua infanzia e adolescenza in una benestante famiglia albanese: la figura e gli insegnamenti del padre Nicolay, la sua morte prematura, le opere di carità nei confronti degli indigenti e dei profughi, l’amore per la musica e il canto condiviso con la sorella Oge. Dopo la morte della zia, anche Gongia si ammala di tisi: stabilitasi in un convento sui monti, viene a diretto contatto con la vita religiosa, conosce un pio missionario semicieco tornato dall’India ed è testimone delle violenze dei bulgari sui macedoni. Finalmente guarita, Gongia è indecisa tra il ritorno alla vita e il bisogno sempre più forte di fare del bene al prossimo. Dopo aver assistito una partoriente musulmana, comunica alla madre la sua scelta: si farà suora.

« (…) La Teresa bambina non ha visioni, né viene investita da richiami eterei; non dispone di un telefono privilegiato col Padreterno. Ma cresce, spiritualmente, tra gli orrori, le stragi, le guerre. Il film visto ieri sera trova sintesi in questa frase: “Cristo si fa strada in lei con orme di sangue vero”, il che significa anche in termini poetici, “verbo” di una Chiesa nuova, rigenerata, col segno di un Cristianesimo epico, che rafforza le origini della Croce immergendola nei cruenti episodi di oggi.

Così la regia ha mosso Gongia, che significa corolla sbocciata, in un incastro di ricordi atroci, eppure consolati da impalpabili visioni radianti di luce, con sfondi di paesaggio nevoso e quel lago di Okhrid, ai confini con l’Albania, che aveva spesso la suggestione di un estremo, invalicabile orizzonte. Ne è nato un poema per immagini, o cantico per sequenze, che ha consentito allo stile più congeniale a Rondi, d’impronta lirica, di modularsi in libertà, e più volte con attendibile ispirazione, allontanando il rischio dell’aneddoto parrocchiale e mantenendo una tensione mistica. Liliana Tari ha interpretato la giovane Madre Teresa, esprimendosi per sottrazione, con una pressoché assoluta modestia gestuale, fuggendo i tranelli dell’enfasi. Ottimo movimento d’attori, attorno alla macchina da presa spesso immobile, attonita come uno specchiante occhio d’anima. Una citazione per Zalar, che è forse il massimo operatore di luci slavo». (Alberto Bevilacqua, “Test” e testamenti, Corriere della sera, 3 aprile 1983)

JEANNETTE                

(Jeannette: L’enfance de Jeanne d’Arc, Francia, 2017, col., dur., 110, v.o. sott., it.)

Regia: Bruno Dumont

Con: Lise Leplat Prudhomme, Jeanne Voisin, Lucile Gauthier, Victoria Lefevbre

Dumont racconta l’inquieta infanzia di Giovanna d’Arco ispirandosi al libro di Charles Péguy, Mystère de la charité de Jeanne d’Arc (1910), ma aggiornandolo al presente, creando un musical pop-rock-metal, con le composizioni di Igorr e le coreografie di Philippe Decouflé. Il regista francese affronta una delle figure principali della mitologia francese, nonché un mito cinematografico amato da molti autori: da Méliès e DeMille, da Dreyer e Rossellini, passando per Bresson, fino a Rivette, ma Dumont si sofferma sulla fase iniziale della sua vocazione. In una natura immutabile e bucolica siamo chiamati ad immaginare l’anno 1425 con Jeannette che è ancora una semplice pastorella. Già all’età di 8 anni sente sulle sue fragili spalle il peso della dominazione degli inglesi in terra di Francia: siamo nel pieno della Guerra dei cent’anni. E osa rivolgere la parola direttamente a Dio per chiedergli di dare ai suoi connazionali il coraggio della resistenza e un condottiero capace di liberarli. Ma quel condottiero sarà proprio lei, per investitura dell’arcangelo Michele e delle sante Margherita d’Antiochia e Caterina d’Alessandria.

“Giovanna è la figura principale della mitologia francese, perché nessuna donna ha mai amato così tanto la Francia e la Francia non è mai stata così tanto amata. Tutti i francesi – realisti, populisti, nazionalisti, socialisti, agnostici, devoti – trovano in lei ciò che stanno cercando, perché riunisce la totalità degli ideali e delle sensibilità francesi, racchiudendo in un’unica persona tutta questa diversità e contraddizione. (…) I miti, per definizione sono atemporali, contengono qualcosa di permanente. Giovanna d’Arco è un mito e come tale andava rivitalizzato. Il mio modo di renderlo contemporaneo è stato il musical, trovo che la musica elettronica sia un equivalente dell’estasi spirituale. Non volevo fare un film intellettuale, didattico, ma volendo parlare della grazia e della conversione, la musica poteva aiutarmi. Giovanna è una donna illuminata e così volevo mostrarla. (…) Il film parla di come si diventa Giovanna d’Arco. C’è una bambina normale ma non del tutto, qui il profano si mescola al sacro perché il sacro nasce dal profano. Filmi qualcosa di ordinario e improvvisamente diventa straordinario. È la storia del cinema, specie di quello italiano, di Pasolini o Rossellini, che filmavano la vita di tutti i giorni e mostravano come fosse intrisa del sacro”. (Bruno Dumont)

Sabato 20 maggio dalle 1.40 alle 7.00

CONVERSIONI. L’AZIONE E IL PENSIERO

a cura di Simona Fina

TV D’AUTORE – FRANCESCO D’ASSISI     versione restaurata

(Italia, 1966, b/n, dur., 129′)

Regia: Liliana Cavani

Con: Lou Castel, Giancarlo Sbragia, Maria Grazia Marescalchi; Mino Bellei; Marcello Formica; Roberto Di Massimo; Giampiero Frondini; Gerig Domain; Gianni Turillazzi; Marco Bellocchio; Kenneth Belton; Riccardo Bernardini; Giuseppe Campodifiori; Riccardo Cucciolla; Ludmila Lvova

La vita di San Francesco d’Assisi, con uno sguardo agli aspetti meno tradizionali e più rivoluzionari della sua figura, la sua opposizione al potere e al denaro, insieme alla dirompente carica politica del suo operato. È il primo lungometraggio di Liliana Cavani, prodotto dalla Rai e trasmesso in due puntate il 6 e l’8 maggio 1966. Il film, interpretato da Lou Castel (protagonista de I pugni in tasca, di Bellocchio), suscitò alla sua uscita reazioni contrastanti. Considerato “eretico, blasfemo e offensivo per la fede degli italiani”, tanto da subire un’interpellanza parlamentare del MSI, soprattutto per il modo ‘originale’ di rappresentare il santo. La Cavani propone la sua lettura laica fin dal titolo, omette al suo Francesco l’attributo di santo, è il segno di una scelta, quella di ritrarre l’uomo Francesco. Il santo dalla Cavani è privo degli aspetti tramandati dalla tradizione agiografica, è un giovane pieno di inquietudini che cerca la sua strada, dal mestiere delle armi al commercio, finché un giorno, nella Chiesa di San Damiano, arriva alla conversione, folgorato dal Vangelo. Francesco segue l’invito di Cristo: “lascia tutto e seguimi”. Egli rinuncia, contravvenendo alla volontà del padre, a vivere in un mondo agiato, all’integrazione in una società borghese e si converte a una vita evangelica, incontra il Cristo nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. La dimensione sociale del film è forse ciò che ha scandalizzato maggiormente la sensibilità dei denigratori dell’epoca. Girato con uno stile asciutto, essenziale, resta ancora oggi il film più bello che la regista ha dedicato a San Francesco.

“Nel 1966 Angelo Guglielmi, allora dirigente Rai, doveva produrre una celebrazione dedicata a Francesco e me ne parlò ma io gli dissi che non ero interessata a lavorare in studio e neppure la figura del santo mi interessava particolarmente. Volli però leggere la biografia scritta da Paul Sabatier, per me la migliore, un vero romanzo di formazione. Rimasi fulminata dalla sua modernità e proposi di farne un film: budget trenta milioni, quello destinato al programma televisivo. Con quel lavoro fui invitata a Venezia, quell’anno c’era in concorso La prise de pouvoir par Louis XIV di Roberto Rossellini che vinse il Leone d’oro. Ci fecero tante interviste insieme, il maestro e la debuttante, e lui, che aveva già girato un film su Francesco, mi raccontò vari aneddoti. La Rai, però, non voleva trasmettere il mio film, che passò solo grazie a monsignor Angelicchio, direttore del Centro Cattolico Cinematografico, che aveva sdoganato Il vangelo secondo Matteo di Pasolini. Io fui bollata come cripto-comunista e il Movimento Sociale fece un’interpellanza perché il patrono d’Italia non poteva avere la faccia di Lou Castel, ragazzo straordinario: lo ricordavano tutti come il ribelle de I pugni in tasca di Marco Bellocchio”. (Liliana Cavani)

AGOSTINO D’IPPONA

(Italia, 1972, col., dur., 115’)

Regia: Roberto Rossellini

Con: Virgilio Gazzolo, Giuseppe Alotta, Dary Berkani, Fabio Carriba, Bruno Cattaneo, Leonardo Fioravanti, Livio Galassi, Giuseppe Mannajuolo, Cesare Barbetti

La traccia del film narra gli ultimi trent’anni nella vita di Agostino (354-430) dalla nomina a vescovo di Ippona (nell’attuale Algeria) alla vittoria sul tribuno Marcellino nella disputa teologica con i donatisti scismatici. Sullo sfondo si sviluppa il declino dell’impero romano (con Roma messa a sacco nel 410 dai visigoti di Alarico) di cui Agostino è testimone, ma di cui annuncia il superamento.

Filosofo, vescovo, teologo, santo, ma soprattutto profondo conoscitore dei moti d’animo dell’uomo, Agostino d’Ippona appare qui nel suo ritratto più acuto e geniale. Il costante riferimento alla realtà che caratterizza l’opera di Roberto Rossellini è presente anche in questo film pensato per la televisione ma diretto con la stessa magnificenza dedicata al grande schermo.

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