La programmazione su Fuori Orario dall’8 al 14 agosto

Boris Karloff e Bela Lugosi tra i protagonisti delle notti a Fuori Orario. Ritorna il ciclo Polvere nel vento – Maestri d’Oriente con Un fiume chiamato Titas e Still Life

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CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

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Domenica 8 agosto dalle 1.05 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Fumarola Giorgini Luciani Melani Turigliatto

presenta

TUTTI I COLORI DEL BUIO 2

BELA/ BORIS: IL CORPO RIGENERATO DEL CINEMA 

a cura di Paolo Luciani

Una proposta nella migliore tradizione cineclubbistica dei tempi che furono – non solo per la sua collocazione da “brividi estivi” –  quando l’attenzione al cinema di genere e alle sue declinazioni più estreme (basso budget, serializzazione, diffusione nei circuiti periferici e televisivi) unita alla disponibilità di titoli che il precipitare nel gorgo del pubblico dominio rendeva finalmente accessibili, portò ad una ri/nascita di interesse nei confronti di momenti e personalità del cinema fantastico che mai erano stati considerati, men che meno come meritevoli di approfondimento, se non a livello di passione individuale, spesso nascosta o non esplicitata. Nel caso degli appuntamenti che Fuori Orario propone, Bela Lugosi e Boris Karloff rappresentano la quintessenza del cinema come “morte al lavoro”; il loro stesso corpo/volto accompagna la storia del cinema   fantastico e del cinema stesso, con una  presenza importante già negli anni del muto, fino alla stagione classica dei capolavori horror giù giù alla decadenza umiliante e putrefatta di un cinema, di un genere, di una biografia  che non riescono a sopravvivere a loro stessi. Se solo  in parte, nelle  storie personali Lugosi e Karloff  sono accomunati da tutti quegli elementi avventurosi che sono propri di personalità forti che abbiano attraversato gli sconvolgimenti storici, sociali, culturali determinati dal  passaggio da un secolo all’altro, è invece proprio  nel segno che tutti e due hanno inciso nell’immaginario cinematografico e non, che le loro due vicende umane, di più i loro corpi cinematografici, quasi coincidono. E questo vale  sia per la ininterrotta   riscoperta del cinema che loro rappresentano, alto o basso che sia, comunque di nuovo punto di riferimento di moderni autori del fantastico, sia  nella  trasformazione in  icone pop “senza tempo e mai morti” (appunto), cui assistiamo da anni. Il cinema scomparso che rappresentano,  in realtà sembra   rigenerarsi nella capacità unica dei loro corpi cinematografici di essere ciclicamente detonatori di nuovo immaginario, fecondo od inquietante che sia.

A MEZZANOTTE CORRE IL TERRORE                     

(Bowery at midnight, Usa, 1942, b/n, dur., 61’)

Regia: Wallace Fox

Con: Bela Lugosi, John Archer, Vince Bannet, Tom Neal, Anna Hope

Delirante film in cui Lugosi si sdoppia in due ruoli, il professor Brenner, psicologo e Karl Wagner, animatore notturno di una mensa per poveri, in realtà copertura per attività criminali. Ma non basta, perché un medico che fa parte della banda conduce degli esperimenti in grado di ridare la vita ai cadaveri degli uccisi dal malvagio Brenner/Wagner…

LA JENA – L’UOMO DI MEZZANOTTE                      

(The body snatcher, Usa, 1945, b/n, dur., 75’)

Regia: Robert Wise

Con: Boris Karloff, Bela Lugosi, Henry Daniell, Mary Gordon, Edith Atwater, Rita Corday, Donald Fettes

Basato sul racconto di Stevenson “Il trafugatore di salme”, che a sua volta si rifà a reali fatti di cronaca (gli efferati delitti compiuti da due assassini seriali), il film è prodotto da Val Lewton (che sotto pseudonimo firma anche la sceneggiatura), diretto da Robert Wise e segna anche l’ottava ed ultima collaborazione tra Lugosi e Karloff. LA JENA, dopo i grandi classici Universal degli anni ’30, rimodula  alcuni dei canoni tipici del cinema horror, declinando ancora una volta l’eterno conflitto tra i limiti della scienza e della ricerca con quelli della morale e dell’umanità. Le figure incarnate da Lugosi e Karloff restano indimenticabili, al di là delle considerazioni e valutazioni che oggi può suggerirci la conoscenza delle tribolate vicende produttive del film. Rieditato in Italia nei primi anni ’70, distribuito nel circuito d’essai e dei club cinema, il film contribuì a riaccendere anche nel nostro paese una attenzione nuova nei confronti del cinema fantastico.

I TRE VOLTI DELLA PAURA                           

(Black Sabbath, Italia, 1963, col., dur., 88’)

Regia: Mario Bava /John Old

Con: per l’episodio Il telefono: Lydia Alfonsi, Michele Mercier, Milo Quesada; per l’episodio I Wurdalak Boris Karloff, Mark Damon, Susy Andersen, Glauco Onorato; per l’episodio La goccia d’acqua: Milly Monti, Jacqueline Pierreux, Herriet Medin, Gustavo De Nardo

La potenza evocativa di questo gioiello della stagione dell’horror italiano è talmente forte da essere, tra le altre cose, all’origine del nome del gruppo rock heavy metal Black Sabbath ( titolo scelto per la distribuzione  americana – per altro molto diversa rispetto a quella italiana – come dichiarato direttamente dai componenti del gruppo inglese).  Naturalmente abbiamo poi le citazioni, le dichiarazioni e gli omaggi dei molti registi che nel corso degli anni hanno voluto misurarsi con il genere e che hanno voluto riconoscere a Bava,  a questo suo lavoro in particolare, una fonte importante di ispirazione.

 

Venerdì 13 agosto dalle 00.45 alle 6.00

TUTTI I COLORI DEL BUIO 2

BELA/ BORIS: IL CORPO RIGENERATO DEL CINEMA

a cura di Paolo Luciani

L’UOMO SCIMMIA

(The Apeman, Usa,  1943, b/n, dur., 63′)

Regia: William Beaudine

Con: Bela Lugosi, Lousie Currie, Wallace Ford, Henry Hall, Minerva Urecal

Ennesima variazione della vicenda di uno scienziato che chiede troppo alle sue conoscenze ed alla voglia di sperimentazione. Qui la trasformazione in scimmiesco primate, con le conseguenti difficoltà per il ritorno allo stato umano iniziale, è tratta da un racconto di Karl Brown, uno dei collaboratori del Griffith maturo. Il regista Beaudine era soprannominato “un colpo solo”, per la sua innata capacità di rendere utilizzabile la prima ed unica ripresa… e non è detto che fosse un complimento.

L’ALTRO ADAMO

(Italia, 2014, col., dur., 83’)

Regia: Pasquale Squitieri

Con: Lino Capolicchio, Marianna Jensen, Ottavia Fusco, Fabiano D’Agostino, Mauro Giacomelli, Antonio Mastellone

In un futuro lontano Adamo, il protagonista, ha deciso di vivere isolato da tutto e da tutti, unica possibilità, per lui, di portare avanti la sua esistenza in un mondo in preda alla sovrappopolazione ed alle vie di fuga per la sopravvivenza le più crudeli possibile. Un giorno chiede però alla evoluta intelligenza artificiale del suo computer – battezzata Ulisse e significativamente materializzata in una mano umana – di realizzare un suo doppio, capace, questo si, di vivere emozioni vere, antiche e non del tutto dimenticate passioni, di conoscere e praticare ideali, di farsi coinvolgere in speranze ed  amori…Il suo doppio comincia a vivere…l’epilogo sarà tragico.

Ultimo lavoro di Squitieri, portato a termine in condizione di salute già precarie, come esempio di produzione indipendente rappresenta il suo grande ottimismo della volontà, come riflessione sul futuro è il concentrato del suo pessimismo della ragione, una costante della sua poetica.

CONDANNATO A MORTE

(Doomed to die, Usa, 1940, b/n, dur.,  63′)

Regia: William Nigh

Con: Boris Karloff, Marjorie Reynolds, Grant Withers, Harry Brandon, Richard Loo, Kenneth Harlan

Il naufragio di un piroscafo, con la morte di centinaia di passeggeri, è collegato alla morte del suo armatore e alla conseguente accusa di omicidio che coinvolge suo figlio.

Mr. Wong/Boris Karloff, ineffabile detective di origine cinese, viene chiamato da una giornalista d’assalto, amica della fidanzata del sospettato, a risolvere il caso…

 

Sabato 14 agosto dalle 00.35 alle 6.00

Fuori Orario cose (mai) viste

POLVERE NEL VENTO – MAESTRI D’ORIENTE

a cura di  Roberto Turigliatto

UN FIUME CHIAMATO TITAS (A RIVER CALLED TITAS)                

(Titas Ekti Nadir Naam, India/Bangladesh, 1973, b/n., dur., 153’, v.o. sott.italiani.)

Regia: Ritwik Ghatak

Con: Kabori Sarwar, Rosy Samad, Rani Sarkar, Sha kul Islam, Prabir Mitra

La saga poetica e politica del grande regista bengalese Ritwik Ghatak dedicata alle comunità di pescatori lungo il fiume Titas. Film di potente bellezza e di straziante malinconia.  Opera recentemente restaurata dal laboratorio L’Immagine Ritrovata grazie al World Cinema Project della Film Foundation di Martin Scorsese 

Tratto dal romanzo epico dall’omonimo titolo dello scrittore bengalese di Advaita Barman, il film racconta la povertà e le condizioni di vita durissime delle famiglie di pescatori disseminate nei villaggi che costeggiavano le rive del fiume Titas, prima della ripartizione del Bengala in Occidentale e Orientale. Le donne, al pari del fiume Titas, sono protagoniste. Basanti (Rosy Samad) dal carattere generoso e combattivo unisce in sé le tradizioni di un mondo che sta scomparendo a una volontà ostinata e moderna di ribellarsi a una società ingiusta. L’attrice Kabori Sarwar, incarnazione vivente della dea Rajar Jhi, manifestazione dell’amore supremo per Krishna, rappresenta, insieme allo sfortunato marito che diviene pazzo per la sua perdita, la summa della religione induista. Dalla loro unione nascerà un figlio che presto orfano, passerà di casa in casa, di famiglia in famiglia. La luce che riverbera dall’acqua del fiume, dalla pioggia, dai volti bagnati di lacrime si scioglie nel respiro dei corpi, vibra negli strumenti musicali tradizionali, componendo un’elegia perfetta. (dal catalogo di “Cinema ritrovato”)

“Il film è opera di puro genio. Elegia appassionata di una cultura morente, mi commosse profondamente e continua ancora oggi a ossessionarmi. Ispirato al celebre romanzo bengalese di Advaita Barman e adattato dallo stesso Ghatak, Un fiume chiamato Titas racconta la dura e formidabile storia di un fiume e di una cultura agonizzanti” (Deepa Mehta).

STILL LIFE                               

(Id., Cina, 2006, col., dur., 109’ v.o. sott. italiano)

Regia: Jia Zhangke

Con: Zhao Tao, Han Sanming, Li Zhubing, Wang Hongwei, Ma Lizhen, Zhou Lin, Luo Mingwang 

Presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e premiato con il Leone d’oro per il miglior film. Il film vede inoltre come direttore della fotografia Yu Li-wai, collaboratore di lunga data di Jia Zhangke e a sua volta regista di alcuni importanti film. Still Life è girato nel villaggio di Fengjie sulla riva sinistra del fiume Yangtze in una zona in quegli anni sottoposta e un massiccio progetto di trasformazione edilizia e ambientale. 

Han Sanming arriva a Fengjie alla ricerca di sua moglie, che lo ha abbandonato sedici anni prima portandosi via la figlia appena nata. Scopre che le due non vivono più lì ma nessuno sa di preciso dove si siano trasferite. Il fratello della donna gli dice che forse questa ripasserà in futuro e così l’uomo si fa assumere come demolitore e si stabilisce in città.

Nello stesso luogo arriva Shen Hong, in cerca del proprio marito che se ne è andato due anni prima e che da allora non si è quasi più fatto vivo. Un conoscente del marito le dà una mano a rintracciarlo e, quando i due finalmente s’incontrano, la donna reagisce con estrema freddezza e se ne va.

Nel frattempo Han Sanming viene a sapere che la moglie è tornata. I due s’incontrano ma la figlia non c’è, lavora in una città più a sud. La donna invece lavora su una barca, facendo una vita difficile. Han Sanming vorrebbe portarla via con lui ma per poterlo fare deve prima pagare i debiti. Visto che è una grande somma decide di tornare al suo villaggio d’origine a fare il minatore, dove riceve una paga molto maggiore di quella da demolitore ma mette molto di più a rischio la vita. I suoi colleghi, benchè avvertiti del pericolo, decidono di seguirlo.

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