Jean-Pierre e Luc Dardenne: La ragazza senza nome “ci chiede di testimoniare per lei”

I Dardenne ci parlano del loro ultimo film La ragazza senza nome. E nelle loro parole si avverte tutta quella profonda e passionale etica del filmare che ancora li anima. L’incontro di oggi a Roma

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È sempre un piacere sentire parlare Jean-Pierre e Luc Dardenne. Perché al di là delle situazioni contingenti, al di là dei concetti espressi e al di là del film da presentare (questa volta, ovviamente, La ragazza senza nome proiettato in concorso nello scorso Festival di Cannes), si sente in ogni parola e si avverte in ogni loro gesto la profonda passione per l’atto del filmare che ancora li anima. Una tensione etica incrollabile che resiste sin dai tempi de La Promesse. E allora anche “in questo film, prima del set, abbiamo seguito il metodo di sempre. Che parte dall’incontro preliminare con gli attori per provare non tanto le singole scene quanto l’equilibrio tra le stesse” dice Luc. Ed è stato proprio un problema di equilibrio che li ha costretti a tornare in sala di montaggio dopo Cannes, per ritoccare il film e distribuirlo con sette minuti in meno: “si, è vero, è successo dopo Cannes. Abbiamo sentito le reazioni contrastanti dei critici, abbiamo anche parlato con qualcuno di essi, ma in realtà ci hanno solo confermato i piccoli dubbi sul film che noi stessi nutrivamo. Diciamo che c’era un problema di bilanciamento tra le due anime del film: l’intimità della protagonista, il suo senso di colpa, il suo personale percorso di assunzione di responsabilità e poi la parte più cronachistica legata all’indagine e alla ricerca dell’identità della ragazza scomparsa attraverso i vari incontri. Abbiamo dovuto ricreare un equilibrio non rinunciando a nessuna sequenza ma solo accorciandone qualcuna per creare un ritmo che ci soddisfasse di più. Ci siamo chiesti il perché di questa situazione e forse abbiamo trovato anche una risposta: di solito tra la fase del set e la fase del montaggio ci prendiamo sempre un po’ di pausa. Una pausa strategica che ci allontani dal film e che ci faccia poi entrare in sala montaggio con maggior oggettività sul materiale girato. Questa volta, invece, siamo stati costretti a passare quasi subito alla fase di montaggio e forse abbiamo risentito di questo mutamento di procedura. Quest’ultimo è il giusto montaggio per questo film.

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cannes-2016-la-fille-inconnue-quete-enquete-et-redemption-dardennem336740La ragazza senza nome (come il precedente Due giorni, una notte) ha per protagonista assoluta una donna (qui Adéle Haenel) e questo è stato anche il punto di partenza del film.Questa volta non ci siamo ispirati a fatti realmente accaduti- dice Jean-Pierre – ma l’unica cosa sicura all’inizio del processo di scrittura era che il nostro medico doveva essere una donna. In primis perché amiamo lavorare con le brave attrici e poi perché pensiamo che le donne in questo momento storico sembrano avere più il polso di molte situazioni che ci succedono.” Questo è un film dominato da una ragazza scomparsa, ormai silenziosa, che non può più testimoniare ma che “ci chiede di farlo per lei”, come dice in una bellissima battuta del film Adéle Haenel: volevamo far ruotare tutto il film intorno al silenzio e all’assenza. Di questa ragazza morta non esiste nemmeno un nome, non esiste traccia passata, esiste solo un brevissimo filmato. E allora la foto che ossessivamente Jenny porta con sé è un’immagine che chiede di essere identificata. Lo sforzo è proprio quello di condere un nome a quella persona per restituirle identità. Ecco perché il vuoto creato dalla ragazza era il concetto chiave intorno a cui far ruotare il film e speriamo che gli spettatori sentano la stessa esigenza di Jenny: assumersi le responsabilità personali e non delegare ogni questione a un generico è colpa di tutti. Ed è ancora per questo che il silenzio ci serviva: diciamo che il silenzio è la colonna sonora del film. Se in molti altri film la musica accompagna le emozioni dei personaggi qui è il silenzio che accompagna le emozioni della nostra protaginista Jenny.”

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