"La schivata", di Abdellatif Kechiche

La faccia edulcorata di Kassovitz e lo sguardo aderente dei Dardenne. Kechiche schiva estetiche "accentratrici" non comunicanti sulla periferia e chiude il quadro accrescendo paradossalmente la tolleranza reciproca tra territorialità a superficie ridotta e congestionamento visivo.

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Richiesta del diritto ad una corretta rappresentazione delle cose.  La banlieue di Parigi non è solo quella di Kassovitz e rivendica una vita "normale" fuori per una volta dai clichè violenti dove si muore e si uccide all'unisono. La banlieue può rivivere anche in una favola che riflette sull'appartenenza a una comunità e sui rapporti etnici: un cinema magari più vicino alle prime commedie politiche di Robert Guédiguian.  È il secondo lungometraggio dell'autore di origine algerina, presentato a Torino e vincitore del premio alla regia. Anche il suo primo lungometraggio (Tutta colpa di Voltaire) cinque anni fa aveva vinto il premio come migliore opera prima a Venezia, dimostrando dimestichezza e agilità stilistica tra docu-film e formato fiction che tanto ricorda i fratelli Dardenne. Schivate estetiche "accentratrici" non comunicanti, lo sguardo del regista si chiude accrescendo paradossalmente la tolleranza reciproca tra territorialità a superficie ridotta e congestionamento visivo.         

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Tutto giocato sui piani stretti e sul dialogo serrato, sui movimenti "sporchi" di macchina e sulla spontaneità attorale di adolescenti non professionisti. In mezzo, il teatro, Il gioco dell'amore e del caso di Marivaux, straniamento di classicità mischiato al meticciato arabo-francese, a casermoni alienanti e scenari plumbei solcati dall'abito settecentesco di Lydia, protagonista contesa nella vita e sul palcoscenico. Il primo Arlecchino si vende per un paio di scarpette da calcio a Krimo (innamorato di Lydia) che prova a fare breccia nel cuore dell'amata calandosi in una parte da subito rivelatasi castrante. È lo spettacolo di fine anno scolastico, e il teatro si espande per tutto il circondario, si attacca ai personaggi che sfogano reiteranti confessioni sentimentali, infinite discussioni, imbarazzanti corteggiamenti. Condividere il gergo, l'immaginario, i valori dei sobborghi, il rap della lingua parlata che scandisce il tempo e misura lo spazio. Uscire dai propri linguaggi, dai propri gesti; uscire da se stessi e andare verso un altro linguaggio, altri gesti, altri mondi. I giovani della schivata sono di una periferia appendice, di un filtro della catena esistenziale, di un incrocio estasiante. La periferia è una polveriera, un laboratorio di esperimenti e di riscatto contro chi negozia sicurezza con la libertà. La periferia è una dimora, uno stadio divoratore: non un limbo, un non-luogo desertificato e scorporante. Periferie con ancora un centro e con ancora un senso della propria identità. La piazzetta dove si prova la rappresentazione teatrale, negli orari extrascolastici, è ancora luogo d'incontro/scontro, di aggregazione/disgregazione, lontana dai nei centri civici che confondono cavoli e cravatte. Scoprire che lo schermo protettivo, di sbarramento, è saltato tra la metropoli e la sua realtà suburbana e che è stato rimpiazzato da un infinito quanto inattaccabile ritmo tribale dove il cinema si sente e si subisce.


 


Titolo originale: L'Esquive


Regia: Abdellatif Kechiche


Interpreti: Osman Elkharraz, Sara Forestier, Sabrina Ouazani, Nanou Benahmou, Hafet Ben-Ahmed, Aurélie Ganito, Carole Frank


Distribuzione: Mikado


Durata: 117'


Origine: Francia, 2003

 

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