La seconda stagione di The OA va oltre le porte della percezione

Nella seconda stagione di The OA il registro scelto da Zal Batmanglij e Brit Marling va oltre le venature mistiche già proposte per accedere a nuove forme per narrare la realtà

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Dopo tre anni dall’uscita della prima stagione, da qualche giorno è disponibile su Netflix il nuovo capitolo di The OA.

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Una seconda parte che sin da subito sembra essersi rifatta il look riproponendo una versione aggiornata del misticismo che aveva ampiamente permeato gli episodi del 2016. Se infatti PA si risveglia in un luogo sconosciuto, ridando continuità a quel filone di trama portato avanti per tutta la prima sessione, la vera new entry è un investigatore privato, Karim Washington, che dopo essersi  ritrovato in casa una vecchietta vietnamita, la aiuta a cercare la nipote adolescente improvvisamente scomparsa.

Le indagini preliminari portano Washington (interpretato da Kingsley Ben-Adir) ad imbattersi immediatamente in Q Symphony, un rompicapo in realtà aumentata che rende incredibilmente dipendenti i suoi giocatori e che sfrutta vari indizi sparpagliati per le strade di San Francisco per costruire un gioco a livelli in cui si hanno solo tre tentativi per accedere allo step successivo.

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L’apparentemente cinico Washington cede immediatamente alla tentazione e, smartphone alla mano, risolve subito il primo quesito, in una scena di fronte ad una scalinata ai piedi della città che sa tanto di catabasi inversa, di accesso ad un mondo non più fatto di morti come nei miti, quanto piuttosto di esseri digitali. 

The OA

Quasi a voler marcare il fatto che la vera essenza delle cose è sempre più virtuale. O a voler ribadire che quelle scene del gioco che nella stessa puntata vengono chiamate NVR (Nella Vita Reale), possano essere una sorta di intralcio rispetto alla virtual reality, e che dunque sia sempre più indispensabile possedere una protesi per accedere ad una nuova realtà ritoccata.

C’è qualcosa in The OA seconda parte che va oltre l’effetto Pokemon Go e fa invece subodorare l’ennesimo atto di avvicinamento di Netflix alle piattaforme di videogaming. Archiviati momentaneamente gli esperimenti multi-plot di Bandersnatch, il colosso dello streaming ritorna al contemporaneo (guarda caso a quel 2016 che verrà ricordato nei libri di storia come l’inizio ufficiale della post-verità; guarda caso con un misterioso russo ideatore del gioco che fa tanto Russia Gate), e trasforma il misticismo che aveva caratterizzato la prima stagione dello show in un flusso che approda a nuove porte della percezione.
La via indicata per accedere a questi nuovi universi sembra quindi ormai chiara ed è quella della transmedialità. Da Black Mirror al parco giochi popolato da automi in Westworld, dalle straordinarie potenzialità di azione dell’ultimo Red Dead Redemption (un videogioco che aspira a farsi film e viceversa) al nuovo Iron Man per PlayStation da giocare tutto in VR. Cos’altro resterà da fare Nella Vita Reale?

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