La signora ammazzatutti, di John Waters

Una commedia di costume più classica dove si sente sempre la mano del regista. Un film morale contro il moralismo, con grande senso del ritmo e dello spettacolo.

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“But its daybreak/If you wanna’ to believe/It can be daybreak/Ain’t no time to grieve/Say its daybreak/If you ‘ll only believe/And let it shine, shine, shine all around the world”, cantava Danny Manilow. Il brano accompagna la sequenza centrale di La signora ammazzatutti (1994) di John Waters e, come spesso accade con le canzoni nel cinema del regista, ne condensa espressivamente il senso. Infatti qui l’alba rappresenta il momento in cui la protagonista Beverly Sutphin, irreprensibile moglie e madre di provincia, esce finalmente in strada per dare sfogo alle sue pulsioni violente. Ma irreprensibile la donna lo è solo in apparenza, come del resto di apparenza si alimenta la sua intera vita. La casa, il giardino, la scuola, sono gli stessi spazi da cui sgorgano gli incubi del decennio reaganiano da Freddy Krueger a Bob di Twin Peaks, ma dove anche tornato tutte le produzioni nostalgiche dopo il successo di Stranger Things. Un luogo dell’anima colmo di frustrazioni, dentro il quale tutto accade nella rispettabilità mentre ogni porta nasconde terribili segreti.

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Il segreto di Beverly è che legge di nascosto libri sui serial killer, chiama la vicina divorziata per molestarla con voce contraffatta e sogna di punire gli errori degli altri uccidendoli. Il personaggio interpretato dalla straordinaria Kathleen Turner è perciò la paradossale sintesi di un’impasse esistenziale e quindi politica: l’idea che la perfezione di forma non possa portare altro che il vuoto di sostanza. La tragedia di un Paese che non riconosce più valori fondanti fuori da edonismo e sopraffazione sociale. Un mondo in cui un ragazzo che guarda film horror non può avere successo negli studi o una ragazza che fuma marijuna sarà certamente inattendibile come testimone in tribunale. Si sa, il perbenismo come paradigma è ciò che l’irriverente autore di Pink Flamingos (1972) ha sempre cercato di rovesciare. Ma, diversamente dagli esordi indipendenti, questa commedia di costume più classica raggiunge all’istante un pubblico ampio e diversificato, permettendo a Waters di affondare la lama della satira nella carne di milioni di americani.

Grottesco e rigoroso, necessario e spiazzante, il film ancora regge la prova del tempo. Ad esempio, continua a chiedere allo spettatore di allarmarsi di fronte a un giardino troppo curato o una scuola troppo ordinata, dialogando con la recentissima terza stagione di Sex Education e non solo. Inoltre, si interroga sulla giustizia e sui media, domandosi a più riprese quali siano i limiti che un sistema sarebbe pronto a superare, quanti gli occhi che sarebbe pronto a chiudere, pur di garantirsi la sopravvivenza. Un film morale contro il moralismo, allo stesso tempo in grado di intrattenere con grande senso del ritmo e dello spettacolo. Forse solo l’umorismo è cambiato, in particolare nei toni, ma lo stesso si potrebbe dire di pellicole ben più iconiche come The Blues Brothers (1980), senza per questo intaccarne il mito o la qualità. La signora ammazzatutti va allora riscoperto nelle sue interconnessioni col presente, soprattutto quando apre con la dicitura “Questo film è una storia vera” per poi scoprire che si trattava di una geniale trovata pubblicitaria.

 

Titolo originale: Serial Mom
Regia: John Waters
Interpreti: Kathleen Turner, Sam Waterston, Ricky Lake, Matthew Lillard, Scott Morgan
Durata: 95′
Origine: USA, 1994
Genere: commedia/grottesco

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (4 voti)
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