La sirenetta. Viaggio negli adattamenti del racconto di Andersen

Emblema di chi lotta e abbatte le frontiere, la sirenetta è protagonista di tanti film dimenticati. Ripercorriamo brevemente la sua storia in occasione dell’uscita in sala del nuovo film.

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L’invito alla conoscenza, caratteristico delle sirene Omeriche (che non avevano la forma donna-pesce bensì quella di donna-uccello) si ribalta completamente nel celeberrimo racconto di Hans Christian Andersen, La sirenetta.
La piccola sirenetta diventa, nell’era contemporanea, emblematica di un’oppressione, di un confine invalicabile. È lei a cercare la conoscenza, ciò che c’è oltre il confine, che non può varcare. E forse proprio per questo motivo non dovrebbe sorprendere il fatto che ben due realizzazioni cinematografiche sovietiche si ispirino alla ribellione di questa figura polimorfa.
La sirenetta, il cartone animato del 1968, firmato Sojuzmul’tfil’m, regala un sogno tormentato dove lo stile (il frontalismo delle figure e la bidimensionalità), che ricorda la raffigurazione delle icone slave, sposa il ritmo frenetico, inarrestabile de La corazzata Potëmkin. Il rosso, colore sovietico per eccellenza, diventa colore della salvezza: il drappo vermiglio con cui la sirenetta riesce a sottrarre alla morte il principe.
Non sono poche le idee che la Disney ha rubato al cartone sovietico. Il castello sottomarino, la cui silhouette viene appena, elegantemente, accennata da pochi lineamenti nella versione del ’68, verrà poi amplificata ed esaltata dal cartone americano.
Anche la scena della trasformazione, figurazione quasi astratta dove la sagoma umana comincia a delinearsi su uno sfondo giallo arancione verrà rievocata, anche se si tratta solo di un dettaglio, nella versione Disney del 1986.
Rusalochka, il lungometraggio sovietico del 1976 non colpisce né sembra avere meriti, tranne forse la rappresentazione della sirena, che più incarna la visione letterariamente russa di questa creatura. I capelli verdi e lo sguardo maligno sono tratti distintivi narrati da Lermontov e Gogol’.
Non lontano dall’Unione Sovietica, nell’allora Repubblica Socialista Cecoslovacca (siamo sempre nel 1976), Karel Kachyňa dirige un film all’insegna del blu che non ha bisogno di effetti speciali per incantare, La piccola ninfa di mare. L’universo sottomarino viene ricreato dalle immagini al rallentatore, e, in assenza di acqua, le sirene non nuotano ma corrono, circondate da fumi bianchi. Spiriti marini più che sirene, vestite di lunghe toghe celesti, si beffano della stupidità umana, terrena. Un gioiellino dimenticato dove la mancanza di mezzi diventa stimolo di creatività: un’inventiva poetica e seducente.

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Tutte e tre queste versioni conservano il finale tragico del racconto, diversamente dall’adattamento Disney, che (altra coincidenza) esce nelle sale nel 1989, quattro anni dopo la salita al potere di Gorbaciov. La perestrojka ha forse permesso agli americani di conoscere e ispirarsi al cartone sovietico? Chissà.
Sta di fatto che La sirenetta che è uscito in sala una settimana fa si fa portavoce della stessa lotta. L’attrice Halle Bailey, afroamericana, canterà la liberazione di un popolo oppresso che riesce a varcare il confine di odio, la banalità del male, per trovare la propria voce non solo sul suolo americano, ma, in assenza di confini, oltreoceano e nel mondo.
Tra gli altri adattamenti della fiaba danese ricordiamo Rusalka (2007) di Anna Melikjan, dramma russo che segue la storia di Alisa, bambina con dei superpoteri inspiegabili che verrà esclusa dalla società. Chiudiamo in bellezza ricordando The Lure (2015) di Agnieszka Smoczynska: lungometraggio polacco ambientato negli anni ’80 dove le sirene protagoniste sono cannibale e lavorano in un cabaret.

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