La stirpe del male, di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

 


Il mockumentary/pov/found footage ha raggiunto un equilibrio storico, produttivo, formale, e l’esordio sul lungometraggio di Bettinelli-Olpin e Gillett è qui a ribadirlo, trattandosi di un cappello su quello che si può o non si può fare con la ribollente materia del genere, tanto che La stirpe del male è forse il più classico e compiuto titolo degli ultimi anni

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Non c’è genere o sub-genre nella Hollywood contemporanea più influente, rigoroso e assimilato della triade composta da mockumentary/pov/found footage. E la tripartizione non è casuale ma storica: dalle soggettive archeologiche di Thomas Porter e Carl Theodor Dreyer alle innovazioni tecnologiche della fine degli anni ’70 con la Steadicam e la Panaglide, fino ad arrivare a quel vaso di pandora del nuovo millennio che è stato The Blair Witch Project, si è assistito ad una marcia di avvicinamento verso la saldatura nominativa e strutturale di queste tre forme di narrazione e ripresa, prima solamente all’interno del vasto deserto notturno dell’horror, e adesso con isolate ma sempre più importanti sortite in generi quali la sci-fi (Apollo 18), il teen movie (Project X) e il crime drama (End of Watch). Il più influente, rigoroso e assimilato: quasi 1 miliardo di incasso con una media di 40 milioni di dollari per film, su un campione di 20 pellicole dal seminale 1999 ad oggi, è l’impatto sul box office; in questo quindicennio i device tecnologici sono aumentati a dismisura, e questo permette di spalmare in modo sempre più strutturato ed esponenziale le fonti visive – quindi, narrative – che sono l’architettura interna dei vari film; il processo di scrittura e ripresa di questo genere è talmente raffinato e compatto che la risposta del pubblico avviene non soltanto in base alla mera qualità “artistica” ma anche e soprattutto sul rispetto o l’infrazione delle norme compositive interne al genere stesso. Il mockumentary/pov/found footage ha insomma raggiunto un equilibrio storico, produttivo, formale, e La stirpe del male è qui a ribadirlo.

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Zach (il Zach Gilford di Friday Night Lights) e Samantha (l’Allison Miller di Terra Nova) si sono appena sposati. Per riportare l’emozione reale e costante del loro innamoramento ai futuri figli, Zach decide di filmare incessantemente la storia con Sam, iniziando dalla luna di miele nella Repubblica Dominicana. Qui, una notte, una bruja legge la mano di Sam, facendo venire a galla i ricordi di un’infanzia dolorosa e solitaria marcata dall’assenza dei genitori – genitori di cui lei non sa praticamente nulla. Scossa ma decisa a godersi l’ultima notte di vacanza, la coppia viene convinta da un tassista del luogo ad andare ad un festa dentro un club ricavato nei sotterranei della città. La musica e l’alcol e le danze continuano finché i due non vengono drogati e fatti partecipi di uno strano e oscuro rituale. Risvegliatisi la mattina dopo in albergo, senza alcun ricordo dell’accaduto, Zach e Sam ritornano negli Usa e poco tempo dopo scoprono di aspettare un bambino…

 

Iniziamo dalla crew. I registi, Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, sono due nomi molto conosciuti nell’ambiente spettacolare americano, e non per il segmento 10/31/98 dell’horror collettivo V/H/S (2012), per la punk-band di inizio anni Novanta Link 80 o per aver diretto il primo video degli Alkaline Trio, quanto per essere tra i creatori della serie Chad, Matt & Rob, in totale otto brevi film divisi tra le serie Pranks Gone Wrong e Interactive Adventures, che nel lontano 2007 coniarono il termine “avventura interattiva” lanciando in rete i primi video in cui lo spettatore influenzava tramite le proprie decisioni l’indirizzo e il risultato della storia. Muovendosi tra generi popolari come la fantascienza, l’horror e il survival zombie, Bettinelli-Olpin e Gillett (tra gli altri) realizzarono una pietra miliare dell’avvicinamento fruitivo tra film, videogame e internet. Sciolto il gruppo iniziale, i due si ritrovano a formare un altro collettivo, Radio Silence, punto di partenza per il lavoro su V/H/S e questo La stirpe del male.

 

Bettinelli-Olpin e Gillett, insomma, hanno alle spalle un consapevole lavoro sull’uso degli stilemi dell’horror e sulle aspettative e reazioni del pubblico, tanto che propongono un film che si colloca al centro delle dinamiche produttive e di mercato che riguardano questo particolare segmento cinematografico: frutto dell’unione produttiva tra una major come la Fox e una minor come la Davis Entertainment – però con una filmografia di prodotti mirati e costruiti negli anni come l’intera saga di Predator, Waterworld, Io, Robot e non a caso Chronicle –, La stirpe del male è un lavoro che è tanto importante quanto e quando viola apertamente le regole del genere. Perché qui abbiamo attori conosciuti, musiche diegetiche ed extra-diegetiche assieme, cartelli iniziali con citazioni, un montaggio “narrativo”, tutte calcolate infrazioni del codice mockumentary/pov/found footage scritto nell’ultimo quindicennio. Ma lungi dall’essere uno spostamento in avanti delle pratiche finora consolidate, l’esordio sul lungometraggio del duo è un cappello su quello che si può o non si può fare con la ribollente materia del genere, tanto che La stirpe del male è forse il più classico e compiuto titolo degli ultimi anni. Rispetto infatti al The Bay di Barry Levinson che al contrario è davvero “progressista” – con il suo montaggio in fieri, la continua e sofisticata sovrapposizione di punti di vista e device, la dissoluzione totale della storia in qualunque tipo di immagine –, il film di Bettinelli-Olpin e Gillett ci riconduce a posizioni “conservatrici”, con il suo cercare di inoculare dentro la struttura del mockumentary/pov/found footage l’architettura filmica tradizionale fatta, appunto, di cartelli, musiche, elementare grammatica cinematografica, disinnescando invece che far esplodere come Levinson le dinamiche proprie del genere – tanto che perfino la classica domanda iniziale/finale su chi e come e perché ha assemblato quanto visto viene del tutto ignorata. I due registi, però, come a voler riequilibrare e accettare di nuovo il genere, mettono in piedi un sotto-finale tutto testa e occhi, con Zach che indossa una adventure cam e si inoltra nei vicoli e nella casa accanto alla sua abitazione, in un piano sequenza pittorico ed immersivo, a metà tra le atmosfere dei primi Silent Hill e la soggettiva immersiva dell’horror più atmosferico e spaziale di Carpenter. Per poi chiudere con una sequenza finale che gioca con il titolo e l’eventuale stirpe dei suoi seguiti.

 

 

Titolo originale: Devil's Due

Regia: Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett

Interpreti: Allison Miller, Zach Gilford, Sam Anderson, Bill Martin Williams, Roger Payano

Origine: Stati Uniti, 2014

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: '89

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