La syndicaliste, di Jean-Paul Salomé

Diviso tra cinema di impegno civile, thriller e indiretta riflessione sulla disparità di genere, si avvale di un ritmo incalzante e del magnetismo di Isabelle Huppert. Orizzonti

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Ormai icona consacrata per i personaggi femminili fortemente caratterizzati da un innato magnetismo che attragga su di sé l’interesse, Isabelle Huppert ricompare protagonista in La syndicaliste, nella sezione Orizzonti, per la regia di Jean-Paul Salomé già regista di La padrina.
Tratto da una storia vera, il film racconta una storia che si è svolta tra il 2012 e il 2018 a metà tra l’ambiente giudiziario e del lavoro con connessioni internazionali. Un affare complesso, dentro oscure trame politiche e interessi economici. Lei è Maureen Kearney e fa la sindacalista dei lavoratori di Areva multinazionale del nucleare. La sua denuncia di un accordo segreto tra i rappresentati di Areva, EDF, altra azienda che produce e distribuisce energia nucleare, e la Cina per l’acquisizione da parte della potenza asiatica delle conoscenze francesi con licenza per la costruzione di altre centrali nel Paese con il rischio di compromettere 50.000 posti di lavoro di operai francesi, le costerà cara.
Il film si sviluppa attorno al personaggio principale, donna fredda e volitiva, razionale e scrupolosa nel proprio lavoro di cui è appassionata. Il ritmo incalzante e la scansione temporale della vicenda trasforma il film di indagine sociale, con risvolti da nuovo cinema di impegno civile, in un thriller appassionante e serrato. Isabelle Huppert assorbe e attrae lo sguardo dello spettatore, lavorando intensamente sulla fredda consapevolezza del suo personaggio e in questa prospettiva il personaggio di Maureen Kearney è perfettamente adatto alla sua sempre viva stoffa di attrice.

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Il film, inevitabilmente, non manca di diventare anche una indiretta riflessione sui ruoli femminili e quelli maschili nella gestione degli affari che riguardano il mondo del lavoro. E se la manager alleata di Maureen viene letteralmente fatta fuori perché non ci si fida delle “manager donne”, preferendo le garanzie maschili pronte ad avallare gli accordi segreti con la dismissione dei posti di lavoro, è anche vero che solo la caparbia volontà della sindacalista benché vessata e maltrattata, possa ottenere la meritata vendetta sociale riuscendo a insinuare, tra le fitte trame di un dubbio che viene fatto apparire come fondato, ogni necessario antidoto con le mosse decisive che mettano in scacco il potere, il pregiudizio e ogni diffusa e strisciante opinione secondo la quale, comunque, esista una “segreta” colpa femminile per ogni stupro subito, per ogni ingiusta e bestiale violenza che si consumi in quella zona d’ombra in cui si manifesti il segreto sapore del potere (maschile).

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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