La terra dell’abbastanza, di Fabio e Damiano D’Innocenzo

Il film dei D’Innocenzo è sincero e istintivo, libero da schemi mentali e dotato di una sua unicità, fatto straordinario in questo periodo di sovrabbondanza di film malviventi.

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C’è una frase che colpisce nell’esordio dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo. Quando Alessia (la madre del protagonista Mirko) sgrida il figlio perché sa che fa parte di un giro di affari sporchi. Lui la accusa: “Però come te li prendi i soldi”. Lei risponde “A me i soldi mi servono, se li trovo me li prendo“.

Questa frase, pronunciata nel bel mezzo di una litigata fra una madre e un figlio, è esplicativa tanto quanto il titolo del film, La terra dell’abbastanza. Cresciuti nella periferia romana, Mirko e Manolo sono amici fin dalle elementari. Una sera investono un uomo per sbaglio, e questo incidente si trasforma in una svolta, in qualcosa di comodo: l’uomo ucciso è infatti un pentito del piccolo clan dei Pantano, malavitosi della zona, e doveva essere fatto fuori. I due giovani possono entrare nel clan.
La questione dell’abbastanza, è proprio il punto focale: è abbastanza quando si accetta qualcosa che serve, indipendentemente dalla sua qualità o quantità. Nella terra dell’abbastanza dove si ritrovano a vivere Mirko e Manolo, non c’è nulla di epico, non c’è la voglia di arraffare, di avere tanto e in modo semplice, non c’è  sfarzo, non c’è vizio. Ci sono due ragazzi di diciotto anni che entrano in un mondo malavitoso e squallido, nel quale agiscono privi di una reale volontà. Costretti da un evento principale ad essere in balia di tutti quelli successivi, destinati ad andare inesorabilmente nella direzione sbagliata.

Sembra che questo discorso dell’abbastanza riguardi (positivamente)  anche il modo dei registi di raccontare la vicenda: da pochi elementi esplode un mondo triste, senza musiche pompate, accessori criminali o  parabole di ascesa e inevitabile discesa. È tutto disperatamente semplice. C’è spesso un jazz stanco e sconsolato, le notti di vizi mancano, la storia non le concede ai suoi protagonisti. E proprio in questa riduzione al minimo c’è un tratto stilistico estremamente sincero e cristallino, il racconto di una parabola triste, due ragazzi dal futuro strappato e la sottotraccia di una periferia e di un’esistenza priva di dignità. I fratelli D’Innocenzo hanno un’idea molto chiara di regia, prima viscerale e solo dopo mentale, con totali colmi di parcheggi vuoti  e primi piani invasivi, attaccati ai visi dei giovanissimi protagonisti, deformati dagli avvenimenti.  Due presenze, ambiente e personaggi, vanno spontaneamente di pari passo senza prevalere l’uno sull’altro, tutto è parte di questa triste storia, magistralmente interpretata dai promettenti Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti.

Molto spesso il pensiero straborda dalle opere prime, il ragionamento dietro le immagini è lampante, le intenzioni sono spesso fin troppo rintracciabili. Ma il film dei registi romani non cade nel comodo tranello di spiegarsi in simboli o messaggi, e questo perché il loro è un film fondamentalmente  istintivo, che si fa forte di una bravura di getto. Legato ai riferimenti e sicuramente devoto al Cinema (non pensare subito a Non Essere Cattivo è impossibile) La terra dell’abbastanza è  dotato di una sua unicità, fatto straordinario in questi tempi sovrabbondanti di film malviventi. In fondo, se si vuole ragionare per una (discussa) differenza, l’esordio dei fratelli è un film d’autore e non di genere, ma riesce pienamente a distaccarsi dall’intenzione di un’autorialità. Forse perché è un film giovane o perché i due fratelli, come dice  lo scagnozzo di Angelo Pantano riferendosi a Mirko e Manolo, hanno il dono di sparare  perché non ne hanno consapevolezza. Lo fanno, non ci pensano troppo, e basterà il tempo a raffinarli e a rendenderli, con molta probabilità, degli ottimi cineasti.

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Regia: Fabio e Damiano D’Innocenzo

Interpreti: Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti

Distribuzione: Adler Entertainment

Durata: 96′

Origine: Italia 2018

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