La Terra e il Vento, di Sebastian Maulucci

Il primo lungometraggio del regista latinense sfiora con delicato senso elegiaco questioni come famiglia, valori e mondo dei giovani, senza affondare davvero il colpo

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Cosa conta davvero e fa di un uomo quello che è: l’amore o la proprietà, gli affetti familiari o la “roba”? È il dibattito che anima, in apertura di pellicola, la più classica delle tavolate di famiglia, in una di quelle rare occasioni in cui generazioni diverse (nonni, genitori, figli, nipoti) si guardano negli occhi e si confrontano, tra un bicchiere di rosso ed una carrellata di portate, riscoprendo radici e sapori antichi come anche attriti mai sopiti e ruoli quasi dimenticati. Una cerimonia rituale – quella della famiglia che si riunisce davanti ad una mensa imbandita – atta a sacralizzare legami inespressi e sempre più labili e ad esorcizzare lo spettro della solitudine e l’ansia dell’incomunicabilità generazionale e di un fallimento pedagogico. E la famiglia, così come la società, richiede di occupare un posto, di avere un ruolo e di svolgere un compito. “Terra” e “vento” diventano così i due elementi simbolici attraverso i quali riformulare la propria presenza in questi due universi, paralleli e insieme strettamente subordinati, e sostanziare la propria identità, in assenza di punti di riferimento altri. Non è tanto una questione di semplice impulso alla fuga e all’evasione o di zelante senso del dovere e della responsabilità, è un modo di essere per “ritrovarsi” e dare un senso alla propria vita. Sono due percorsi che si collocano a metà tra cinismo auto-protettivo e “romanticismo” etico, ambedue funzionali ed essenziali nella loro apparente coerenza e nelle loro motivazioni più profonde. Due percorsi, se vogliamo, necessari.

13439_origIl venticinquenne Leonardo ha la passione per i viaggi avventurosi e per la montagna e, contro il volere della famiglia, decide di abbandonare gli studi ed assecondare il suo istinto: affronta le più impervie vette mondiali, crea un sito internet per raccontare le sue imprese e si accinge a partire per il Nepal. Prima della partenza, una richiesta di aiuto lo riporta a casa, nella campagna laziale. Si tratta di stabilire le sorti della tenuta vinicola di famiglia, ma il giovane esprime al fratello la volontà di non occuparsene. Sarà il fratellastro Riccardo – a sua volta erede di vaste proprietà agricole sulle colline del Chianti, in Toscana – a coinvolgerlo nelle annose questioni di eredità legate ai possedimenti terrieri. Lo zio di Riccardo vuole rilevare la tenuta in Toscana e gestirla a modo suo, ma Riccardo non vuole lasciare l’eredità del padre e chiede a Leonardo di entrare in società con lui per difendere la tenuta. Leonardo è così costretto a confrontarsi con quanto si era lasciato alle spalle, ma il soggiorno in Toscana gli permette di riscoprire la bellezza della terra e della natura italiane. Le cose si complicano quando il giovane instaura una relazione sentimentale con Chiara, sorella di Riccardo, provocando nel fratellastro una dura reazione ed un’esplicita ostilità. La seduzione dei legami, della terra, delle origini – cui si va aggiungere l’infatuazione per Chiara – costringeranno Leonardo ad operare scelte difficili e affrontare contrasti sempre più forti.

Prodotto nel 2013 da Ar. Pa. Film e presentato in anteprima alla Casa del Cinema di Roma, durante la rassegna Percorsi di Cinema – Anac, nel novembre 2013, il film è stato proiettato in concorso al Rome Independent Film Festival 2014, nella sezione Italian Feature Competition, nel marzo 2014, e, sempre in concorso, al Maremetraggio – International ShorTS Film Festival 2014 di Trieste nella sezione Nuove Impronte. Nell’ottobre 2014 si è aggiudicato il Gran Premio della Critica assegnato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani al Terra di Siena Film Festival. La Terra e il Vento (QUI il trailer ufficiale) affronta molteplici tematiche: la famiglia, l’amore, la crisi dei valori ed il suo impatto sui giovani, l’ambiguità dei rapporti e l’incertezza dei sentimenti. Leonardo e Riccardo rappresentano i due poli attraverso i quali la vicenda acquista spessore drammatico, incarnando il primo lo spirito avventuroso ed impulsivo che segna il rifiuto della tradizione e dei vincoli familiari, il secondo il senso della continuità e della “missione” che perpetua i valori e i sacrifici di una famiglia. Come spiega il regista (già assistente alla regia di Paolo Sorrentino ne L’amico di famiglia, 2006, e allievo di Marco Bellocchio nella pellicola Sorelle, 2006, durante il seminario estivo Fare Cinema), la terra e il vento “rappresentano la forma di incertezza delle situazioni, il racconto dello stato d’animo dei giovani in rapporto alle passate generazioni, la vita esplorativa della gioventù e la vita tradizionale dell’età matura”.

locandina-tagliataMentre l’opera che segna l’esordio al lungometraggio del trentacinquenne regista latinense Sebastian Maulucci (autore dei corti Diritto al Volo, 2003; L’Ombra, 2005 e Il Ritorno, L’Addio, 2008, oltre che del documentario Sottosuolo, 2009) scorre davanti agli occhi, sembra quasi di riassaporare certe atmosfere veriste, di rivivere le aspirazioni, i conflitti e le dinamiche che animavano i personaggi di un romanzo di Luigi Capuana e di Giovanni Verga. Ideale anello di congiunzione tra quella stagione letteraria e la più stringente attualità è la figura di Erasmo, il nobile decaduto (interpretato da Maurizio Lombardi), che fotografa alla perfezione la deriva di una società borghese intrisa di ipocrisia e preoccupata di perdere uno status nel quale galleggia e si barcamena con crescente difficoltà. La crisi delle gerarchie sociali tradizionali e lo scacco degli ideali risorgimentali come sfondo per tematiche come la contrapposizione tra “vittoria economica” e “affetti familiari”, individualismo, intraprendenza borghese, materialismo e rampantismo sociale vengono qui attualizzate e innervate nel terzo millennio, nella stagione della grande crisi economica e del disagio giovanile nel confronto con la famiglia e con il mondo del lavoro. Peccato che la sceneggiatura, scritta dal regista e da Severino Iuliano, semplifichi oltre modo il concetto (non necessariamente) dicotomico espresso nel titolo e – nel tentativo di offrire allo spettatore chiavi di lettura che spieghino la complessità delle dinamiche familiari – si affidi ad improvvisi flashback che appaiono, però, troppo frammentari e piuttosto avulsi, perdendo notevolmente in efficacia drammatica e in linearità di narrazione. A stemperare il fulcro drammaturgico intervengono anche dialoghi talvolta forzatamente ingenui e situazioni o complicazioni emotive e sentimentali che si sviluppano secondo cliché narrativi piuttosto stucchevoli. In compenso, Maulucci dimostra di sapere isolare psicologicamente i suoi personaggi nell’ambito di un’azione corale attraverso un coinvolgente uso dei carrelli al fine di avvolgere i tipi umani e la storia in uno sguardo che fosse insieme partecipe e distaccato, osservativo e narrativo al contempo (“un misto di affetto e approvazione ma anche di distanza critica, che mi ha permesso di svelare luci e ombre di ognuno”) e fa centro affidandosi alla suggestiva fotografia di Paco Maddalena – la scelta cromatica vira verso colori pastello, a tratti più vividi e netti e a tratti più tenui e de-saturati, che, complice il tono dei colori invernali, ritraggono il fascino bucolico delle campagne laziale e toscana – e alla musica di Francesco Ruggiero – che ben accompagna nel complesso i vari risvolti della pellicola, con delicatezza e fluidità, senza mai eccedere e prendere il sopravvento. Il giovane regista dimostra una certa ambizione, approfittando dell’allegro festino in campagna organizzato dalla cricca di giovani per inserire una serie di riflessioni personali sulla qualità e le caratteristiche più trite del cinema italiano e di quello francese, nonché un corrosivo riferimento alla “tele-dittatura” del ventennio berlusconiano, così come evidenzia un certo gusto per la citazione colta (quel “mi fanno male i capelli” che – anche perché espresso in un’analoga situazione di instabilità emotiva – ricorda la Monica Vitti di Deserto Rosso, 1964). Tuttavia, l’incontro seminale e sempre fecondo tra la terra e il vento non produce grossi scossoni e la pellicola, non sempre supportata da una recitazione all’altezza, non risolve del tutto le riserve dello spettatore.

Titolo originale: Id.

Regia: Sebastian Maulucci

Interpreti: Lorenzo Richelmy, Robin Mugnaini, Laura Gigante, Chiara Martegiani, Margherita Vicario, Giacomo Tarsi, Christiane Filangieri, Beniamino Brogi, Lina Bernardi

Origine: Italia, 2013

Distribuzione: PS Servizi Eventi Management

Durata: 85′

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