La triste last dance di Rafa Nadal

La carriera del tennista spagnolo si conclude con un’uscita di scena insignificante: il peggior finale possibile per una sceneggiatura a tratti perfetta

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Alcuni personaggi della vita reale sembrano avere parabole degne dei migliori film o dei migliori romanzi. Sono drammi di eroi a cui una presunta divinità della scrittura sembra aver regalato una storia che senza alcun intervento esterno si svolge seguendo qualsiasi regola della narrativa, e per questo talvolta diventano poi effettivamente opere letterarie o cinematografiche significative. Ed ecco quindi Open di Andre Agassi che, lontana da una banale autobiografia di un atleta, diventa un libro avvincente come pochi. O ancora non si può non pensare a come The Last Dance racconti un capitolo di storia sportiva che, prima ancora di diventare una serie, era già un capolavoro di drammaturgia fatto e finito. Ma come sarebbe stata la stessa se l’ultimo ballo di Michael Jordan e dei Bulls fosse stato un fiasco clamoroso, una stagione mediocre, una storia anticlimatica in cui l’epica precedentemente costruita si scioglie cancellando tutte le premesse?

Probabilmente sarebbe stata simile al triste finale di carriera di Rafa Nadal, a cui la divinità della narrativa di cui sopra ha regalato una vicenda anch’essa degna del miglior mito, ma che alla fine non ha saputo riconoscere il momento giusto in cui scrivere la parola fine. Questo è stato l’ultimo biennio del tennista spagnolo, un finale mesto che giunge rompendo l’incanto dei precedenti 20 anni. Gli elementi c’erano tutti: un giovane promettente che brucia le tappe; un ragazzino che vive alle spalle di un mostro sacro e rivale (Federer), che ad un certo punto riesce a superare; il frutto del suo successo (una tenuta fisica senza precedenti) è anche il suo punto debole, caratteristica che velocemente si deteriora e lo costringe a combattere contro il tempo; un secondo atto in cui sembra perdere tutto, ma che funge da carica per far scattare la molla del terzo atto, in cui arriva l’impresa dell’eroe che sembrava già spacciato; e poi, in conclusione, la celebrazione al fianco dell’ex nemico e adesso amico. Le regole di una buona sceneggiatura avrebbero quindi imposto come finale proprio questo: l’esibizione/festa d’addio di Roger Federer, con la possibilità che anche Nadal potesse chiudere la propria storia in quel momento, quando il pubblico in lacrime esortava i propri idoli. E invece un drammaturgo forse inesperto, forse spaventato dalla fine, forse tracotante, ha provato ad andare oltre, ad allungare il manoscritto di pagine non necessarie, senza però avere buone idee e con la storia stessa che non richiedeva aggiunte.

Nadal

L’ultimo capitolo della storia di Nadal non assomiglia neanche vagamente a quanto visto prima, non riesce ad esserne neanche la copia sbiadita. Il 2023 e il 2024 sono stati di fatto un tour d’addio senza picchi, quantomeno verso l’alto. Lo scorso 20 novembre l’eliminazione subita dalla Spagna in coppa Davis per mano dell’Olanda ne è stato il triste ultimo atto. Lui ha perso la sua partita e non era tra i protagonisti dello spareggio, spettatore del match che avrebbe deciso la fine della sua carriera. Sembra come quando si va in sala per vedere il nuovo capolavoro di un regista amato e si rimane delusi, arrivando a chiedersi: ma l’ha davvero fatto lui? La triste uscita di scena dello spagnolo, in seguito ad una partita persa da altri al posto suo, assomiglia ad un finale che avrebbe pensato, più che un grande autore, l’ultimo della classe di un improbabile corso di scrittura creativa. Chiaro, nemmeno il più insignificante dei finali può cancellare la storia che l’ha preceduto, e questo vale anche per Nadal. Gli ultimi due anni non annullano quel capolavoro che è stata la sua carriera. Rimane però un sospetto, quello che la sua sia stata una parabola scritta solo per regalare un villain al protagonista del racconto principale, Federer. Il viaggio dell’eroe di quest’ultimo presupponeva un’antitesi degna di nota, e un drammaturgo bravo si è servito in tal senso del tennista spagnolo, antagonista poi lasciato nelle mani di un collega meno abile una volta raggiunto il suo scopo. Se Federer è stato Rocky, Nadal è stato Creed; se il primo è stato Richard Deckard, il secondo è stato Roy Batty. La sua storia è stata grandiosa e avvincente, ma forse il vero protagonista del racconto, è semplicemente sempre stato un altro.

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