La valle dell’Eden, di Elia Kazan

Nel primo ruolo da protagonista per Dean c’è già l’immagine del giovane ribelle che verrà fissata nel tempo. Ma è il valore della sua recitazione a consegnarlo eternamente alla modernità.

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Fa riflettere come spesso il percorso personale di un autore influenzi più o meno direttamente quello artistico. Sarebbe però rischioso in una lettura della sua opera tenerne troppo conto, perché significherebbe storpiare l’arte che ha una natura vivace e complessa. Il cinema di Kazan e prim’ancora il teatro, come la sua vita, sono pieni di contraddizioni, di rivelazioni e ripensamenti, di personaggi che rimbalzano da un’emozione all’altra eludendo qualsiasi schema che ne limiterebbe la gittata. Per questo si prestano bene al melodramma, campo sterminato di indagine e di messa in discussione della natura umana, approdo di una rappresentazione che arriva ad attraversare il reale pur abitando lo spazio della finzione.

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A rivedere oggi alcune scene dei suoi film, è incredibile quanto queste sfuggano al tempo per collocarsi in un presente assoluto fatto di scarti d’autenticità: la chiacchierata tra Brando e Eva Marie Saint vicino all’altalena in Fronte del porto o il confronto finale tra Dean e il padre ne La valle dell’Eden, che sfocia in un abbraccio d’agognata redenzione, non sono semplicemente il prodotto di un metodo – quello dell’Actors Studio, fucina di talenti fondata tra gli altri dallo stesso Kazan – quanto una combinazione di elementi – stilistici, narrativi, e ovviamente recitativi – che nelle mani del regista raggiungono il massimo grado di espressione. Il risultato è una forma di realismo che ondeggia tra pubblico e privato, attenta a questioni di carattere sociale e certo sostenuta dalla lezione hollywoodiana – in alcuni casi appesantita (Un albero che cresce a Brooklyn, Barriera invisibile) – e dai maestri della letteratura americana.

Partendo dall’omonimo e forse più ambizioso romanzo di Steinbeck, già sceneggiatore e autore di Viva Zapata!, Kazan mette qui in scena una storia di contrasti familiari le cui origini affondano nella mitologia biblica per riemergere in un paese che sta per conoscere il frutto amaro della guerra. Aaron (Richard Davalos) e Cal (James Dean), moderni Caino e Abele, vivono in una fattoria insieme al padre (Raymond Massey). Siamo nel 1917 e l’imminente coinvolgimento bellico degli Stati Uniti porta i due fratelli, quasi agli estremi per temperamento e attitudine, a una crisi rovinosa che ha conseguenze su tutta la famiglia.

A est dell’Eden il titolo originale, come se il paradiso e con esso la promessa di felicità fossero stati per sempre negati a questi personaggi che continuano comunque a cercare un conforto, chi nelle Scritture e in un ottimismo modesto (“tuo padre è troppo nobile per pensare al denaro”), chi in una fede più immediata e terrena.

Kazan stabilisce sin da subito i rapporti di distanza tra loro attraverso una costruzione visiva chiara e potente che lascia parlare le immagini: una donna cammina per la strada – il volto è velato – e in lontananza si intravede una figura appoggiata al muro; la donna passa in secondo piano, in primo ora c’è un giovane seduto sul marciapiede, la testa leggermente abbassata; si gira quando la vede arrivare – e in quello sguardo di pochi secondi c’è già l’essenza più profonda di Dean, fuori e dentro lo schermo; il ragazzo allora si alza e la segue fino a casa tenendosi sempre lontano – in un’inquadratura è ripreso dal basso con la bandiera americana che sventola sullo sfondo. Eccola lì, tratteggiata in una sequenza senza dialoghi, la relazione tra una madre (Jo Van Fleet, Oscar per questo ruolo) e un figlio che ha abbandonato da piccolo; entrambi scostanti – più avanti dialogano l’uno di spalle all’altra – e feriti, vivono al margine di una società che non perdona facilmente i loro “peccati” – la speculazione sui fagioli così come il bordello, anch’esso staccato dalla città.

Kazan, consapevole della piena aderenza di Dean al personaggio di Cal – per l’attore ventitreenne si tratta del primo ruolo da protagonista – consegnerà involontariamente alla memoria del pubblico e del cinema l’archetipo del giovane incompreso incendiato da un furore per la vita, che altri registi dopo di lui riprendono e portano definitivamente a modello per tutti quei ragazzi che si fossero sentiti esclusi o non apprezzati. Dean però va oltre quest’immagine fissata nel tempo: la sua interpretazione sa essere ferma e misurata; carica quando è pronta a far esplodere il malessere – con l’inquadratura che si inclina e che sfrutta l’ampiezza del formato panoramico allungando le distanze; disperata in quel bisogno di Cal di una parola d’affetto o di un gesto d’amore ma anche giocosa nella sua corsa spensierata nel campo di fagioli. Molti critici di allora si ostinavano a paragonare Dean a Brando e a Clift, e lo stesso Beatty al suo esordio fu associato a Dean; non davano abbastanza peso al valore della loro recitazione che ha consegnato queste figure alla modernità rendendole libere da giudizi.

 

Titolo originale: East of Eden
Regia: Elia Kazan
Interpreti: James Dean, Julie Harris, Raymond Massey, Burl Ives, Jo Van Fleet, Richard Davalos
Durata: 115’
Origine: USA, 1955
Genere: drammatico

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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