La venue de l’avenir, di Cédric Klapisch
Un omaggio del regista francese alla pittura, al cinema e alle grandi invenzioni dell’800. Leggero, elegante e inconsistente. Penalizzata soprattutto la parte moderna. CANNES78. Fuori Concorso.
La vita di Adèle. Una foto, un’immagine che prende forma. Con La venue de l’avenir Cédric Klapisc rende un omaggio alla pittura impressionista, evidente già nei coloratissimi titoli di testa in cui c’è già quel legame tra l’arte e la modernità – riportando in vita alcuni dei grandi protagonisti, mostrati in un’immagine d’insieme. Uno spazio un po’ più grande ce l’ha Monet, nella parte in cui incontra Adèle che posa per lui come modella mentre le fa alcune domande sulla vita privata che la riguardano. Contemporaneamente, celebra il secolo delle grandi invenzioni tecnologiche presenti nel film: la luce, la fotografia, il treno e, naturalmente il cinema. C’è un’inquadratura di Parigi dall’alto con i protagonisti della parte moderna. Per il regista francese è il segno del profondo legame con la città, a cui ha dedicato un film proprio con il suo nome oltre ad averci ambientato, tra gli altri, anche il suo primo lungometraggio Riens du tout e Ognuno cerca il suo gatto oltre a una parte di Bambole russe.
Céline (Julia Piaton), Guy (Vincent Macaigne), Seb (Abraham Wapler) e Abdel (Zinedine Soualem), quattro cugini che non si sono mai conosciuti, sono riuniti dall’inaspettata eredità di una casa in Normandia che è rimasta chiusa dal 1944. Arrivati sul posto, ricostruiscono la vita della loro antenata Adèle Vermillard (Suzanne Lindon, figlia di Vincent e Sandrine Kiberlain), una ragazza di circa vent’anni che è vissuta lì nel 1895 prima di andare a Parigi alla ricerca della madre da cui non ha notizie subito dopo la sua nascita.
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Nell’analisi del dipinto di valore La venue de l’avenir sembra andare inizialmente dalle parti di Il quadro rubato di Bonitzer, ma è solo uno squarcio momentaneo. Più che gli oggetti, e le epoche, a Klapisch interessa la storia dei suoi personaggi. Forse è il suo film sul cinema più diretto (il 1895 è un’ambientazione ben precisa), ma poi, per riempirlo di riferimenti e personaggi riconoscibili (la comparsata di Sarah Bernardt, il fotografo Nadar che diventauna figura centrale nello sviluppo della storia) si perde il fascino di un’epoca. Non ci piomba dentro come Woody Allen in Midnight in Paris ma la attraversa soltanto. Certo lo fa con leggerezza ed eleganza, ma poi finisce per sacrificare la parte contemporanea, tranne in un riconoscimento degli studenti ad Abdel che si dispongono in due file per salutarlo che mostra come tutti questi personaggi avrebbero potuto avere, ognuno di loro, una storia a parte.





















