La vetta degli dei, di Patrick Imbert

Ripropone la poetica dei film d’animazione francesi attraverso un racconto eroico e misterioso sull’alpinismo mondiale. Tratto da un romanzo di Yumemakura. Su Netflix

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La montagna come luogo dei valori che svaniscono dentro una tormenta. Capacità meditativa, conquista fisica. Arrampicarsi ancora. Sempre più in alto. Ma per che cosa? Come diceva George Mallory, alpinista inglese morto sulla celebre vetta dell’Everest nel 1924, la montagna “è lì”, a ricordarci il rispetto che si deve alla natura e all’altezze inaccessibili. La vetta degli dei, secondo lungometraggio del regista francese Patrick Imbert disponibile su Netflix, riflette sul pensiero filosofico di Mallory intrecciando avventura, giallo e ricostruzione storica. Il film è basato su un romanzo dello scrittore giapponese Baku Yumemakura, che ha ispirato il mangaka Jirô Taniguchi. Dopo aver letto questo fumetto, il produttore e sceneggiatore Jean-Charles Ostorero ha voluto immediatamente farne un film. Ci sono voluti quattro anni di lavoro sulla sceneggiatura per riuscire a condensare le 1500 pagine del manga.

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L’adattamento cinematografico riduce la trama originale e racconta, con abbondante uso della voce narrante, l’indagine del giornalista giapponese Fukamachi che crede di riconoscere Habu Jôji, un alpinista che si pensava fosse scomparso anni fa. Fukamachi si mette sulle tracce di Habu scoprendo un mondo di appassionanti conquiste impossibili, nel tentativo di recuperare una macchina fotografica che potrebbe cambiare la storia dell’alpinismo.

L’impostazione visiva di Patrick Imbert è elegante ed essenziale, a differenza del precedente Le grand méchant renard et autres contes… del 2017, realizzato con tratti disneyani e meno realistici. Le animazioni in 2D de La vetta degli dei si concentrano sui volti e sulle espressioni, mantenendo una linea realistica. Ma è nelle riprese panoramiche e di maggiore respiro che il film trova la massima espressione evocativa, complice anche l’incalzante colonna sonora del compositore tunisino Amin Bouhafa. La scrittura prende quota lentamente ma riesce a gestire e miscelare in maniera efficace il passato e il presente. La seconda metà del film, quella più coinvolgente e off-limits, ci trascina nel freddo della vetta e nella bellezza dei paesaggi, piuttosto che nella fragilità umana di fronte alla potenza della montagna e alla necessità viscerale di conquistarla.

La vetta degli dei trova, poco alla volta, il giusto equilibrio tra contemplazione e azione, offrendo anche una chiave di lettura sull’agire dell’uomo in società. Perché in fondo cosa spinge a salire più in alto? Perché aspirare sempre ad essere primi? La montagna, come la vita, non è una meta, ma un percorso in linea retta, e la vetta altro non è che una tappa durante il tragitto. Una volta in cima non resta che andare avanti.

Titolo originale: Le sommet des dieux
Regia: Patrick Imbert
Voci: Lazare Herson-Macarel, Eric Herson-Macarel, Damien Boisseau, Elisabeth Ventura, Kylian Rehlinger
Distribuzione: Netflix
Durata: 95′
Origine: Lussemburgo, Francia, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4
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Il voto dei lettori
3.75 (4 voti)
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