La visita, di Antonio Pietrangeli

Lo sguardo di Pietrangeli si conferma capace di cogliere magnificamente condizioni universali di solitudine e disagio. E Pina è la sorella maggiore di Adriana di Io la conoscevo bene. Su Amazon Prime

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Inizialmente doveva essere Giuseppe De Santis a dirigere La visita. Infatti era stato il regista di Riso amaro a trarre, insieme ad Ettore Scola e Ruggero Maccari, il soggetto del film da un racconto di Carlo Cassola. Ma De Santis abbandonò il progetto per dedicarsi alla lavorazione di Italiani, brava gente. E non è un caso che a prendere il suo posto sia stato Antonio Pietrangeli. Se De Santis negli anni ’40 e ’50 girò tra i più bei ritratti femminili del cinema italiano, Pietrangeli (soprattutto per i suoi film degli anni ’60) sarebbe stato ricordato come il regista delle donne.

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Da Il sole negli occhi (1953) ad Adua e le compagne (1960), sino a Io la conoscevo bene (1965), il suo cinema pone al centro un universo femminile sensibile e dolente. E La visita non fa eccezione, nel descrivere la vita di una donna sola e non più giovane, Pina (Sandra Milo), che cerca di dare una svolta alla sua vita ricorrendo all’illusione di un amore per corrispondenza. Pina è la sorella maggiore dell’Adriana di Io la conoscevo bene: entrambe malinconiche e incomprese, entrambe alla mercè di uomini cinici e indifferenti. Ciò che, però, permette a Pina di sopravvivere e andare avanti è una forza, un’indipendenza che l’altra ragazza non ha.

Eppure, è limitante dire che Antonio Pietrangeli è il regista delle donne. Se è vero che egli sa cogliere nell’evoluzione dei comportamenti femminili le dinamiche e le contraddizioni delle trasformazioni in atto nell’Italia dell’epoca, è anche vero che il suo sguardo è capace di cogliere condizioni universali di solitudine e disagio. E in questo senso va visto il personaggio di Adolfo/François Périer. Dietro la sua volgarità, la sua grettezza, il suo razzismo (il baffetto alla Hitler) si nascondono una tristezza e un malessere autentici, come rivela la sua sincerità nel finale. Non c’è riscatto, né pietà da parte di Pietrangeli: c’è solo la verità di un umanità che vive a stretto contatto con l’indifferenza, la perdita, il distacco.

E se la sceneggiatura di Scola, Maccari e dello stesso Pietrangeli è puntuale come un orologio svizzero, un meccanismo capace di calcolare in anticipo ogni dettaglio e ogni sfumatura (attenta tra l’altro a rispettare un’unità d’azione e, in qualche modo, di tempo e di luogo), resta il fatto che La visita è anche l’opera di un grande maestro, un esempio formidabile di regia “sensibile”. Ad uno sguardo più attento, ci si rende che la macchina da presa, apparentemente invisibile, non sta un attimo ferma, accarezza i corpi, i volti, gli oggetti con un pudore disarmante. E’ una regia che, attraverso il gioco dei campi/controcampi e dei totali o un “semplice” riflesso allo specchio, restituisce visivamente le dinamiche emotive dei personaggi con un’economia di mezzi e un minimalismo esemplari. Alla fine sembra di aver assistito ad una giornata qualunque di due persone qualunque. Ma dietro quell’apparente quotidianità quanti piccoli colpi di scena, quanti piccoli drammi…Ma soprattutto quanta malinconia per quei “normali” sogni di normalità, che vivono lo spazio di una notte e si perdono col fischio del treno.

 

Regia: Antonio Pietrangeli
Interpreti: Sandra Milo, François Périer, Mario Adorf, Didi Perego, Gastone Moschin
Durata: 100′
Origine: Italia, 1963
Genere: commedia

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (6 voti)
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