La voglia matta, di Luciano Salce

Uno dei primi film che studia il comportamento dei giovani degli anni 60 in relazione alle figure d’autorità. Immensa prova attoriale di Ugo Tognazzi che perde la testa per la “lolita” Catherine Spaak

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Tra il 1961 e il 1963, Luciano Salce gira quattro film molto importanti che mescolano il grottesco con la satira sociale: Il federale, La voglia matta, La cuccagna e Le ore dell’amore. La voglia matta è solo superficialmente un film comico, ma è attraversato da diverse influenze letterarie e cinematografiche, a partire dal romanzo Lolita per arrivare alle schegge decadenti de La dolce vita.

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Il trentanovenne Ingegner Antonio Berlinghieri (Ugo Tognazzi) incontra per strada un gruppo di ragazzi alla fine delle loro vacanze estive e perde la testa per la ninfetta Francesca (Catherine Spaak), quindicenne un po’ leggera che vive i dolci inganni della adolescenza.

La vicenda si svolge tutta in un giorno e in una notte nelle stesse location (il lungomare di Sabaudia, Latina, la strada verso Fiumicino) de Il sorpasso di Risi. Siamo nel pieno boom economico, aumenta il tasso di occupazione, è in atto la trasformazione definitiva dell’Italia da paese rurale a nazione industriale. Salce è uno dei primi autori che si sofferma ad analizzare la generazione dei giovani degli anni ’60, sottolineandone l’edonismo e l’egoismo, oltre che un rifiuto preconcetto per ogni forma di cultura (“Mussolini chi?, il padre del pianista?”). Inoltre utilizza tre espedienti stilistici per organizzare la narrazione: il flusso interiore del protagonista spesso posto a corollario delle conversazioni, l’uso dei flashback onirici che riguardano la proiezione di desideri proibiti (la sposa bambina) e l’utilizzo delle canzonette dell’epoca che fanno da contrappunto ai momenti più tragicomici  (Catherine Spaak canta Chanson d’été accompagnandosi con la chitarra mentre Tognazzi cerca inutilmente di fare vedere che ha tagliato i baffi). Ugo Tognazzi rende il suo personaggio irresistibile: l’ingegnere rampante e sicuro di sé passa dalla prosopopea esibita nell’incipit durante la rappresentazione del Giulio Cesare al teatro romano di Ostia Antica (“la donna deve essere messa in orizzontale”), alla totale umiliazione in riva al lungomare di Sabaudia.

Dietro la maschera comica Tognazzi fa trasparire sempre più contraddizioni frutto di un vissuto caratterizzato dal rimorso e dal senso di colpa (l’assassinio di un soldato inglese nella campagna d’Africa, la separazione dalla moglie, il figlio depositato in collegio). La crisi di Tognazzi si riflette nelle insicurezze sul proprio corpo di fronte alla prestanza fisica dei giovanotti che lo circondano, su tutti il rivale in amore Piero (Gianni Garko). Mentre vanno cadendo inibizioni e tabù, il clima si incupisce, le luci dell’estate fanno posto alle ombre dell’autunno e il gruppo di festaioli regredisce ad uno stato neoprimitivo (il ballo indiano sulla spiaggia) in cui si lotta per diventare capo branco e prendersi in premio la donna. C’è molto cinismo in questi giovani e anche immaturità: il diario della ragazza letto in pubblico, il cha cha di Jimmy Fontana, le esagerazioni nel fumo e nell’alcol accompagnato a un falso salutismo alimentare, la totale inconsistenza dei rapporti d’amore (ci si tradisce con continui sguardi), lo spogliarello della cinese (che fa il verso a quello di Nadia Gray ne La dolce vita), la messa in scena di un set cinematografico dove la finzione è l’ennesimo tentativo di rimandare responsabilità, la serie di scherzi terribili orditi alle spalle dell’ignaro ingegnere. Quindi da una parte un’apparente superficialità esistenziale, dall’altra la consapevolezza che il gioco può durare solo il tempo di una notte. E la canzone Sassi di Gino Paoli che accompagna il lento delle coppie appena formate non è il canto malinconico di un amore finito ma la nota dominante per un futuro che non è mai iniziato. Tognazzi a 39 anni è considerato un “matusa” e questi ragazzi lo rifiutano come modello di vita preferendo la canzonetta (il samba Brigitte Bardot) e il disimpegno. Catherine Spaak si muove come una lolita kubrickiana ma lascia anche lei trasparire un senso di vuoto che dipende dalla rottura con le figure d’autorità (i genitori, lo spasimante ricco).

Impreziosito dalla colonna sonora di Ennio Morricone, La voglia matta è uno dei primi film della commedia all’italiana che indaga il rapporto tra i giovani degli anni ’60 e i loro padri, con un particolare sguardo tra l’ironico e il disilluso. Come nella canzone di Armando Romeo che chiude il film (Un filo) mentre Tognazzi riprende il suo viaggio verso la solitudine di un’esistenza al tramonto, il filo che lega un amore stanco è troppo esile per durare nel tempo. Tutto è svanito, l’esile catena si è spezzata all’alba e anche l’illusione del boom economico è destinata a scomparire.

 

Regia: Luciano Salce
Interpreti: Ugo Tognazzi, Catherine Spaak, Gianni Garko, Fabrizio Capucci, Luciano Salce, Franco Giacobini, Béatrice Altariba, Oliviero Prunas, Margherita Girelli, Diletta D’Andrea, Jimmy Fontana
Durata: 110′
Origine: Italia, 1962
Genere: commedia

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2
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Il voto dei lettori
3.8 (5 voti)
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