Laceno d’oro 44 – Albero nostro, di Federica Ravera

Albero nostro, il documentario di Federica Ravera, omaggia il cinema di Olmi e la sua figura, in occasione dei quarant’anni dalla Palma d’oro di Cannes per L’albero degli zoccoli.

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Le campagne della bassa pianura bergamasca sono luoghi che tutt’ora meritano di essere raccontati.
La veduta della campagna nei pressi di Castel Cerreto è una delle più suggestive, come suggerisce già il nome del paesino, lì intorno era tutto circondato da un bosco di cerri di cui ora ne resta solo una parte. Castel Cerreto è una frazione nel comune di Treviglio, si trova all’interno di un’area ormai prevalentemente disboscata e industrializzata – la stessa terra ospitava la civiltà contadina che dall’ottocento viveva nelle cascine sparse per le campagne bergamasche.
La nebbia, i contadini affaticati, la loro tenacia, i detti popolari e la fanghiglia della pianura sono parte della storia di un’epoca lontana ed erano anche una profonda ispirazione per Ermanno Olmi.
L’albero degli zoccoli non è solo un documento, ma anche un’opera d’arte che contiene informazioni del passato, utili sia al presente che e al futuro.
Per questo nasce Albero nostro, il documentario di Federica Ravera, che omaggia il cinema di Olmi e la sua figura, in occasione dei quarant’anni dalla Palma d’oro al Festival di Cannes.
Durante il 2018, i comuni che erano stati coinvolti per la realizzazione del film si sono riuniti e hanno avviato degli eventi dedicati alla memoria de L’albero degli zoccoli. Era in quel momento che nasceva l’idea per il documentario. Albero nostro infatti ripercorre l’esperienza del set attraverso i ricordi di chi lo ha vissuto. I più anziani ora non ci sono più, ma i bambini sono diventati adulti e gli adulti anziani. Una di loro è Teresa Brescianini, che nel film interpretava la Vedova Runc. Il suo ruolo era profondamente legato alla sua vita reale, anche lei cresciuta e vissuta nell’ambiente contadino delle campagne bergamasche di quei tempi.
Per raccontare la storia di quelle pianure, Olmi non aveva bisogno di veri attori, ma degli abitanti locali e dei posti in cui vivevano.
Anche la lingua utilizzata era lo stesso dialetto lombardo, racchiudeva dei significati tutti suoi, i racconti orali e i detti popolari servivano al tramando generazionale dei valori e degli insegnamenti.

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La cascina è la seconda protagonista in L’albero degli zoccoli. Qui si intrecciano le vicende delle cinque famiglie di contadini che lavorano e vivono allo stesso ritmo delle stagioni, della semina e del raccolto.
La scelta di quel posto preciso era avvenuta per caso. Mentre Olmi passeggiava per le stradine di campagna, in cerca del luogo adatto alla sua storia si perse nella nebbia, per poi ritrovarsi davanti a quella cascina. Era totalmente abbandonata, così chiese i permessi, la riadattò e la fece sistemare per le riprese. Persino le porte, le finestre e i mobili sono stati interamente ricostruiti e poi lavorati per farli sembrare vissuti.

Nel documentario di Federica Ravera il soggetto è lo stesso de L’albero degli zoccoli: il tempo. Mentre nel film il racconto è scandito dalla quotidianità della vita contadina, nel documentario le testimonianze raccontano cosa è cambiato. Come i luoghi protagonisti del film, anche le persone sono cambiate, il loro sguardo serve a testimoniare il passato che hanno vissuto e il presente che stanno vivendo. Quella vita ormai lontana fatta di lavoro, sacrificio, spiritualità e condivisione, può ancora raccontarci di più sul rapporto che lega la civiltà contemporanea alla vecchia civiltà contadina.

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