Laceno d’Oro 44 – America, di Giacomo Abbruzzese

Alla ricerca delle proprie origini, il documentario intimistico ripercorre la misteriosa vicenda del nonno materno del regista, partito per l’America negli anni Sessanta e mai tornato dalla famiglia

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Tocca il cuore in una maniera delicata, insinuandosi anche nelle pieghe dell’animo più restio. Una storia di nostalgia, di mancanza, la ricerca della verità sulle proprie radici per tentare di colmare un vuoto immenso.

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Il regista di America, Giacomo Abbruzzese (ArchipelFireworks, Fame), decide di raccontare una vicenda privata e, con la telecamera alla mano, parte per gli Stati Uniti alla ricerca di qualche informazione sulla figura misteriosa del nonno materno Claudio: nato in Grecia, vissuto a Venezia e sposatosi a Taranto, a trentatré anni egli ha deciso di andare a cercare fortuna in America, lasciando in Puglia la moglie e i tre figli piccoli. Nonostante i buoni propositi iniziali, la famiglia non si è mai riunita. Una separazione dolorosa, che ha contribuito a creare negli anni il tabù del nonno fuggito inspiegabilmente dai propri cari e dalle proprie responsabilità.

Il documentario, presentato in anteprima al Biografilm di Bologna, ricostruisce l’immagine dell’avo attraverso le peripezie del regista, per mezzo della sua voce narrante, accompagnata dalle testimonianze dei numerosi familiari pugliesi (la madre, la zia, lo zio, la nonna) e da quelle della famiglia che il nonno si è creato segretamente nell’America degli anni Sessanta (la nuova compagna Ester e il figlio Tony). Un racconto corale, che mescola poeticamente i diversi punti di vista, generando unità anche nel contrasto, restituendo un senso di armonia laddove il dolore preme più forte.

Scoprendo vicende inedite e fantasmi del passato, Abbruzzese riesce a sostituire al rammarico e al rancore per una perdita inspiegabile la comprensione e la speranza per un perdono futuro. Il percorso, intrapreso per pura curiosità, si spinge oltre le iniziali aspettative e lo porta a indagare a fondo sui sentimenti che animano i singoli familiari, specialmente la madre, profondamente addolorata da una ferita ancora aperta dopo decenni.

Accanto ai filmati e alle foto dell’epoca, tratti dall’archivio personale di famiglia, scorrono immagini della New York di oggi, le riprese dall’alto sui grattacieli scintillanti: antichità e modernità di mescolano, così come si alternano la narrazione dei singoli fatti privati e la costruzione di un’analisi più generale delle dinamiche e delle fragilità umane.

«La storia si ripeteva, ineluttabile, lasciando prigionieri i suoi protagonisti».

Ed è proprio per questo, per liberarli, che Abbruzzese gira questo film, nel tentativo di guarire una piaga che ha sanguinato per generazioni. Forse ci è riuscito.

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