Ladri di saponette, di Maurizio Nichetti

Un pamphlet divertito che cela il dramma, una geniale e originale pasquinata contro il potere, una ennesima impresa donchisciottesca. Oggi, ore 17.25, Iris

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Quando il film è uscito, nel 1989, il regista lo definì come il primo film che interrompeva la pubblicità. È un geniale autore Maurizio Nichetti, tanto raro, anzi unico da non poterne replicare la vivacità culturale e il taglio singolare, acuto e surreale che accompagna il suo percorso artistico. D’altra parte non poteva che essere così premesso il suo apprendistato, dopo la laurea in architettura, con Bruno Bozzetto. La bottega di Bozzetto non lo ha distolto dal teatro e dall’avere fondato la Compagnia “Quelli di Grock”; né dal cinema dove entro come una specie di alieno, quando, interrompendo un flusso di cinema italiano di impegno civile, mandò sugli schermi Ratataplan che non era neppure una commedia, ma una specie di commistione tra Tati e Buster Keaton, un esempio rimasto unico, come il resto del suo cinema, tutto fondato sulla sua mimica affinata dall’esperienza teatrale e dalla sua surreale partecipazione al mondo reale. È così che i suoi film vagano come fossero una mongolfiera che guarda il mondo dall’alto, ma con un cordone ombelicale che la lega alla terra.
Un cinema creativo che ha sempre fatto centro, libero da qualsiasi scuola e corrente, con dentro la vivacità di un’intelligenza che sembra pervadere l’opera che si fa autonoma dopo il soffio vitale. È quanto accade in Ladri di saponette che si allontana da ogni genere, costituendo vita a se, superando ogni limite e barriera, ogni funzionale credibilità, per presentarsi come opera aperta e al passo con una post modernità annunciata. Maurizio Nichetti, ha sempre dimostrato di essere un passo avanti, di avere intuito, prima o più profondamente di altri, alcuni meccanismi dello spettacolo e di avere guardato al suo lavoro proprio come strumento indispensabile per entrare in quel vulnus. I suoi film, con solida ironia e conoscenza del mestiere, hanno rappresentato le anomalie della società dello spettacolo ridicolizzandole e mostrandone gli effetti perversi.
Ladri di saponette riflette proprio sui perfidi effetti della modificazione genetica intervenuta nella visione con la televisione degli anni ’80.

I più giovani non possono ricordare il radicale mutamento che intervenne in quegli anni con l’entrata in ogni casa di un numero rilevante di emittenti televisive. Significò sancirne definitivamente l’effetto pervasivo, significò moltiplicare l’informazione e la visione di film e spettacoli, ma significò anche stravolgere irreversibilmente i canoni della visione e i suoi ritmi. Il film non era più l’evento circoscritto nel tempo, ma si adattava alla dialettica e alla fisiologia dello spettatore. L’inclusione delle pause pubblicitarie, con la frammentazione narrativa e logica del racconto – abilmente ripresa da Nichetti in questo film – ha contribuito ad alimentare la crisi della sala cinematografica, abbassando, progressivamente e inesorabilmente, la soglia dell’attenzione del pubblico. In quegli anni erano i grandi registi come Fellini che perfino denunciò all’Autorità Giudiziaria il titolare delle nuove emittenti televisive, a combattere civilmente a difesa delle proprie opere improvvisamente sbattute nel tritacarne della visione parcellizzata e fuorviante. Un referendum del 1995, ormai dimenticato, perduto da chi chiedeva l’abolizione della norma permissiva, pose una pietra tombale su ogni sussulto autoriale e spinta dei puristi della visione. Contro tutto questo si rivolge, con acida leggerezza, Ladri di saponette.
Per parlarci di quanto il cinema sia stato modificato dalla televisione commerciale, nel 1989 Nichetti inventa questa storia. Maurizio Nichetti è invitato in uno studio televisivo perché va in onda il suo film che si intitola Ladri di saponette, accompagnato da una logorroica e accomodante segretaria (Lella Costa). Precede una presentazione di Claudio G. Fava – che con ironia si presta al gioco – ma il critico è più interessato a Jean-Pierre Melville e a Lubitsch piuttosto che a Nichetti. Una famiglia borghese guarda distrattamente il film in TV, tra telefonate, letture di giornali e cenetta con panini. Antonio (lo stesso Nichetti) e Maria (Caterina Sylos Labini) sono i protagonisti di questo film e replicano Ladri di biciclette, dove c’è pure don Italo (Renato Scarpa) un prete amico loro, che ricorda il don Pietro di Roma città aperta. Antonio è senza lavoro, Maria è appassionata di spettacolo. Il film va avanti, ma è interrotto dalla pubblicità, Maurizio Nichetti protesta. Un blackout, presto risolto, comporta che i protagonisti della pubblicità entrino nel film, modificandone lo svolgimento, ma anche il senso. A sua volta, per risolvere il pasticcio, Nichetti entra nel film, rimette a posto alcune cose ritrovando Maria finita nelle pubblicità del detersivo, ma altre gli sfuggono di mano e soprattutto resta per sempre intrappolato nella televisione e quando la famiglia andrà a letto, sarà inutile il suo disperato tentativo di farsi ascoltare dagli ormai sempre più distratti telespettatori.
Una trama complessa, articolata su più piani che si fa triplice anche nella sua modalità rappresentativa, dalla evidente pochade che si inscena nello studio televisivo, all’amorevole ricostruzione del Neorealismo di De Sica e Zavattini a cominciare dal malinconico bianco e nero, all’estetica da sit-com nel salotto della famiglia borghese.
Un lavoro che Nichetti compie sempre en plein air, senza finzioni o sovrastrutture, dritto verso l’obiettivo e il suo film, lavorando in stretta e quasi omeopatica sintonia con il male che vuole sconfiggere, sembra decostruire il senso, sembra ingarbugliare l’ordine delle priorità, laddove, invece, costruisce, sulla parodia, il dissenso per restituire dignità al cinema, all’opera, al lavoro di chi scrive e dirige, contro ogni pratica di utilizzo del cinema come mercanzia, genere di baratto, costante intrattenimento commerciale.
Ma il capitale divora tutto e anche Ladri di saponette, all’epoca fu prodotto da Rete Italia, un’antenata di Mediaset, tanto è il potere onnivoro-digestivo del commercio che tutto ri-produce e ricicla, annientando e spuntando ogni arma nell’abbraccio nefasto con cui accoglie il suo avversario.
Ladri di saponette, il cui titolo allusivo e assonante riassume perfettamente il senso di amarissima ironia che lo pervade, resta comunque un preciso atto d’accusa contro una specie di selvaggia giungla commerciale, contro l’ibridazione mediatica già all’epoca insopportabile. Un pamphlet divertito che cela il dramma, una geniale e originale pasquinata contro il potere, una ennesima impresa donchisciottesca in un’epoca che fu di mutamenti, ma ancora attualissima, laddove con grave dissoluzione di ogni principio naturale, la competenza, l’arte e la cultura sono guardate con sospetto dall’establishment, sempre più distante da ognuno di questi tre indissolubili punti cardinali.

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Regia: Maurizio Nichetti
Interpreti: Maurizio Nichetti, Caterina Sylos Labini, Renato Scarpa, Claudio G. Fava, Lella Costa, Ernesto Calindri, Federico Rizzo
Durata: 90’
Origine: Italia, 1989
Genere: commedia

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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