L’albero, di Sara Petraglia

Può dare l’impressione di essere un film ‘pulito’ sulla dipendenza e cercare un maledettismo di maniera ma in realtà pulsa di vita vera grazie anche alle brave protagoniste. RoFF19. Progressive Cinema

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Sono passati più di 40 anni tra i due film, ma L’albero può essere uno dei figli di Amore tossico. Tra Ostia e Centocelle del film di Claudio Caligari e il Pigneto e Casilina Vecchia dell’opera prima di Sara Petraglia, c’è prima di tutto un’attenzione alla geografia dei luoghi. Ovvio, sono anche presenti prima di tutto i tempi, le esigenze e l’inquietudine dei film giovanili sui ventenni. Ed è proprio così che L’albero sembra partire, dalla voce-off e l’immagine di Bianca in bicicletta, lo stesso mezzo che diventerà fondamentale all’interno della storia e soprattutto nella parte finale. Poi però trova molte strade e un modo originale e non prevedibile di raccontare questa storia, soprattutto a livello di scrittura

Bianca (Tecla Insolia) e Angelica (Carlotta Gamba), sono ragazze di circa vent’anni che sono andate a vivere insieme. La prima ha lasciato la casa dei genitori al centro di Roma e dovrebbe frequentare l’università ma non ci va mai, l’altra viene da Morlupo. La città diventa insieme un rifugio ma è anche una trappola. Il rapporto tra le due ragazze è vitale e inquieto, tra amicizia, amore e dipendenza. Bianca ha un quaderno dove annota tutto. Ci sono gli appunti per i suoi libri, ma anche altro. In quella casa, con l’albero che si vede dalla finestra, c’è non solo un’immagine ma soprattutto una visione, un desiderio di stabilità impossibile.

“Perché siamo tutti così tristi?” chiede Bianca al gruppo di coetanei, ottimamente interpretata da Tecla Insolia (L’arte della gioia) che trova anche non solo una bella intesa ma anche un’affinità sentimentale con il personaggio portato sullo schermo da Carlotta Gamba che ha già mostrato il suo talento in Gloria! e la serie Dostoevskij. Forse nei dialoghi, soprattutto di Sara, c’è qualche rimando a Nanni Moretti e un maledettismo cercato. Ma il rapporto con la dipendenza funziona, come si vede per esempio nel dialogo tra Bianca e la dottoressa, perché è mostrato in maniera realistica (dalla scena iniziale in cui le due protagoniste vengono fermate dalle forze dell’ordine) ma soprattutto soggettivo. L’albero può far venire sospetto di essere un film ‘pulito’ sul tema mentre in realtà trova un turbamento, un’ansia soggettiva. Viene evocata Milano che non si vede, c’è una sequenza a Napoli di grande impatto con il mare in tempesta con la pioggia, immagine leopardiana evocata direttamente dalla ricerca del poeta nella città partenopea e soprattutto dal manifesto appeso in camera.

Il debutto di Sara Petraglia, autrice anche della sceneggiatura, pulsa di vita vera, con i battiti intermittenti anche di certo cinema francese, con frammenti da Mia Hansen-Løve. Dopo la parte iniziale più descrittriva, sprigiona i segnali di morte con una forza dirompente, trova nella scena al cimitero uno dei momenti più cupi ma anche accecanti ma guarda sempre oltre l’orizzonte e, come le protagoniste, cerca la felicità.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
3.08 (13 voti)

Sentieriselvaggi21st n.19: cartacea o digitale


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