L’alfabeto di Peter Greenaway, di Saskia Boddeke

Documentario sul significato profondo della creazione artistica, entrando nel mondo eclettico di una personalità tanto complessa quanto affascinante. In sala dal 12 al 15 maggio

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Dal 12 al 15 maggio I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection portano in sala L’alfabeto di Peter Greenaway, un ritratto tenero e ironico sul regista inglese, tra la sua vita privata e la sua filmografia. L’artista Saskia Boddeke racconta il marito formulando un alfabeto che ripercorre vita e arte in un dialogo con la figlia Zoë, detta Pip. Greenaway, il cui motto è “l’arte è vita e la vita è arte” si confessa attraverso delle pillole che ripercorrono la sua opera e la sua sfera privata: prima pittore, poi cineasta, il regista inglese non smette mai di creare, la sua sconfinata vena artistica entra continuamente in contatto con la quotidianità e così con i suoi affetti principali. La sua figura, poliedrica e ambigua, viene raccontata con occhio ironico e profondo facendo emergere passioni e debolezze del regista. Passato in anteprima italiana al Biografilm Festival di Bologna, L’alfabeto di Peter Greenaway è un documentario che fa riflettere sul significato profondo della creazione artistica e sul rapporto tra vita e morte, entrando nel mondo eclettico di una personalità tanto complessa quanto affascinante. Questa è un’enciclopedia di Greenaway, dei “chi, perché e cosa” dell’artista.

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Credere nella civiltà con la C maiuscola e avere uno scopo nella vita: aggiungere i nostri modesti granelli di sabbia alla grande spiaggia della civiltà. Ecco, la stratificazione della vita con l’arte, un continuo e costante rimbalzare e “sfondare” sui muri delle catalogazioni artistiche. Il documentario si apre, si sposta, si espande, implode senza soluzione di continuità, probabilmente era l’unico modo per calarsi, o magari solo semplicemente sorvolare, il folle e impenetrabile mondo di Greenaway. Perché i dipinti non hanno colonne sonore? Questa magari potrebbe essere una domanda senza risposta, una domanda che perseguita gente come Greenaway, mai domo e mai allo stesso posto per più di un frame. Il cinema deve essere il riflesso di 8000 anni di arte occidentale. Allora è proprio il paradosso il mondo perfetto anche per Greenaway, Uno dei creativi più fuori fuoco in circolazione al quale non interessa il fuori fuoco nella sua arte. Debordante quanto tutto questo lavoro di Saskia Boddeke.

Il contenuto può essere anche il più assurdo e smisurato, ma le immagine devono essere sempre parallele al soggetto dell’immagine. L’inquadratura deve essere perfetta e il cinema è una macchina troppo sofisticata per essere lasciata ai narratori, così come la vita è una macchina troppo delicata per essere dedicata al divertimento senza scopo. Ciò è infedele alla vita. La forza del documentario sta proprio nel voler mostrare e al tempo stesso contraddire il pensiero su Greenaway come probabilmente il più grande artista anaffettivo vivente, un devastante commentatore e descrittore “autistico” delle immagini dimensionali. Vorrebbe essere trattato dagli altri come una pagina di un libro o come la tela di un quadro, vorrebbe non “sfogliarsi” mai: “A un anno, avevo appena iniziato. A due anni, ero quasi nuovo. A tre anni, ero a malapena me. A quattro anni, non ero molto altro. A cinque anni, ero vivo appena. Ora ne ho sei, sono più sveglio che mai, e avrò sei anni per sempre”.

Titolo originale: The Greenaway Alphabet
Regia: Saskia Boddeke
Distruzione: I Wonder Pictures
Durata: 80′
Origine: Paesi Bassi, 2017

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