"L'America non è una cosa monolitica, è un esperimento ancora ai suoi inizi. È tutto il mondo, è il sogno di tutto il mondo." – Intervista a Michael Cimino

La ricerca incessante della grandiosità dell'opera, con la possibilità che tutto svanisca nel nulla, e il dolore per l'incomprensione che sembra ancora avvolgerlo nel suo paese. L'autore de “Il Cacciatore” e de “I Cancelli del cielo” sembra portare su di sé le tracce di questo destino.

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di Marina Nasi ed Emanuele Marchesi

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Un amore sconfinato per l'America, che fa trattenere a malapena le lacrime a una domanda sull'undici Settembre. Amore per gli spazi, per la vitalità che rimane indomita sotto i problemi e le contraddizioni. Amore tradito dalla volontà di essere cantore di questo paese e l'isolato dimenticatoio in cui è caduto dopo il disastro, economico e di critica, de I Cancelli del cielo. Michael Cimino continua a esprimere questo sentimento, classico e grandioso nel suo essere fuori dal tempo, in tutte le sue opere: dai suoi film, presentati in una recente retrospettiva della Cineteca di Bologna, all'ultimo romanzo Big Jane, edito in Italia da Fandango libri.


Il suo ultimo lavoro, Verso il Sole, risale al 1996. In questi anni si è dedicato ad altri progetti?


Attualmente sto lavorando all'adattamento del romanzo di André Malraux La condizione umana. La sceneggiatura è già pronta. Io non sto mai fermo, non smetto mai di pensare e "fare" film, ma il problema è che a Hollywood per un film che realizzi ce ne sono sei che non riesci a fare. Per fare un esempio, dopo avere trascorso un anno tra l'Irlanda e l'Inghilterra per un lavoro sulla vita di Michael Collins tutto si è bloccato all'improvviso. Perché? Perché la Coca Cola si era ritirata dalla Columbia.


Questa è la tragedia del cineasta: un progetto abortito finisce nel nulla. Un pittore invece può sempre conservare la propria opera anche se questa non ha successo e nessuno l'ha vista. Il pittore ha la fortuna di poter restare a contatto con la testimonianza del proprio lavoro.


Cosa rimane della libertà d'espressione che ha caratterizzato il periodo del suo debutto cinematografico?


Quale libertà d'espressione? Se ci si riferisce al new american cinema degli anni '70, io non posso parlare per loro, il mio primo lavoro risale alla fine dei '70.


Non le era rimasta nemmeno un'eredità di quello spirito?


Eredità? Ma non c'è mai stata libertà d'espressione. Dove avete preso quest'idea? D'altro canto, ogni film è il risultato della lotta di chi lo voleva realizzare. C'è sempre stato bisogno di lottare: non è mai esistita un'era della libertà cinematografica.


In tanti hanno accostato Gangs of New York di Scorsese al suo I cancelli del cielo. Che ne pensa?


Non ho visto il film di Scorsese.

Nei suoi film, accanto a un senso di fallimento del mito americano, sopravvive un profondo vitalismo. È l'ombra di quel mito, o qualcosa di più profondo e radicale? La vita di una civiltà, la libertà del popolo americano, è qualcosa di ormai passato?


No, questa libertà non è affatto sconfitta, e dovete sempre ricordare che l'America è un paese molto giovane. La stessa Hollywood ha solo 85 anni, quindi non stiamo certo parlando di una civiltà antica. L'America non è una cosa monolitica, è un esperimento ancora ai suoi inizi. È tutto il mondo, è il sogno di tutto il mondo. Non esiste un altro luogo così multietnico, e dove tutti sono così fieri dei luoghi da cui vengono. Abbiamo più gangs etniche a Los Angeles che in qualsiasi parte del mondo. Questo sogno di libertà è il sogno di tutti e sta ancora accadendo in America. Lo scorso secolo è stato quello americano, ora è il momento del secolo cinese. Se l'America è un esperimento, allora se questo esperimento ha successo sarà un successo globale, il successo dell'umanità. Con tutti i suoi problemi e la sua follia, l'America è ancora la prova vivente che riunire un mix di etnie e religioni diverse e farle funzionare insieme è possibile. I migliori atleti americani sono di colore, 150 anni fa erano in catene, ora una persona di colore è segretario di stato, un'altra consigliere per la sicurezza nazionale. E tutto questo è accaduto in un tempo così breve. È ancora possibile, per qualcuno, presentarsi e cambiare qualcosa. Io penso all'America come un laboratorio del mondo. Ed è chiaro che quando fai degli esperimenti puoi ottenere qualche cosa che non ti piace, ogni scienziato può confermarlo. Ma tantissimi avanzamenti scientifici sono stati la risultante di un errore. Penso che nulla sia morto, ma piuttosto che tutto sia ancora in crescita. Molto presto avremo un presidente sino-americano, o afro-americano. Se l'America sopravvive, allora significa che questo famoso sogno di libertà, che è il sogno di tutti, è vivo e vegeto.



A proposito della libertà d'espressione, girano parecchie storie sulle riprese de Il Cacciatore


Tutte storie vere: è vero che arrivavo prima di tutti sul luogo delle riprese per catturare lo spazio ideale, ed è vero che rimontavo di notte ciò che la produzione mi imponeva di tagliare il giorno. 

Parlando del suo libro, ci sono dei grandi romanzieri americani a cui si è ispirato?


In particolare Melville, il cui Moby Dick adesso viene considerato la quintessenza del romanzo americano, ma che dai suoi contemporanei fu odiato, un disastro completo. Melville fu talmente odiato dai suoi contemporanei – addirittura ripudiato dal suo migliore amico Nathaniel Hawthorne – che fu sul punto di suicidarsi. Ma la cosa importante è che andò avanti. Fece quello di cui parla Miller nel suo libro: l'abilità di chi scrive sta nel continuare a farlo, anche quando sai che stai scrivendo male, ed è una cosa difficilissima, ma devi continuare a farlo perché dentro di te sai che stai facendo qualcosa di buono. Scrivere significa anche solitudine: non è come dirigere un film, non hai intorno 50 persone che ti dicono che sei un dio e che ti porgono tazze di tè. Ecco perché la vita di Melville è emblematica, per come ha saputo resistere e lottare.


Crede che questa tenacia serva in tutti i campi della vita? Anche nella professione di regista?


Sì nel giornalismo, nella scienza, in tutti i campi e a qualsiasi livello.  Lo sintetizza bene una frase di Pasteur: "La fortuna favorisce la mente preparata"


Tornando al romanzo, ha l'impressione di scrivere in termini cinematografici?


No assolutamente. Scrivo e basta, ed è già in sé un impresa disperata. Penso che Thomas Mann avesse ragione nell'affermare che per scrivere un romanzo è necessario diventare pazzi. Io l'ho fatto.


Le piacerebbe trarre un film da Big Jane?


Mi piacerebbe e qualcuno me l'ha anche proposto. Può essere che lo diventi o che non lo diventi: ma per ora è un libro e sono contento che sia in questa forma. Se l'avessi pensato come film probabilmente starei ancora aspettando di girarlo, e forse avrebbe fatto la fine dei cinquanta progetti non realizzati che ho nel cassetto.  Per la verità sarebbe fantastico trarre un album dalle canzoni all'interno del romanzo, qualcuna l'ho anche registrata: ho avuto a disposizione per una settimana uno studio di registrazione per provare l'efficacia del fraseggio, e ne sono usciti dei pezzi che conservo con orgoglio.


C'era già stata una pubblica lettura del primo capitolo di Big Jane nel corso della Mostra del Cinema di Venezia 2001, con grandissimo favore di pubblico.


L'Europa mi ha salvato, è grazie al pubblico europeo che sono in grado di lavorare. Pensate che esistono copie di Big Jane in tedesco, portoghese e italiano: ma non in Inglese.


Come ha vissuto da americano il post 11 settembre?


Sono deluso da come i media hanno reagito. Speravo che si sarebbe tornati a un giornalismo più di sostanza, a quella gravitas che caratterizzava la stampa delle origini. E invece si è fatto ancora più leva sulla spettacolarizzazione della notizia, su un uso dell'informazione che aspira alla morbosità. Per quanto riguarda una possibile guerra, non sono la persona indicata a fornire illuminazioni. Ci vorrebbe un santo, o un filosofo: io sono solo un cineasta.


E come cineasta che bilancio farebbe della sua carriera?


Volendo quantificare, trent'anni di carriera mi sono costati 20 anni di vita.

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