L’amore molesto, di Mario Martone

Un piccolo miracolo di compattezza visiva, con un persistente tappeto sonoro. Il secondo lungometraggio di Martone torna in sala dopo 23 anni

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Dopo 23 anni ritorna in una versione inedita, con il bianco e nero per la parte in flashback, L’amore molesto, tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante. Lo spunto iniziale è la lettura del libro mentre il regista si trova a New York per presentare la sua opera prima, Morte di un matematico napoletano: Martone si innamora dei suoni e dell’atmosfere malate del romanzo e prova a tradurre in immagini quelle sensazioni. Tutto il film è pervaso da un tappeto sonoro eterogeneo a partire dalle cantilene nei quartieri popolari, dal turpiloquio in dialetto stretto fino ad arrivare ai clacson e ai rumori di un traffico impazzito. Anche le musiche di Steve Lacy e Alfred Shnitke seguono questo tono crepuscolare per poi cambiare direzione nel finale con la Tarantella del Gargano eseguita da Daniele Sepe.

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Napoli è raffigurata in modo anticonvenzionale: claustrofobica nei luoghi affollati (autobus stipati, strade pervase da odori e umori), angosciante nelle zone periferiche solitarie, invadente negli sguardi e nelle parole, nuvolosa e piovosa. La storia di Delia (Anna Bonaiuto) e il suo rapporto conflittuale con la madre Amelia (Angela Luce), annegata in circostanze misteriose, è solo un pretesto per fare emergere attraverso un percorso di consapevolezza, un’anima ambivalente dibattuta tra progresso e tradizione, tra forze reazionarie e movimenti di liberazione sociale. Un magma vulcanico che Martone riproporrà quando il giovane favoloso Giacomo Leopardi si immergerà nelle viscere infernali della città partenopea. Per esaltare questo contrasto Luca Bigazzi utilizza il bianco e nero per i ricordi del passato e colori carnali per lo svolgimento del presente ma in entrambi i momenti è difficile separare la realtà dalla fantasia, ciò che si è immaginato da ciò che è realmente avvenuto.

Anna Bonaiuto è perfetta nel rendere questo clima di spaesamento con una recitazione istintuale che trasmette mistero e ambiguità anche nelle scene di vita quotidiana, variazioni postmoderne del teatro di Eduardo. Nel passato di Delia c’è una molestia sessuale subita da bambina che è stata rimossa dalla memoria ma non dal proprio subconscio. La propria vita dimessa, solitaria, senza figli e affetti, tra disegni e fumetti, è una risposta catatonica a quell’insulto primario. Allora è più facile credere di vedere la propria madre (Licia Maglietta nei flashback) con un altro uomo e provocare la cieca gelosia del padre: in questi quadri del passato che nella versione originale erano color seppia, la forza repressiva maschilista si esprime in una violenza esponenziale come nella scena del litigio sulla tromba delle scale. Ma questa forma di sopraffazione fisica e mentale non muta cambiando il tempo, si incanala in forme atipiche come un pranzo di propaganda politica delle elezioni amministrative del 1995, nella violenza sessuale perpetrata in una sauna, in un padre che apostrofa “zoccola” la figlia e la picchia così come aveva fatto con la moglie.

A queste figure maschili castranti e intimamente fasciste, Martone contrappone due figure di donna, Amalia e Delia, che incontrandosi si specchiano l’una nell’altra e si vestono del rosso della rivoluzione sessuale. Nell’indossare il vestito della madre, Delia inizia un percorso di autocoscienza che la porterà a scegliere il desiderio contro la paura, la tolleranza contro il pregiudizio. Due scene sono i punti di svolta di questo viaggio: la prima si svolge in ascensore e vede Delia ritrarre la mano di fronte al ventre flaccido della madre che riafferma il proprio diritto ad esistere e godere; la seconda avviene nella piscina della sauna subito dopo il tentativo di stupro e vede Delia avvicinarsi ad Antonio per masturbarlo. Entrambe le scene sono girate in maniera tale da rendere labile il confine tra la veglia e il sogno, portando lo spettatore a dubitare costantemente sulla realtà delle immagini.

Accanto alle due protagoniste, il clima magico e quasi esoterico viene amplificato dalle figure maschili: lo zio Filippo (il grande Gianni Cajafa alla sua ultima prova) complice e vittima del pregiudizio, Caserta (Giovanni Viglietti) corpo ingombrante e Antonio (Peppe Lanzetta) forma mutante della involuzione del maschio occidentale. Nel momento in cui Delia penetra nel retrobottega del proprio inconscio, le ombre della paura si diradano e rivelano i connotati del colpevole, ristabilendo i ruoli di vittima e carnefice. Presentato con successo a Cannes e premiato con Il David di Donatello per miglior regia, migliore attrice protagonista (Anna Bonaiuto) e miglior attrice non protagonista (Angela Luce), L’amore molesto è un piccolo miracolo di compattezza visiva che regala al personaggio femminile la capacità di trovare nell’inferno del proprio vissuto la forza di liberarsi dalle catene della oppressione maschile per ridisegnare una nuova identità.

 

Regia: Mario Martone

Interpreti: Anna Bonaiuto, Angela Luce, Gianni Cajafa, Lina Polito, Marita D’Elia, Giovanni Viglietti, Peppe Lanzetta, Licia Maglietta

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 104′

Origine: Italia 1995

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