L’angelo del male, di Jean Renoir

Capolavoro noir di Renoir che presenta un triangolo passionale variando tra critica sociale e realismo poetico. Strepitosa interpretazione di Jean Gabin. Su Netflix

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“Comunque non so niente, ma proprio questo senso di non sapere niente rende la vita che viviamo attualmente paragonabile a un semplice viaggio in ferrovia. Si va veloce ma non si distingue nessun oggetto da molto vicino e  soprattutto non si vede la locomotiva.”

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Vincent Van Gogh

Una locomotiva sfreccia con un rumore assordante. Due macchinisti comunicano a cenni mentre il paesaggio ai lati sfreccia veloce, indistinguibile. Il carbone viene alimentato dai due uomini e il fumo avvolge i loro corpi tingendoli di nero. Inizia così L’Angelo del Male, con una lunga sequenza in cui a parlare è solo il corpo meccanico e gli uomini non possono che farsi trasportare da un flusso ininterrotto di avvenimenti. Jean Renoir, dopo l’omaggio al romanzo ispiratore di Émile Zola, pone nel prologo frenetico il significato di una esistenza vissuta nella paura dei propri desideri, con un epilogo tragico alla Edipo Re.

Jacques Lantier (Jean Gabin) è un macchinista affetto da raptus omicidi spesso correlati alla pulsione sessuale. Ha trovato il suo equilibrio lontano dall’alcol, in una vita di lavoro matto e disperatissimo con il suo grande amico Pecquex (Julien Carette) sulla linea ferroviaria Parigi-Le Havre. Un giorno diviene testimone involontario  di un omicidio ordito dal vice capostazione Roubaud (Fernand Ledoux) con la complicità della moglie Séverine (Simone Simon) vittima a sua volta nell’infanzia delle turpi attenzioni dell’orco Grandmorin (Jacques Berlioz).

L’angelo del male (1938) si trova tra due assoluti capolavori di Renoir come La grande illusione (1937) e La regola del gioco (1939) ma è davvero un’opera sbalorditiva sia perché molto avanti rispetto ai suoi tempi, sia perché riesce ad evitare le separazioni manichee tipiche del genere noir superandole con il realismo poetico e il naturalismo. Renoir usa dei tagli di luce particolari che spesso illuminano gli occhi dei personaggi e si sofferma sui primi piani per scrutare la violenza di un caos interiore che appare a improvvise fiammate.

Jean Gabin è qui alla migliore interpretazione della sua carriera sia quando si rapporta all’amico Pecquex, sia quando interagisce coi personaggi femminili divorato tra la paura di fare del male e la forza animalesca di origine ereditaria. L’umanesimo di Jean Renoir si attualizza sia nelle scelte di messa in scena (i frequenti cambi di prospettiva, la simbologia di oggetti come il coltello, l’orologio, l’anello, la foto del padrino/orco, la bottiglia di Malaga, il gioco espressionista delle luci e delle ombre) che nella evoluzione dei personaggi, divorati dal conflitto attrazione/repulsione e mai completamente colpevoli. Roubaud è un uomo mediocre roso dalla gelosia ma che rimane pietrificato davanti al cadavere di Séverine (notate la sua postura immobile mentre l’orologio che ha in mano oscilla leggermente). Séverine ha subito abusi sessuali e non è capace di amare veramente; il momento della sua morte è uno dei passaggi più intensi di tutto il cinema di Renoir: la macchina da presa riprende da fuori dalla porta con rispetto sacro l’ultima pugnalata e poi un subitaneo stacco sulle note da valzer de Le petit coeur de Ninon, le cui parole del testo sono la prova più tangibile di un martirio. Dance Me to the End of Love (“questa sera era con te che volevo ballare”). Il momento più poetico del film è quando Jean Gabin porta Simone Simon di notte dentro il cuore tenebroso della locomotiva Lison: è l’apertura a quel mondo meccanico dove un uomo malato ha trovato la sua normalità e può finalmente guardare il paesaggio dal finestrino, notando le orecchie dei conigli o le foglie che nascono, crescono e poi cadono. Attraverso la potenza e la violenza della locomotiva Jacques Lantier/Jean Gabin ha imparato non solo a confrontarsi con il mondo reale ma a trasformare la sua follia omicida in forza generatrice. Esiste sempre una differenza di età tra Severine e i suoi amanti, come avesse bisogno di una figura genitoriale che sia insieme amante e padre. Ma è proprio la passione per la donna a trasformare l’uomo in belva umana e a renderlo totalmente estraneo al viaggio. C’è sempre una vittima innocente e non è un caso che ad interpretare il povero capro espiatorio Cabouche sia proprio il regista. L’inizio della fine di Jacques Lantier avviene in uno sguardo magnetico con la bella Séverine durante il primo interrogatorio della polizia: da lì la seduzione e la rovina, mentre attorno il mondo piccolo borghese sembra auto-divorarsi dentro i fantasmi delle proprie pulsioni represse. Nella scala sociale il vertice della piramide è marcio e il flusso degli avvenimenti travolge solo quelli che stanno alla base. A breve il capolinea, meglio buttarsi giù dal treno e trovare la pace.

Amato da François Truffaut e André Bazin, L’angelo del male è un triangolo noir che vira verso il melodramma psicologico e la critica sociale. Dietro la lucida follia dei protagonisti si nasconde la impossibilità ad amare ed essere amati in un rapporto paritario. Le colpe dei padri (e delle madri) ricadono sui figli ma tutti, su questa terra, sembrano avere le loro buone ragioni. Edipo Re abdica e muore.

 

Titolo originale: La bête humaine
Regia: Jean Renoir
Interpreti: Jean Gabin, Simone Simon, Fernand Ledoux, Julien Carette, Blanchette Brunoy, Jacques Berlioz
Durata: 100′
Origine: Francia, 1938
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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